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lunedì 6 giugno 2016

Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica «Amoris laetitia» - conclusione.

di don Alfredo Morselli 

A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.

Beato Angelico, Matrimonio della Vergine


Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica

Amoris laetitia

III. Considerazioni finali

1. In Paradiso in carrozza?

Al § 305 di Amoris Laetitia, leggiamo:
"Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà".
È difficile immaginare in concreto un cristiano che si comporta bene ", quando sappiamo bene che "inizia il giudizio dalla casa di Dio" (1 Pt 4,17) e che "ogni tralcio che porta frutto, [il Padre] lo pota perché porti più frutto" (Gv 15,2).
Non esistono, nella storia della salvezza, "i cristiani dalla vita esteriormente corretta" senza la Croce, o che possano permettersi di andare in Paradiso in carrozza.

È pur vero che ciascuno "con tutta umiltà" deve considerare gli altri superiori a se stesso (Fil 2,3), ma ciò è vero per tutti (sposati lecitamente o meno, peccatori o giusti).
  
2. Le pietre e la misericordia

Una domanda che sorge da alcuni passi di Amoris Laetitia riguarda l'identità di non precisati lanciatori di pietre.
§ 49 (grassetto redazionale): "Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l'effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in «pietre morte da scagliare contro gli altri»".
§ 305: "Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite»".
Ci chiediamo a chi possono essere rivolte queste accuse? Forse a Pio XII, l'Angelico Pastore?
Oppure lanciava pietre S. Giovanni Paolo II, vero apostolo della Misericordia? O Benedetto XVI, che se da un lato, come i suoi predecessori, ha ribadito l'impossibilità per alcuni fratelli di accedere ai sacramenti, sicuramente non li emarginava né li riteneva scomunicati, ma accoratamente si raccomandava: "I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli"[1]?
Oppure sono quei poveri preti che, con le lacrime agli occhi, spesso beffeggiati dai confratelli e non sostenuti dai Vescovi, obbediscono al Magistero e per questo si sentono rimbrottati dai fedeli "Come mai il parroco tal dei tali ci dà la Comunione e Lei no?"

Inoltre, bisogna stare attenti, a forza di accusare "i farisei", a non rovesciare la parabola del fariseo e del pubblicano, e così non ci scappi un inconscio «Ti ringrazio Signore, perché non sono come questo fariseo… Io non sono attaccato alle forme e al danaro, ai riti esterni e alle certezze teologiche, etc. etc.…"

Detto questo, accolgo in ogni modo la raccomandazione del Papa, perché il pericolo di usare come pietre la Verità potrebbe esserci; ma vedo ben maggiore oggi un altro pericolo: quello di usare la Misericordia come una maschera.

3. La maschera della misericordia

La misericordia può venire usata come una maschera che nasconde l'amore di Dio Creatore, che ci ha plasmati secondo un piano sapiente (che sappiamo essere una Persona, lo stesso Gesù Cristo) e quindi con una legge: questa legge non opprime, ma libera la nostra libertà, e la trasgressione implica la morte non per un atto vendicativo di Dio, ma per un nostro radicale mal funzionamento, alla lunga suicida.
Ed ecco che la parola misericordia può essere usata dal demonio: "Non morirete affatto! (Gen 3,4), fate pure come volete, andate dove vi porta il cuore…, poverini, fate pure anche voi la S. Comunione. Non più è vero, non si può più dire che «fra i cristiani una qualsiasi altra unione tra un uomo e una donna al di fuori del sacramento, fatta anche in forza della legge civile, è una forma di esiziale concubinato»[2]… oggi non è più esiziale…"

La misericordia può diventare una maschera che nasconde l'amore di Cristo che ci circonda (cfr. 2 Cor 5,14), l'Amore che conta i capelli del nostro capo: fatta salva nel modo più assoluto la nostra libertà, è verissimo anche che non si muove foglia che l'Amore non voglia: ed è un Amore che trasforma le disavventure – e gli stessi castighi che ci creiamo con i peccati – nelle migliori condizioni per santificarci, purché abbracciamo ogni momento la croce di Cristo che è la Nostra Croce (simul mia e Sua).
In tutto questo la parola misericordia può essere usata per indicare una seconda maschera diabolica, per farci dimenticare la provvidenzialità e la soprannaturalità delle prove e travestirle da difficoltà insormontabili, guardando solo la nostra debolezza e non la Grazia che c'è sempre: " È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino? (Gen 3,1)"
Il demonio ha ingigantito la difficoltà, ha presentato il comandamento di Dio come una legge tirannica, impossibile ad osservarsi… nessun albero, quando invece l'albero da cui non si poteva mangiare era uno solo.

Oltre ai testi citati nel presente studio, vengono buone, a questo proposito, le parole di S. Ignazio di Loyola:

"Settima regola. Chi si trova nella desolazione, consideri che il Signore, per provarlo, lo ha affidato alle sue forze naturali, perché resista alle diverse agitazioni e tentazioni del demonio; e può riuscirci con l'aiuto di Dio che gli rimane sempre, anche se non lo sente chiaramente. È vero, infatti, che il Signore gli ha sottratto il molto fervore, il grande amore e la grazia abbondante; però gli ha lasciato la grazia sufficiente per la salvezza eterna"[3].

Il Papa al § 312 ribadisce che "conviene sempre considerare «inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l'onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia»"[4].
Ma non sarebbe forse la più grande negazione della misericordia di Dio il solo pensiero che Egli possa lasciare le persone intrappolate nella situazione – a questo punto sono negate logicamente anche la Provvidenza e il Governo del mondo da parte di Dio – e senza la grazia non dico sufficiente ma sovrabbondante? Se la difficoltà e x, la grazia sarà sempre x+1.
Certamente non si deve esigere o pretendere la santità altrui, o disprezzare fatica e cadute di chi è animato da sincera volontà, ma non si può negare che possiamo e dobbiamo arrivare in vetta, prendere il largo, Duc in altum, come diceva Gesù (Lc 5,4) e come raccomandava S. Giovanni Paolo II all'inizio del nuovo millennio[5].

Infine la misericordia può diventare una maschera che nasconde la pusillanimità e la paura di chi è invece inviato ad annunciare il Vangelo.

a) La pusillanimità: come mente a se stesso chiunque pensi di aver commesso un peccato che Dio non è in grado di perdonare, proiettando su Dio la propria meschinità, così è possibile che il nostro cuore, non in tensione verso grandi cose, attribuisca la propria pusillanimità al prossimo - nella fattispecie il cosiddetto divorziato risposato – e lo immagini necessariamente incapace di spiccare il volo.
Il povero "divorziato risposato" è, in fin dei conti, considerato un bruto, mediocre[6], tiepido, incapace di resistere alla tentazione[7], neppure in grado - per la situazione - di cogliere il diritto naturale primario; non si può altro che dirgli, con la maschera della misericordia: "coabita pure uxorio modo con chi non è tuo vero coniuge".
Il nostro, poi, per poter fare la Comunione, non può neppure decidere da solo, ma se la deve vedere con un prete![8]

b) La paura: non intendo qui la paura di essere perseguitati da un uditorio che non ne vuol sapere del Vangelo, ma la paura del profeta Giona, che non solo non credeva inizialmente che la predicazione della verità fosse efficace, ma che è rimasto addirittura amareggiato del suo successo.
Oso ipotizzare che se Giona, anziché dire "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta" (Gio 3,4), avesse detto: "Vista la vostra situazione e la vostra cultura, tenendo conto dell'indebolimento delle vostre capacità naturali, essendoci in tutto quello che fate degli elementi di verità etc. etc.", i Niniviti lo avrebbero cacciato in malo modo.
In questo caso il demonio usa la misericordia come maschera per nascondere la mancanza di ardore apostolico e di fede nella potenza della Resurrezione, che opera in chi annuncia il Vangelo con franchezza.

IV.       Conclusione.

1. Prime risposte ai dubbi inziali.


Dopo questa lunga meditazione sul Magistero possiamo ora dare una risposta alle domande che ci eravamo fatti all'inizio del nostro studio:

1)    Si possono dare atti umani (che procedono dalla libera volontà umana) intrinsecamente cattivi, ovvero atti che, posta la piena avvertenza e il deliberato consenso, sono sempre peccato grave?

R: Sì (De fide catholica[9])

2)    È possibile che l'uomo si trovi in una situazione dove non abbia altra possibilità che quella di compiere un atto intrinsecamente cattivo?

R. No (De fide divina et catholica[10])

3)    È possibile ammettere l'epikeia per i precetti negativi del diritto naturale?

R. No (Theologice certum[11])[12]

4)    Una persona cattolica, finché, con piena consapevolezza della legge di Dio e della Chiesa, con deliberato consenso, sceglie di convivere uxorio modo con una persona dell'altro sesso, senza che tale convivenza sia stata benedetta dal sacramento del matrimonio, può ricevere validamente l'assoluzione sacramentale?

R. No (De fide divina et catholica)

5)    Il desiderio della grazia sacramentale, l'impossibilità di interrompere la convivenza a motivo dei figli o di altri gravi fattori, l'affetto consolidatosi nel tempo, la fedeltà reciproca dei conviventi, il matrimonio civile già celebrato, l'impossibilità di ricevere la dichiarazione di nullità del precedente matrimonio rato e consumato, la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio sacramentale fosse invalido, possono essere circostanze che rendano legittima e valida l'assoluzione di cui al punto 4)?

R. No (De fide divina et catholica)

6)    Ammessa l'impossibilità materiale di interrompere la convivenza di cui ai punti 4) e 5), possono esserci condizioni oggettive e soggettive che rendano impossibile la sua "regolarizzazione", attraverso il vero e fermo proposito di vivere castamente la suddetta convivenza, "come fratello e sorella"? In caso affermativo, quali sarebbero tali circostanze?

R. No (De fide divina et catholica)

7)    Il sacerdote che negasse l'assoluzione sacramentale di cui ai punti 4) e 5), nonostante l'insistenza del penitente, e il dolore di quest'ultimo per l'assoluzione negata, può esser considerato come un "duro di cuore" e, perciò, rimproverato per la sua mancanza di misericordia e, magari, punito dal suo Ordinario?

R. No

8)    Il sacerdote che, commosso per la sofferenza del penitente, o per altri motivi, concedesse l'assoluzione di cui ai punti 4) e 5), compie un atto sacrilego, e perciò è meritevole di rimprovero e, eventualmente, di altri provvedimenti correttivi, da parte del suo Ordinario?

R. Sì

9)    Il sacerdote che negasse pubblicamente la comunione sacramentale a conviventi notori, di cui ai n.n. 4) e 5), può essere rimproverato e/o punito come nel caso al punto 7)?

R. No

Confrontando questa sintesi del Magistero precedente con alcune affermazioni di Amoris laetitia, si può dire che, se è ineluttabile, definitivo, entusiasmante, il dovere dell'annuncio della misericordia, di essere Chiesa-in-uscita e Chiesa-ospedale-da-campo (idea opposta all'ecclesiologia luterana e calvinista), non di meno il recente documento salta sul cavallo della misericordia con troppa foga, ricadendo - con alcune formulazioni molto discutibili - dalla parte opposta a quel rigorismo che pure, per altro verso, è condannabile.


2. La «dottrina dell'oggetto» è la mano tesa della Misericordia divina.


Concludo sottolineando che sono quanto mai unito e obbediente al successore di Pietro nella volontà di essere apostolo della Misericordia: ma vorrei quasi gridare che l'annuncio della misericordia, a questo mondo in frantumi, è possibile solo rimanendo saldamente aggrappati alla «dottrina dell'oggetto»[13], al senso oggettivo dell'agire umano (morale che invece Papa Francesco sembra temere).

Alla donna "peccatrice" del Vangelo di S. Luca (in realtà, a quel punto, "ex peccatrice"), "sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato"[14]: allo stesso modo, il mondo riamerà Gesù Cristo se avrà coscienza che non gli è stato perdonato poco (colui al quale si perdona poco - un atto cattivo falsamente reso buono dalle circostanze - ama poco), ma che gli sono stati perdonati peccati enormi (materia grave, piena avvertenze e deliberato consenso), perché Gesù è colui che perdona molto, non poco. Di fronte a questi grandi peccati c'è la misericordia per il passato e la grazia per il presente e il futuro, per arrivare alla vittoria finale: "…non c'è più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù"[15].
Non di tratta dunque di lanciare pietre, ma di annunciare: "et nos cognovimus et credidimus charitati". Di fronte alla menzogna del diavolo che insinua: la legge opprime, non ce la potrai mai fare, noi invece confessiamo: abbiamo conosciuto e creduto all'amore che Dio ha in noi"[16].

Mi metto con questi sentimenti alla scuola di S. Ignazio di Loyola, che nei suoi Esercizi spirituali pone il colloquio della misericordia dopo le meditazioni sul peccato.
Prima di questo colloquio, nei due primi esercizi della prima settimana, il fondatore dei gesuiti ci invita a chiedere vergogna e confusione di noi stessi richiamando alla memoria la gravità e malizia del peccato contro il suo Creatore e Signore, crescente e intenso dolore e lacrime per piangere i [propri] peccati e a pesare i propri peccati vedendo la bruttezza e la malizia intrinseca che ogni peccato mortale commesso ha in sé, anche se non fosse vietato[17].

Solo dopo S. Ignazio propone quello che i predicatori di esercizi chiamano "il colloquio della misericordia":
"Terminerò con un colloquio, nel quale esalterò la misericordia del mio Dio, rendendo grazie per avermi conservato la vita fino a questo momento, e prendendo la risoluzione di correggermi con il soccorso della sua grazia"[18].
Il Papa, sostanzialmente, propone al mondo il colloquio della misericordia: "Benissimo Santità, la seguiamo, con gioia ed entusiasmo"; ma per fare bene il colloquio della misericordia bisogna rimanere ancorati alla morale dell'oggetto, bisogna vedere prima "la bruttezza e la malizia intrinseca che ogni peccato mortale commesso ha in sé, anche se non fosse vietato".
N.B.: S. Ignazio usa il termine vedere per indicare che non è sufficiente avere una conoscenza intellettualistica del peccato, ma bisogna quasi toccarlo con mano, nella sua realtà, nella sua bruttezza, senza sconti: è un orrore di cui il peccatore si è appropriato: "Il secondo esercizio è la meditazione sui propri peccati"[19].

La vittoria sul peccato si ottiene accusando se stessi, non scusandosi: diceva S. Giovanni Paolo II nel 1983:
"Nel mistero della riconciliazione con Dio, nel Sacramento in cui si compie questa riconciliazione, l'uomo accusa se stesso confessando i suoi peccati; e mediante ciò toglie la potenza a quell'Accusatore che, giorno e notte, accusa ognuno di noi, e l'umanità intera, davanti alla Maestà del Dio tre volte santo. Infatti, quando l'uomo accusa davanti a Dio se stesso, quella confessione delle colpe, nata dal pentimento, unita nel sacramento della Riconciliazione al Sangue dell'Agnello, porta la vittoria!"[20]
Allora, se la vittoria arriva con la confessione, chi non può confessarsi non vince? Cominci con l'accusarsi e comincerà a vincere; già l'accusa di se stesso è un atto mosso da una grazia attuale, è un segno che Dio ci ha trovati, una promessa di Gesù che ci dice che, se vogliamo, potremo proseguire fino al traguardo; tutti quelli che raggiungono una meta hanno cominciato da un primo passo; dopo il primo passo, avremo la grazia per il secondo e così via.
Sebbene la velleità o volontà imperfetta di non voler peccare non sia sufficiente per ricevere l'assoluzione, non di meno anche questo inizio di volere è mosso dalla grazia.
Tanto il peccatore quanto il giusto[21], che cercano Dio, in qualche modo lo hanno già trovato[22], o meglio, sono già stati trovati da Lui. Il desiderio di ricevere l'assoluzione e di accostarsi all'Eucarestia deriva dal Cuore di Colui che ha detto: “desiderium desideravi, "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione" (Lc 22, 15)”: questa grazia è una garanzia, assolutamente de congruo, misericordia Dei revelata supposita, un pegno di altre grazie future.
È per questo che San Francesco di Sales può dire, sia al giusto che al peccatore: "…quando sentiamo in noi il desiderio del sacro amore, sappiamo di cominciare ad amare… (perché) il desiderio di amare e l'amore dipendono dalla medesima volontà; perciò, appena abbiamo formulato il vero desiderio di amare, cominciamo ad avere amore, e di mano in mano che questo desiderio cresce, aumenta anche l'amore. Chi desidera ardentemente l'amore, amerà ben presto con ardore"[23].
Tanto il giusto quanto il peccatore che chiede l'assoluzione, ma non ha ancora le disposizioni necessarie per riceverla, desiderano ardentemente l'amore: unica è la meta per entrambi, anche se il giusto ha già valicato il colle della giustificazione, mentre il peccatore si sta ancora arrampicando verso questa prima tappa intermedia.
Sant'Agostino può dunque esortare entrambi: "Ti dispiaccia sempre ciò che sei, se vuoi guadagnare ciò che non sei… Aggiungi sempre, avanza sempre, progredisci sempre. Non fermarti lungo la via, non indietreggiare, non deviare"[24].
L'accompagnamento dei cosiddetti divorziati risposati (e di tutti i peccatori … compreso chi scrive) non è altro che incoraggiarci a vicenda in questo modo. Si tratta di esortarci ad accogliere le continue grazie attuali, le divine attenzioni, i divini richiami, con la preghiera, con la carità fraterna, con la misericordia, con l'ascolto della parola di Dio, con la devozione alla Madonna etc.

Il cammino di conversione non è altro, una volta presa la decisione di convertirsi, se non lasciare che la grazia trasformi la velleità di esser buoni in vera buona volontà. Se è verissimo che né pentere (ricevere l'assoluzione e quindi poter ricevere l'Eucarestia) e volere (continuare uno stato di sostanziale concubinato) insieme puossi[25], è altrettanto vero che si può dare il via ad una serie di atti che porteranno finalmente a un santo ed eroico non volere più peccare.
Così, chi si trova in stato di peccato, accogliendo una grazia attuale, ne attira subito un altra, e così via, fino alla decisione di abbandonare lo stato di peccato mortale.
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia[26] può intendersi sia di chi progredisce nella carità (e allora con grazia su grazia si intende la crescita della carità , mediante l'infusione di una maggior grazia abituale), sia di chi alla carità si avvicina, pur a piccoli passi (e allora con grazia su grazia possiamo intendere grazia attuale su grazia attuale).

Ma se uno non è in grazia di Dio, la Comunione sacramentale sarebbe un farmaco contro-indicato, non per un decreto positivo ecclesiastico, ma per la verità delle cose: la Comunione sacramentale richiede, per sua natura, lo stato di grazia: non è vietata, ma non corrisponde all'essere di quella tappa del cammino verso l'unione con Gesù, che viene detta preparazione alla giustificazione.
Di fronte allo scoraggiamento indotto dal demonio, quando questi dipinge come impossibile uscire dallo stato di peccato (giacché "è proprio del cattivo spirito di causare [nelle persone che lavorano coraggiosamente a purificarsi dei loro peccati] tristezza e tormenti di coscienza, e di alzare ostacoli, di inquietare con false ragioni, al fine d'arrestare i loro progressi nel cammino della virtù")[27], annunciamo la vittoria della grazia: sufficit tibi gratia mea, "ti basta la mia grazia"[28].

La morale oggettiva, che dichiara la realtà del peccato, non occultandolo nella situazione e nelle circostanze, ne rende possibile l'accusa e quindi ne rende possibile il perdono: rende evidente al peccatore ciò da cui, seppure con fatica, ma con l'auto della grazia, egli deve e può - in ogni situazione - allontanarsi: la dottrina dell'oggetto è dunque la mano tesa della misericordia divina.
L'etica della situazione è invece la negazione della misericordia, perché, con falsa compassione, lascia l'uomo nel pantano del suo peccato; la nuova morale non ha niente da farsi perdonare; anzi, nasconde a Dio proprio ciò che Dio vuole perdonare.

Oscar Wilde diceva: "La Chiesa Cattolica è soltanto per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili va bene la Chiesa Anglicana"[29]. A conclusione di questo studio, oso modificare questo aforisma: "La Chiesa Cattolica è soltanto per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili va bene l'etica della situazione".

*    *    *
Ho scritto queste pagine, condividendo quanto afferma R. Spaemann: "Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l'ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente"[30].
Nuovamente dichiaro che intendo per ritrattato tutto quello che, contro la mia volontà e senza alcuna mia consapevolezza, fosse contrario a quanto la Chiesa propone a credere.

Faccio mio il proposito della Beata Giacinta Marto, la pastorella di Fatima, come ci è raccontato da Suor Lucia:
"Ci vennero ad interrogare due sacerdoti, che ci raccomandarono di pregare per il Santo Padre. Giacinta domandò chi era il Santo Padre e quei buoni sacerdoti ci spiegarono chi era e come aveva molto bisogno di preghiere. Giacinta cominciò ad amare tanto il Santo Padre che, ogni volta che offriva i suoi sacrifici a Gesù aggiungeva: è per il Santo Padre"[31].



[1] Esort. apost. Sacramentum Caritatis, 22-2-2007, § 29:
[2] Pio IX, Allocuzione al Concistoro segreto, 27-9-1852, cit. in Istruzione della S. Penitenzieria, 15-1-1866, DS/40 2991.
[3] S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, § 320.
[4] Citando il documento della Commissione Teologica InternazionaleLa speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo (19 aprile 2007), 2.
[5] Cfr. Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6-1-2001
[6] Affermava il Card. W. Kasper: "Non siamo in grado, come esseri umani, di raggiungere sempre l'ideale, la cosa migliore" e "…l'eroismo non è per il cristiano medio"; «Ecco gli argomenti per la comunione ai divorziati risposati» intervista di A. Tornielli al Card. Kasper, 8.5.2014, http://tinyurl.com/jo4o7un.
[7] Secondo il P. G. Cavalcoli O.P. i conviventi sarebbero esposti alla "forza soverchiante della tentazione", data la "forte occasione inevitabile, che vince la resistenza di una buona volontà contraria"; «La comunione ai risposati non tocca la dottrina ma la disciplina», intervista di Andrea Tornielli a P. Giovanni Cavalcoli O.P., 17-10-2015.
[8] Mons. Vincenzo Paglia ha così risposto in un'intervista alla domanda "Chi decide [l'ammissione ai sacramenti]?": "Il confessore in dialogo col fedele…", cfr. http://tinyurl.com/je8wwxk.
[9] Proposto a credere costantemente dal Magistero della Chiesa.
[10] "Inoltre con fede divina e cattolica, si deve credere tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone di credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario e universale" ("Porro fide divina et catholica ea omnia credenda sunt, quae in verbo Dei scripto vel tradito continentur et ab Ecclesia sive a solemmni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur"); Concilio Vaticano I, Const. dogm. Dei filius, cap. III, DS/40 3011.
[11] Dalla sua negazione segue la negazione di qualche dogma o di qualche verità di fede divina.
[12] Riporto alcune lucide spiegazioni di autori probati per cui non si dà epikeia nei precetti negativi che obbligano semper et pro semper. Fondamentale è la spiegazione dei Salmaticenses, Cursus theologiae moralis, t. III, Venetiis 1764, tf. XI, c. IV, punctum IV, n. 41: "Haec autem virtus epikeia non solum habet locum respectu legis humanae; sed etiam respectu divinae et naturalis. Pro quo nota, quod cum lex universaliter loquatur, potest aliquando habere universalitatem, non solum in communi, sed pro singularibus casibus particularibus; et tunc hoc evenit, quando est lex negativa prohibens quod ab extrinseco est malum ut mentiri, fornicari, falsum iuramentum emittere, blasphemare: et tunc non habet locum epikeia: quia cum non possit denudari a malitia illa materia, in omni casu et eventu illa lex obligat, et sic in ea numquam licet praeter verba legis agere. Aliquando vero licet lex loquatur in communi, non tamen ad omnes casus particulares extenditur, sed recte interpretamur, legislatorem noluisse illu casum particularem oh singulares circumstantias sub lege comprehendere; sed noluit hoc exprimere, vel quia eius notitia est limitata, et non potest ad omnes casus, qui possunt occurrere, se extendere, ut accidit in legislatore humano; vel si norma eius illimitata est, ut in legislatore divino contingit, noluit exprimere in particulari casu, quos volebat eximere, vel comprehendere, ut vitaret prolixitatem, et confusionem in lege, ut inquit D. Th. 1.2, q. 96. a.6, sciens dari virtutem epikeiae, per quam possunt homines universalitatem legis corrigere, et secundum circumstantias occurrentes illius voluntatem interpretari. Et id contingit, quando illa res praecepta potest denundari a malitia, quia tunc potest habere locum epikeia". Altri autori: Pio Van Der Velden, Principia Theologiae moralis, t. I, Tornaci 1875, p. 130: "Epikia stricte sumpta cadere nequit in legem divinam, ut patet ex eius definitione: Deum quippe de futuris latere nihil potest. Nihilominus lex divina positiva non obligat cum gravi incommodo aut damno […] De lege naturali pariter certum est, quod ea cum gravi incommodo non obliget, si sit affirmativa: exempla de praecepto eleemosynae et correctionis fraternae id probant apud omnes. Si autem sit negativa, et malitia intrinseca omnino tolli nequeat, quocumque in casu observanda est. Hinc numquam licita sunt: blasphemia, contemptus legis, qui sit formalis; eo quod directe vel indirecte contemnatur tunc Deus ipse". P . G. Antoine, Theologia moralis, t. II, Avenione 1818, p. 112: "Epikiia est benigna et rationabilis interpretatio, casum aliquem particularem ob suas circumstantias non comprenhendi Lege, quamvis per verba generalia lata: ideoque Legem non obligare in tali casu. Hinc sola Lex positiva admittit Epikiiam non naturalis; quia sola Lex positiva statuit per verba generalia, quae restringenda sunt ex aequitate in certis casibus. At Lex naturalis excipit omnes casus excipiendos: est enim ordinatio divina per dictamen rationis intimata de omnibus et singulis, quae ex natura rei agenda ve! omittenda sunt ad honeste ac recte vivendum". A. J. J. F. Haine, Theologiae moralis elementa, Lovanii, 1894, p. 158: "Epikeia vero, cum sit quaedam legis correctio, eo quod legislator non omnes casus particulares praevidere potuerit, proprie locum habere non potest in lege divina et naturali; bene vero in omnibus legibus humanis". Le quattro citazioni sopra riportate sono riprese da: E Lio O.F.M, «Morale perenne» e «morale nuova» nella formazione ed educazione della coscienza, Roma: PUL, 1979, pp. 316-17, grassetto redazionale.
[13] Con dottrina dell'oggetto intendiamo quanto Giovanni Paolo II insegnava al § 82 di Veritatis splendor: "La dottrina dell'oggetto, quale fonte della moralità, costituisce un'esplicitazione autentica della morale biblica dell'Alleanza e dei comandamenti, della carità e delle virtù. La qualità morale dell'agire umano dipende da questa fedeltà ai comandamenti, espressione di obbedienza e di amore. È per questo — lo ripetiamo — che è da respingere come erronea l'opinione che ritiene impossibile qualificare moralmente come cattiva secondo la sua specie la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati, prescindendo dall'intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell'atto per tutte le persone interessate. Senza questa determinazione razionale della moralità dell'agire umano, sarebbe impossibile affermare un «ordine morale oggettivo» e stabilire una qualsiasi norma determinata dal punto di vista del contenuto, che obblighi senza eccezioni; e ciò a scapito della fraternità umana e della verità sul bene, e a detrimento altresì della comunione ecclesiale"; http://tinyurl.com/h2smc7b.
[14] Lc 7, 47.
[15] Rm 8,1.
[16] 1 Gv 4,16.
[17] Esercizi spirituali, § 48e 57 passim.
[18] Esercizi spirituali, § 61.
[19] Esercizi spirituali, § 55.
[20] Solenne concelebrazione eucaristica per l'apertura della VI assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, Omelia di Giovanni Paolo II, Basilica Vaticana - Giovedì, 29 settembre 1983, http://tinyurl.com/zjx9eng.
[21] Riprendo anche qui da: «"Inaccettabile". Il documento base del sinodo "compromette la verità"», http://tinyurl.com/jotjuse.
[22] Cfr. Pascal, Pensées, 553: "Consolati, tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato".
[23] San Francesco di Sales, Trattato dell'amor di Dio (a c. di F. Marchisano), XII, 2, Torino: UTET, 1969, pag. 896.
[24] "Dicitis: Quid est ambulare? Breviter dico: Proficere; ne forte non intellegatis, et pigrius ambuletis. Proficite, fratres mei, discutite vos semper sine dolo, sine adulatione, sine palpatione. Non enim aliquis est intus tecum, cui erubescas, et iactes te. Est ibi, sed cui placet humilitas, ipse te probet. Proba et te ipsum tu ipse. Semper tibi displiceat quod es, si vis pervenire ad id quod nondum es. Nam ubi tibi placuisti, ibi remansisti. Si autem dixeris: Sufficit; et peristi. Semper adde, semper ambula, semper profice; noli in via remanere, noli retro redire, noli deviare. Remanet, qui non proficit; retro redit, qui ad ea revolvitur unde iam abscesserat; deviat, qui apostatat. Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam. Conversi ad Dominum, etc". Sermo 169, 15 (18), http://tinyurl.com/z8wfr7o.
[25] "…ch'assolver non si può chi non si pente,/né pentere e volere insieme puossi/per la contradizion che nol consente"; D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXVII, 118-120.
[26] Gv 1, 16.
[27] Esercizi spirituali, § 315.
[28] 2 Cor 12,9.
[29] "The Catholic Church is for saints and sinners alone. For respectable people, the Anglican Church will do"; Oscar Wilde, Epigrams, Ware:Wordsworth Editions, 2007, p. 112.
[30] «Spaemann: "È il caos eretto a principio con un tratto di penna"», in Settimo Cielo, http://tinyurl.com/gnvo33v.
[31] P. Luigi Kondor, SVD - P. Dr. Joaquin M. Alonso, CMF (†1981) a c. di, Memorie di Suor Lucia, Volume I, Fatima: Secretariado dos Pastorinhos, 2005, p. 50.