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giovedì 17 novembre 2022

Una proposta di valorizzazione della Cattedrale metropolitana di Notre-Dame di Parigi: riservare una cappella per il rito tradizionale

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 900 pubblicata da Paix Liturgique il 15 novembre 2022, in cui si avanza una proposta tutt’altro che provocatoria.
In Francia (e non solo in Francia, aggiungiamo noi…) i giovani – ed i giovani seminaristi – presentano una particolare sensibilità alla Tradizione, il clero nei prossimi decenni sarà in gran maggioranza tradizionalista (oggi è quasi la metà), i fedeli – soprattutto dopo il covid – si avvicinano sempre più alla liturgia tradizionale e, in questo contesto, la lettera apostolica Traditionis custodes si è abbattuta su una parte del Cattolicesimo francese che faceva parte delle sue «forze vitali».
Ecco perché – afferma la lettera – «ci sono tutte le ragioni per credere che anche la Chiesa di domani in Francia, ridotta a un piccolo numero di Cattolici, non sarà tradizionalista ma chiaramente tradizionalizzata» (ripetiamo: non solo in Francia) ed è necessario dare spazio a «una parte del Cattolicesimo che ancora oggi “funziona”, cioè che riempie le chiese di fedeli, soprattutto giovani e famiglie numerose, che produce vocazioni sacerdotali e religiose e che provoca conversioni».
Non è dunque così provocatorio pensare di riportare una presenza viva del rito romano tradizionale nella «vetrina del Cattolicesimo francese, in questa antica Cattedrale dove i Cattolici di tutto il mondo torneranno ad affluire nel 2024, tra i flussi turistici».
E se l’articolo si limita a Parigi, noi aggiungiamo una domanda a nostra volta non provocatoria: perché non nelle Cattedrali di tutto il mondo?

L.V.


La nostra proposta – riservare una cappella per il rito tradizionale nella Cattedrale metropolitana di Notre-Dame di Parigi – può sembrare una divertente provocazione. Sarebbe sbagliato: così come, in un contesto completamente diverso, la primaziale spagnola, la Cattedrale di Santa Maria di Toledo, comprende una cappella in cui si celebra l’antico rito mozarabico, sarebbe normale che la venerabile liturgia che vi si usa da tempo immemorabile e che attualmente si celebra in più di 450 luoghi di culto nel nostro Paese sia presente nel luogo moralmente centrale del cattolicesimo francese.

Lo stato delle forze cattoliche in Francia

Non c’è altra misura sociologica del peso del Cattolicesimo che quella del numero di messaggeri, e abbiamo un buon criterio della sua «tendenza» esaminando la qualità dei suoi seminaristi, quei giovani la cui motivazione cattolica è sufficientemente forte da spingerli a dedicare la loro vita al ministero sacerdotale.

Su questo secondo punto, la qualità di questi seminaristi, sembra che le vocazioni, sempre più rare, che si presentano negli anni di propedeutica e nei seminari diocesani e regionali, siano estremamente classiche. Paradossalmente, la «generazione Francesco», almeno in Francia, è ancora più tradizionale della «generazione Benedetto XVI» e della «generazione Giovanni Paolo II». Eppure, la supervisione data a questi seminaristi, in ritardo rispetto a questa evoluzione e in opposizione ad essa, cerca di frenare questo orientamento (si veda l’esempio parigino in cui il sacerdote incaricato delle vocazioni è stato «licenziato» senza preavviso da mons. Philippe Marsset, vescovo ausiliare, perché troppo tradizionale, e ancora il modo ostile in cui sono stati trattati i propedeutici dell’anno 2021-2022, il cui numero si è sciolto come neve al sole). In generale, come nel caso di Versailles, dove i numeri sono in calo con l’arrivo di un vescovo «progressista», i candidati preferiscono rivolgersi al seminario della Comunità di San Martino, ai seminari tradizionalisti o a quello dell’Emmanuel.

Questo profilo di candidati al sacerdozio corrisponde, come ci si potrebbe aspettare, all’evoluzione generale dei fedeli praticanti. All’interno di un invecchiamento generale, la nebulosa «conservatrice», per usare le parole di Yann Raison du Cleuziou (Qui sont les cathos aujourd’hui, Desclée de Brouwer, 2014), che costituisce la parte più giovane del Cattolicesimo, è quella che meglio resiste alla secolarizzazione interna del Cattolicesimo e meglio riesce a trasmettere. Infatti, il clero di tipo tradizionalista o la Comunità di San Martino rappresenteranno quasi la metà del clero francese nei decenni a venire e la grande maggioranza del clero attivo. Di quelli che rimarranno, in ogni caso. Esiste inoltre una grande porosità tra il classico e il tradizionale. Non è raro che un seminarista dell’Emmanuel abbia un cugino seminarista della FSSP e che un seminarista della Comunità di San Martino abbia un fratello della FSSPX.

La vicinanza è ancora più forte se il numero dei Cattolici continua a diminuire. I sondaggi indicavano, prima della crisi di Covid, che il numero di Francesi che andavano effettivamente a Messa ogni domenica era sceso sotto il 2%: erano l’1,8% in tutto il Paese, secondo il sondaggio La Croix pubblicato il 12 gennaio 2017. Tuttavia, la cosiddetta crisi sanitaria, gestita in modo suicida dalla gerarchia cattolica, che ha vietato o ridotto drasticamente le celebrazioni e persino vietato battesimi e matrimoni per un certo periodo, ha portato a un ulteriore calo della frequenza domenicale: diversi parrocchiani anziani hanno smesso di andare a Messa la domenica. In alcune parrocchie si parla di un calo del 40%, più in generale del 20-30%. In realtà, è forse meno importante perché ci sono stati anche degli spostamenti: in primo luogo, per avere la Messa la domenica nonostante tutto, e in secondo luogo, a causa del rifiuto della comunione obbligatoria nella mano, un certo numero di fedeli è tornato nei luoghi di culto tradizionali in cui non erano cessate le celebrazioni discrete, oppure in celebrazioni molto classiche dove non viene imposta una pratica di comunione che ripugna al loro istinto di fede.

A ciò si aggiungono le rivelazioni di corruzione morale da parte di alcuni vescovi, che hanno avuto un effetto disastroso sul morale dei fedeli.

Tutto ciò ha avuto conseguenze finanziarie, con un calo delle questue e del denier du culte [l’obolo dei fedeli: N.d.T.] per le diocesi che non hanno più i grandi volumi di eredità del passato. Inoltre, l’elevata età della popolazione delle parrocchie ordinarie – a differenza di quella delle chiese tradizionali, dell’Emmanuel, della Comunità di San Martino o di altri luoghi – fa pensare che, anno dopo anno, il declino continuerà.

L’assurdità del tentativo della lettera apostolica Traditionis custodes

In questo contesto, e in quello più generale dell’avanzata della secolarizzazione aggressiva della società, si è verificato il processo avviato dalla lettera apostolica Traditionis custodes per sradicare la celebrazione della Messa tradizionale nel lungo periodo. Un’ondata di misure pignole (fino a vietare l’annuncio delle Messe tridentine negli organi parrocchiali!), di riduzione del numero delle Messe, di rifiuto da parte di alcune diocesi di rinnovare i contratti con le comunità tradizionali che forniscono sacerdoti per le Messe tridentine, i sacramenti, i catechismi e il lavoro con i giovani, si è abbattuta su una parte del Cattolicesimo francese che faceva parte delle sue «forze vitali».

I classici non capirono la persecuzione dei tradizionalisti e lo fecero notare. Gli articoli di Jean-Marie Guénois su Le Figaro ne sono la testimonianza. Con questo effetto notato in alcune diocesi e di cui si parla poco: un calo delle questue e dei denier du culte [l’obolo dei fedeli: N.d.T.] conseguenti alla lettera apostolica Traditionis custodes, elemento che si inserisce in un clima globale di sfiducia nei confronti del clero «ufficiale».

Per le ragioni sopra esposte riguardo al profilo dei seminaristi oggi, il rientro del 2022 ha visto una crescita molto notevole, dopo alcuni anni più piatti, del numero di ingressi nei seminari tradizionali dell’IBP, dell’ICRSS, della FSSPX e della FSSP (cfr.: Renaissance catholique: Les séminaristes choisissent la messe traditionnelle).

C’è stata anche la strana «condanna» che è toccata al vescovo di Fréjus-Toulon, mons. Dominique Rey, al quale è stato proibito dal card. Marc Armand Ouellet, prefetto del Dicastero per i vescovi (e che è anche ardentemente devoto alla detradizionalizzazione della Congregazione delle Suore domenicane dello Spirito Santo di Pontcallec) di procedere all’ordinazione di quattro sacerdoti. Questo provvedimento ha avuto origine da una lettera pubblica di uno dei sacerdoti della diocesi che accusava il vescovo di «tradizionalizzare» il suo seminario, a cui era seguita una sorta di ispezione a nome della Congregazione del Clero e poi della Congregazione dei Vescovi. Ora, sia per la composizione del corpo di seminaristi – in realtà molto variegato – che scelgono la Diocesi di Fréjus-Toulon, sia per il numero di sacerdoti classici o tradizionali che vi sono accolti – in mezzo a non pochi altri sacerdoti e consacrati provenienti da comunità carismatiche – è ben possibile, ha affermato Jean-Marie Guénois, che Mons. Rey abbia costituito «un laboratorio della Chiesa di domani» («L’effarante décision du Vatican envers le diocèse de Toulon», Le Figaro, 3 giugno 2022).

Ci sono tutte le ragioni per credere che anche la Chiesa di domani in Francia, ridotta a un piccolo numero di Cattolici, non sarà tradizionalista ma chiaramente tradizionalizzata. È quindi assurdo perseguire una politica che, in nome della vecchia ideologia fiorita dopo il Concilio, consiste nello schiacciare una parte del Cattolicesimo che ancora oggi «funziona», cioè che riempie le chiese di fedeli, soprattutto giovani e famiglie numerose, che produce vocazioni sacerdotali e religiose e che provoca conversioni.

L’esempio storico del rito mozarabico: la Cattedrale metropolitana di Notre-Dame come la Cattedrale primaziale di Santa Maria di Toledo

Da qui la nostra idea, per il momento di principio, di chiedere una sorta di riparazione: l’installazione nella Cattedrale, che l’incendio ha mostrato essere il cuore simbolico del Cattolicesimo francese, di una testimonianza visibile e vivente di ciò che il culto in questo edificio è stato per secoli.

La nostra proposta si riferisce a quanto accaduto, in altre circostanze, all’antichissimo rito latino visigoto, noto come rito mozarabico, nella Cattedrale primaziale di Santa Maria di Toledo. Questo rito latino non romano si era conservato nelle terre occupate dai musulmani, dove i Cristiani vivevano in isolamento a causa delle limitate comunicazioni che avevano con il resto della Cristianità latina. In questo periodo la Cristianità latina aveva notevolmente romanizzato la propria liturgia, dal periodo carolingio fino alla riforma gregoriana operata dal monachesimo cluniacense. Anche in Spagna, con il progredire della Riconquista, le province tornate cristiane adottarono la liturgia romana. Tuttavia, vi fu una notevole resistenza popolare a favore della tradizione liturgica mozarabica, che fu mantenuta a Toledo, riconquistata nel 1085, accanto al rito romano.

Senza entrare nei dettagli di questa parte piuttosto movimentata della storia della liturgia spagnola, diciamo solo che si concluse nel 1495, quando il grande studioso e umanista card. Francisco Jiménez de Cisneros, O.F.M.Obs., arcivescovo metropolita di Toledo e primate di Spagna, si occupò della manutenzione di questo venerabile rito. Diresse la redazione di libri mozarabici e, quasi a voler porre questa venerabile liturgia su un candelabro, fondò nella sua Cattedrale la Capilla del Corpus Christi o Capilla Mozárabe [Cappella mozarabica: N.d.T.], servita da tredici canonici che cantavano perennemente la Messa e l’Ufficio mozarabico quotidiano (si veda Schola Sainte-Cécile sur l’esquisse d'une histoire du rite mozarabe).

Mons. Laurent Bernard Marie Ulrich come il card. Cisneros?

Naturalmente, la persistenza del rito mozarabico di fronte al rito romano non ha lo stesso significato di quella del rito romano tradizionale di fronte al rito di san Paolo VI. Nel primo caso non c’era opposizione teologica tra i due riti, mentre nel secondo, come giustamente sottolineano la lettera apostolica Traditionis custodes e la lettera papale che l’accompagna, negando al rito antico la qualità di lex orandi, si crea uno iato tra le espressioni dottrinali rappresentate dai due riti. La liturgia di san Paolo VI e la liturgia tridentina, che ci piaccia o no, sono e restano in discussione.

Poiché stiamo parlando di un culto che viene celebrato, questo dibattito teologico è necessariamente pratico. Chi può temere questo dibattito? In questa vetrina del Cattolicesimo francese, in questa antica Cattedrale dove i Cattolici di tutto il mondo torneranno ad affluire nel 2024, tra i flussi turistici, la presenza viva del rito romano secolare sarebbe benvenuta. L’arcivescovo metropolita mons. Ulrich, come il vecchio arcivescovo metropolita e primate card. Cisneros, compirebbe un’azione pia se accettasse la nostra proposta.

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