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venerdì 10 luglio 2009

L'enciclica del Papa affronta il tema della libertà religiosa

Dopo quello da noi pubblicato stamane sulla continuità pre e postconciliare del magistero sociale cattolico, ecco altri due brani dell'enciclica Caritas in Veritate. Il Papa affronta il punto del diritto alla libertà religiosa e la considera sotto due aspetti, entrambi "difensivi": evitare la costrizione violenta in nome della religione (con espresso riferimento al terrorismo fondamentalista) e evitare anche la diffusione dell'indifferentismo religioso o dell'ateismo pratico (in una parola, il laicismo).
Ora: se la propaganda religiosa è condannata solo in quanto violenta, il laicismo come diffusione di pensiero areligioso viene dal Papa condannato in sé, pur se i mezzi di tale propaganda siano tutt'altro che violenti, ma legali (mass media, legislazione laicista, ecc.). La distinzione ci pare rilevante: ove fosse la religione a disporre di quei mezzi, l'uso ne sarebbe quindi lecito (finché non si arrivi alla violenza e costrizione), laddove invece l'uso per fini opposti (per la propagazione dell'errore, in questo caso l'irreligione) non pare avere, nelle parole del Papa, gli stessi diritti, essendo tacciato d'essere un attentato alla libertà religiosa.
In altri termini: il Papa discrimina contro il laicismo. Non discrimina invece apertamente tra le diverse religioni, i cui metodi di proselitismo vengono condannati solo in quanto costrittivi. Ma considerata la realtà delle cose, ossia che il cattolicesimo attuale è lontano anni luce dal pensare di convertire chicchessia con la forza, a differenza di altre confessioni molto aggressive come l'Islam, non pensate che queste parole del Papa siano non lontanissime dai principii dettati dalla Chiesa (in tempi radicalmente diversi sotto il profilo sociologico) in materia di tolleranza e libertà religiosa?
Questa conclusione ci sembra corroborata dal secondo brano sotto riportato, sia pure con linguaggio che avrebbe potuto essere più esplicito (ma il timore della chiarezza, si sa, è uno degli "errori del suo tempo" - ossia del nostro - come diceva Manzoni per giustificare il card. Federigo che credeva alle streghe): si dice che non tutte le religioni sono eguali, ma questa frase si può intendere col significato che alcune religioni sono migliori di altre, oppure che una sola, quella cattolica, è "più eguale" delle altre. E' anche vero, peraltro, che il Papa sta qui parlando dell'influsso delle religioni nella vita sociale e economica; e in questi termini esclusivamente "mondani" si possono riconoscere meriti moralizzanti anche ad altre religioni, forse (forse...) perfino alla pari con il cattolicesimo.


29. C'è un altro aspetto della vita di oggi, collegato in modo molto stretto con lo sviluppo: la negazione del diritto alla libertà religiosa. Non mi riferisco solo alle lotte e ai conflitti che nel mondo ancora si combattono per motivazioni religiose, anche se talvolta quella religiosa è solo la copertura di ragioni di altro genere, quali la sete di dominio e di ricchezza. Di fatto, oggi spesso si uccide nel nome sacro di Dio, come più volte è stato pubblicamente rilevato e deplorato dal mio predecessore Giovanni Paolo II e da me stesso [68]. Le violenze frenano lo sviluppo autentico e impediscono l'evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico e spirituale. Ciò si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista [69], che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impiego pacifico e civile. Va però aggiunto che, oltre al fanatismo religioso che in alcuni contesti impedisce l'esercizio del diritto di libertà di religione, anche la promozione programmata dell'indifferenza religiosa o dell'ateismo pratico da parte di molti Paesi contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane. Dio è il garante del vero sviluppo dell'uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad “essere di più”. L'uomo non è un atomo sperduto in un universo casuale [70], ma è una creatura di Dio, a cui Egli ha voluto donare un'anima immortale e che ha da sempre amato. Se l'uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all'orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l'uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo. Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all'amore divino [71]. Capita anche che i Paesi economicamente sviluppati o quelli emergenti esportino nei Paesi poveri, nel contesto dei loro rapporti culturali, commerciali e politici, questa visione riduttiva della persona e del suo destino. È il danno che il « supersviluppo » [72] procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal « sottosviluppo morale » [73].

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[55] [..] Un possibile effetto negativo del processo di globalizzazione è la tendenza a favorire tale sincretismo [132], alimentando forme di “religione” che estraniano le persone le une dalle altre anziché farle incontrare e le allontanano dalla realtà. Contemporaneamente, permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche, in credenze magiche irrispettose della dignità della persona, in atteggiamenti di soggezione a forze occulte. In questi contesti, l'amore e la verità trovano difficoltà ad affermarsi, con danno per l'autentico sviluppo.
Per questo motivo, se è vero, da un lato, che lo sviluppo ha bisogno delle religioni e delle culture dei diversi popoli, resta pure vero, dall'altro, che è necessario un adeguato discernimento. La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali [133]. Il discernimento circa il contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto per chi esercita il potere politico. Tale discernimento dovrà basarsi sul criterio della carità e della verità. Siccome è in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto della possibilità di emancipazione e di inclusione nell'ottica di una comunità umana veramente universale. « Tutto l'uomo e tutti gli uomini » è criterio per valutare anche le culture e le religioni. Il Cristianesimo, religione del « Dio dal volto umano » [134], porta in se stesso un simile criterio.
56. La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo « statuto di cittadinanza » [135] della religione cristiana. La negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione e ad operare perché le verità della fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze negative sul vero sviluppo. L'esclusione della religione dall'ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l'incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell'umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell'umanità.

Fonte: Vatican.va

4 commenti:

  1. Come spieghiamo però questa storia del "tutto l'uomo e tutti gli uomini"? C'è una dimensione umana, troppo umana...in questa enciclica:


    Il discernimento circa il contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto per chi esercita il potere politico. Tale discernimento dovrà basarsi sul criterio della carità e della verità. Siccome è in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto della possibilità di emancipazione e di inclusione nell’ottica di una comunità umana veramente universale. «Tutto l’uomo e tutti gli uomini » è criterio per valutare anche le culture e le religioni. pag.94

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  2. Facendo eco ai dubbi di Anonimo...
    mi chiedo:
    Quante "mani" hanno lavorato
    a quest'enciclica?
    Quanto lavorio "a monte"
    e che cosa giunge "a valle"?
    Forse è utile leggere il seguente
    articolo:
    www.paolorodari.com/2009/07/07/due-anni-di-lavoro-per-lenciclica-due-anni-di-testi-bocciati-da-ratzinger/
    che ci indica
    "chi è stato ad aiutare maggiormente Benedetto XVI nella stesura della sua enciclica dedicata ai temi sociali, la Caritas in veritate (la firma è del 29 giugno), delle tre lettere encicliche di Papa Ratzinger la più difficile per ideazione e gestazione."

    Pongo le domande a nome degli ingenui come me, che hanno sempre creduto che le encicliche le scrivesse il Papa, da solo.

    Interessante anche l'acuta e disincantata analisi dello studioso George Weigel, riportata su:
    fidesetforma.blogspot.com/2009/07/caritas-in-veritate-in-oro-e-rosso.html

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  3. Il buio sul Vaticano...10 luglio 2009 alle ore 10:28

    Segnalo anche questo link:

    http://fidesetforma.blogspot.com/2009/07/lobbies-vaticane-ed-umanitarismo.html

    L'enciclica è opera di Mons. Crepaldi?

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  4. Non vedo una grande variazione nel pensiero del Pontefice. Di fatto sostiene la libertà religiosa e esclude che essa possa portare all'indifferentismo religioso...

    Non la pensava così Leone XIII: "[...] E a chi si chiede quale unica religione sia doveroso seguire, tra le molte esistenti e tra loro discordi, la ragione e la natura rispondono: certamente quella che Dio ha prescritto e che gli uomini possono facilmente riconoscere da certi aspetti esteriori con cui la divina provvidenza volle distinguerla, poiché in una questione di tanta importanza ogni errore produrrebbe immense rovine. Perciò, una volta concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce all’uomo la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto dovere, e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù di un’anima avvilita nel peccato. [...] Perciò è necessario che la società civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua sovranità. Pertanto, la giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli stessi diritti ad ognuna indistintamente. Dunque, dal momento che è necessaria la professione di un sola religione nello Stato, è necessario praticare quella che è unicamente vera e che non è difficile riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici, per le note di verità che in essa appaiono suggellate." (Enciclica Libertas).

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La Redazione