Il blog di P. Matias Augé, che talvolta ci onora della sua presenza in questo blog (a sua lode: son pochi i liturgisti che accettino di confrontarsi con i tradizionalisti retrogradi ed ignoranti per definizione), pubblica un lungo articolo di G. Boselli, monaco di Bose, su "Spiritualità e liturgia del ministero presbiterale". Ne riportiamo l'ultima parte. L'interesse del testo è, in particolare, nel fatto che riporta le constatazioni dell'episcopato italiano circa il sostanziale fallimento della riforma liturgica, che ha portato alla più grave e micidiale delle conseguenze: l'interruzione della trasmissione generazionale della fede. Naturalmente, i vescovi constatano questo esito concreto (che è sotto gli occhi di tutti) senza dire una parola contro la sua causa... anzi, siamo ancora ai "tantissimi benefici della riforma liturgica". Quali questi siano a livello effettivo (e non di mera sciacquatura orale di "accesso alla mensa della Parola" e "partecipazione attiva del Popolo di Dio"), si ha però il buon gusto di non precisarlo.
Il testo è interessante laddove riferisce che i vescovi vedono nell'ampia tendenza delle più giovani generazioni a recuperare gli elementi della Tradizione (anzi, del ritorno ai "vecchi formalismi") una spia del fallimento. E su questo siamo d'accordo. Anche se, in realtà, quel "ritorno" non è semplicemente un segno di disagio e un moto inconsulto di reazione (come opinano i vescovi), bensì l'antidoto e la cura della malattia, almeno per quanto si possa curare un malato apparentemente senza speranze.
Nella chiusa dell'articolo, un motivo di speranza: forse un poco di buon senso comincia a riguadagnare terreno dov'esso s'era perduto per quarant'anni.
II. I presbiteri e la trasmissione del senso della liturgia. La liturgia oggi tra stanchezza, tentazione del formalismo e ricerca dello spettacolare.
Da alcuni anni le chiese che sono in occidente, e in tra queste anche la chiesa italiana, hanno preso coscienza che negli ultimi decenni è venuta creandosi una certa frattura nella trasmissione della fede. Si constata che tra la generazione che ha vissuto il passaggio decisivo del Concilio e la generazione dei credenti nati a riforma conciliare avvenuta vi è un vuoto che ha in parte pregiudicato la trasmissione dei contenuti essenziali della fede. Questo spiega, almeno in parte, la ragione per cui molte chiese locali in Italia hanno scelto in questi ultimi anni di lavorare sul tema dell’educare alla fede, specie i più giovani. Una scelta che indica la necessità di rimediare alla mancata trasmissione della fede e, al tempo stesso, la volontà di riavviarla.
All’interno di questo quadro complessivo i vescovi italiani, nei già citati orientamenti pastorali affermano, come abbiamo visto, che oggi uno dei principali problemi è il venir meno della trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Questo tentativo di analisi della vita della liturgia oggi prenderà le mosse su questa valutazione che, in quanto offerta dai vescovi, possiede un alto valore ecclesiale e un’indiscutibile autorevolezza. Scrivono i vescovi: “Nonostante i tantissimi benefici apportati dalla riforma liturgica del concilio Vaticano II, spesso uno dei problemi più difficili oggi è proprio la trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Si costata qua e là una certa stanchezza e anche la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare. Pare, talvolta, che l’evento sacramentale non venga colto. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini”(n. 49).
I vescovi italiani rilevano anzitutto come spesso, soprattutto alle giovani generazioni, non è stato trasmesso il significato della liturgia, il suo vero senso [ma il problema è proprio questo: la liturgia moderna, sia ciò colpa del nuovo messale o dei suoi applicatori, questo senso non solo non lo esprime, ma non sa più qual è. Prima, il senso era chiaro: pregare Dio, attraverso l'oblazione perfetta di Suo Figlio, per gli innumerevoli peccati nostri, di chi ci circonda e di tutti i cristiani vivi e defunti, confidando nell'amore misericordioso inesauribile della SS. Trinità. Ora invece, che senso ha la Messa? Fare festa e "condivisione comunitaria" perché tanto "Dio ci ama" - secondo il corrente gergo parrocchiale? Ma per far qualcosa di così banale, ci sono modi infinitamente più divertenti che perder tempo ad ascoltare il "presbitero"]. Questo rilievo deve interrogare profondamente la cosiddetta “pastorale giovanile” condotta in questi ultimi decenni. A cosa sono stati educati i giovani se non si è riusciti ad educarli anche al vero senso della liturgia? Quali liturgie sono state loro proposte e fatte vivere al punto da non aver acquisito il vero senso della liturgia? Il vero senso della liturgia, infatti, non è trasmesso anzitutto da insegnamenti sulla liturgia, ma lo si acquisisce in primo luogo dalle liturgie che si vivono e si celebrano ordinariamente, domenica dopo domenica nelle comunità cristiane di appartenenza.
Come conseguenza diretta della mancata trasmissione del vero senso della liturgia alle generazioni più recenti, i vescovi colgono “una certa stanchezza” delle nostre liturgie. Una stanchezza reale, che si manifesta in una sorta di routine, di un fare perché deve essere fatto, perlopiù senza convinzione e passione. Una prima reazione alla stanchezza mal vissuta proprio dai più giovani è “la tentazione di tornare a vecchi formalismi”, quelli che la riforma liturgica conciliare ha inteso superare. Spesso i giovani, e tra questi quelli che hanno più attenzione e passione per la liturgia (in particolare i seminaristi e i novizi) sembrano avere nostalgia di un passato che in realtà essi neppure conoscono, in quanto non lo hanno mai vissuto. Hanno nostalgia di quella liturgia che i loro padri e le loro madri subivano perché del tutto incomprensibile, lontana dalle loro attese e dalle loro esigenze e che, con il sopraggiungere della riforma liturgica conciliare, hanno salutato senza il minimo rimpianto. La tentazione di tornare ai vecchi formalismi è il segnale non solo che qualcosa non ha funzionato nella recezione e nella trasmissione della riforma liturgica conciliare, ma soprattutto che qualcosa oggi non va nel modo di comprendere, vivere e celebrare la liturgia. Se la liturgia non è correttamente compresa, vissuta e celebrata anche la sua vita è in qualche modo compromessa e alterata. Desiderare il passato è di chi è insoddisfatto dell’oggi, di chi riceve dall’attuale modo di celebrare poco o nulla per la sua vita di fede. Forse sono stati rinnovati i riti, ma il modo di vivere e di comprendere la liturgia è rimasto quello del preconcilio. In tal caso, si dovrebbe applicare alla riforma liturgica un detto della tradizione rabbinica: “Per Dio è stato più facile far uscire gli ebrei dall’Egitto che l’Egitto dagli ebrei” [questo punto è un'analisi miope! Non è la comprensione dei fedeli che è rimasta "a quella del preconcilio". E' la nuova liturgia che, avendo perso il senso di ciò che deve trasmettere, non offre più granché alla comprensione. E non diciamo nulla del peccato di superbia sotteso a quella similitudine, di chi crede di aver fabbricato la Terra promessa liturgica per far uscire la Chiesa da 2000 anni di schiavitù!].
Vi è tuttavia un altro modo per reagire alla stanchezza, scrivono i vescovi, ed è quello di “avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare”. Lo spettacolare, ovvero, la liturgia come spettacolo, come fenomeno di attrazione, coinvolgimento ed esaltazione. Lo spettacolare ha come suo fine quello di far vivere emozioni forti, sensazioni intense, quello di esaltare gli affetti a scapito dell’interiorità, della razionalità, del silenzio, e soprattutto della povertà e semplicità di mezzi e di segni di cui da sempre la liturgia cristiana è fatta: un pezzo di pane, un sorso di vino, la solita gente della mia comunità, il mio prete, la mia chiesa di paese e le liturgie che in essa si celebrano, che non hanno davvero nulla di spettacolare. Occorre domandarsi se anno dopo anno, giornata mondiali dopo giornata mondiali, raduno nazionale dopo raduno nazionale, evento dopo evento, i giovani non sono stati troppo abituati e dunque educati solo a liturgie spettacolari, liturgie di massa, emozionanti ed esaltanti, certamente cristiane nella sostanza ma non nello stile e nella forma. Occorre ricordare che nella liturgia ciò che è spettacolare incanta gli occhi di tutti ma non converte il cuore di nessuno. Cedere alla spettacolarità significa cedere alla mondanità perché nel cristianesimo l’essenziale è e resta invisibile [l'osservazione è condivisibile, se si precisa tuttavia che c'è una spettacolarità mondana che non trasmette alcun contenuto pregnante di fede ma, magari, scimmiotta moduli da show televisivo o sportivo - pensiamo alle ole o ai battimani di certe messe da stadio, o anche parrocchiali - e la sacra rappresentazione che, pur nel fascino e nella ricercatezza delle forme, magari tale da ingenerare una sorta di sindrome di Stendhal, esprime comunque una simbologia di fede percepita come tale, facilmente comprensibile e quindi veramente mistagogica: l'esecuzione liturgica di una Messa di Mozart, lungi dall'essere spettacolarizzazione deteriore, è espressione di una Bellezza di universale comprensione che, platonicamente, evoca e rimanda al Sommo Bene].
Per i vescovi questa è la situazione attuale: il venir meno della trasmissione del vero senso della liturgia. Il rischio reale è il formalismo e la spettacolarità, mentre la via da loro indicata è la riscoperta della serietà, della semplicità e della bellezza della liturgia. Per i vescovi, infatti, il solo antidoto al formalismo e alla spettacolarità è “una liturgia insieme seria, semplice e bella che sia veicolo del mistero”. Per essere “veicolo del mistero” la liturgia oggi deve ritrovare serietà, semplicità e bellezza [ma deve anche, primariamente, ritrovare un senso e un significato. Con quello, ritroverà anche serietà, sobria bellezza e simbolismo efficace: si pensi all'efficacia simbolica di un gesto semplice come la comunione in ginocchio]. La liturgia ha bisogno di ritrovare queste tre caratteristiche affinché alle giovani generazioni e a quelle future sia data la reale possibilità di conoscere il vero senso della liturgia cristiana.
La liturgia domani: più interiore e contemplativa. Oggi, a più di quarant’anni dal concilio e con davanti anni certamente impegnativi e decisivi per il futuro del cristianesimo in occidente, i presbiteri dovranno anzitutto saper cogliere maggiormente e rispondere adeguatamente a un bisogno che i credenti oggi manifestano qua e là, spesso in modo ambiguo e disarticolato, così da richiede una grande capacità di discernimento e intuizione spirituale e pastorale. Il bisogno spesso manifestato è quello di trovare nella liturgia un’atmosfera più orante e più meditativa. In altri termini, il desiderio di una liturgia contemplativa che accordi il primato all’interiorità e all’interiorizzazione, ovvero dell’appropriazione personale da parte del cristiano di ciò che si dice e si fa nell’azione liturgica. Potremmo dire una liturgia più spirituale e meno conviviale. Più contemplativa e meno festaiola. Dove vi siano meno parole e più Parola. Meno segni improvvisati e più significati compresi. “Incontrarsi per fare festa” sembra essere stato dal Concilio ad oggi lo slogan liturgico per eccellenza. L’autentica festa liturgica cristiana è anzitutto interiore, silenziosa, pacata e sobria, perché è festa della fede. Attenzione, parlare di festa interiore, di interiorizzazione e di interiorità non significa in alcun modo auspicare un ritorno all’intimismo e tanto meno al rifiuto e al disprezzo verso quella insostituibile manifestazione corporale e sensibile che la liturgia necessariamente implica. Al contrario, rilevare il bisogno di una liturgia più contemplativa significa invece recuperare il primato dell’interiorità che forse un mal compreso ed eccessivo accento posto sull’esteriorizzazione ha inavvertitamente posto in ombra.
A questo fine, nei prossimi anni sarà necessario ripensare profondamente il concetto di “partecipazione attiva” che resta certamente un’acquisizione fondamentale e irrinunciabile del Concilio, un punto di non ritorno. In questi ultimi decenni, sulla base di un’errata interpretazione della partecipazione attiva, si è forse troppo insistito sull’esteriorizzazione nella liturgia. che privilegiava la necessità di esprimere i sentimenti, di manifestare le emozioni nella ricerca di un clima per lo più di incontro e di festa. Oggi si avverte, o forse si riscopre, che la liturgia prima di essere la somma delle emozioni di un gruppo umano è anzitutto “interiorizzazione”, ovvero accoglienza di una Parola che convoca l’assemblea, la nutre al fine di permetterle di vivere di ciò che ha ricevuto. La celebrazione liturgica dovrà sempre più divenire per il cristiano spazio di contemplazione, tempo di interiorizzazione, ovvero esperienza della liturgia come ascolto della Parola, come preghiera, come reale incontro con Dio. Al termine di una celebrazione eucaristica domenicale i cristiani dovrebbero dire in cuor loro: abbiamo vissuto un’esperienza spirituale.
Torna qui la necessità dell’interiorizzazione sulla quale ci siamo già lungamente soffermati. Compito primario del presbitero sarà quello di porre l’interiorizzazione al cuore della liturgia, perché, ripetiamolo ancora, se il senso dei testi e dei gesti liturgici non è interiorizzato da chi partecipa alle liturgie, questi testi e questi gesti non diventeranno mai il nutrimento del cristiano e non saranno in grado di formare la sua identità profonda di credente.
Oggi questa esigenza di interiorità è espressa soprattutto dai giovani credenti seri e motivati che ricercano, in modi forse disarticolati ma veri, una relazione più interiore con Dio. Questo, il più delle volte, dicono di non trovarlo nelle liturgie ordinarie. Ci basti qui soffermarci a riflettere su un fenomeno che sta davanti agli occhi di tutti: il ritorno dell’adorazione eucaristia soprattutto tra i giovani. La preghiera di adorazione dell’eucaristia, che di sua natura stabilisce un rapporto sacramentalmente mediato con Dio ed ecclesialmente istituito, è un sintomo inequivocabile della domanda di un liturgia orante, meditativa, silenziosa, con poche parole se non quelle necessarie.
Oggi si assiste ad un vero e proprio paradosso: quei giovani ai quali si propongono liturgie spettacolari e celebrazioni di massa, in realtà sono alla ricerca di una maggiore interiorizzazione della relazione con Dio anche attraverso una liturgia più contemplativa. I presbiteri sono per primi chiamati a interpretare, dare risposta a questo segnale proveniente soprattutto dai giovani. Questo lavoro di discernimento richiede anche vigilanza, educazione che significa anche correzione. In ogni caso, la risposta a questa domanda appare inderogabile, diversamente per le prossime generazioni di cristiani l’alternativa sarà una vita spirituale extraliturgica che plasmerà cristiani senza liturgia. I presbiteri si troveranno così a fare i conti e a gestire una nuova forma di devotio, in questo caso non più moderna ma una devotio post-moderna. Un segno, talvolta preoccupante, di questa nuova forma di devotio è l’attuale esaltazione, anche da parte di teologi e liturgisti, dei sentimenti, degli affetti e delle emozioni, ai quali i giovani sono molto sensibili. La conoscenza e l’intelligenza umana sono certamente abitate da una componente affettiva ed emozionale. Una componente certo necessaria anzi indispensabile dell’esperienza umana. Tuttavia occorre vigilare attentamente all’esaltazione del sentimento e dell’emotività a scapito dell’interiorizzazione, dell’intelligenza spirituale e della fatica dell’appropriazione personale dei contenuti e dei significati della liturgia. La liturgia cristiana pur non esaurendosi nella razionalità è pur sempre un loghiké latreian, un culto secondo ragione (cf. Rm 12,1). I facili sentimenti e gli affetti superficiali, a lungo andare, non nutrono la vita del credente che invece ha bisogno del cibo solido della parola di Dio e dell’eucaristia, i quali costituiscono il nutrimento del cristiano. La liturgia cristiana è molto raramente e solo in situazioni straordinarie fonti di emozioni forti. Chi frequenta con regolarità l’eucaristia domenicale, domenica dopo domenica, anno dopo anno, per una vita intera, non cerca l’emozione forte, ma la consolazione profonda capace di rinsaldare e fortificare una fede spesso messa alla prova. Cerca la speranza certa che viene dal perdono dei propri peccati. Cerca la fede salda che viene dalla parola dell’evangelo e, infine, cerca la carità sincera che viene dalla comunione al corpo di Cristo. Chi prega la liturgia delle ore più volte al giorno conosce la fatica della fedeltà e sa che quell’intima consolazione dello Spirito è dono raro da accogliere dopo aver sperimentato tanta aridità e tanta stanchezza.
In questa situazione i presbiteri sono chiamati a riacquisire il valore dell’interiorizzazione del contenuto della liturgia, unita alla riscoperta di un’atmosfera più orante e contemplativa come condizione, certo non unica ma fondamentale, affinché la liturgia possa continuare ad essere luogo di trasmissione della fede.
Conclusione. Occorre allora essere abitati dalla consapevolezza del ruolo decisivo sebbene non esclusivo della liturgia nell’educazione alla fede e nella trasmissione della fede oggi, nella consapevolezza che la prima pratica della fede è la preghiera. Oggi la pastorale ordinaria fatica a comprendere che la liturgia è l’azione più efficace di qualunque altra attività che la chiesa possa intraprendere, allora occorre rileggere ancora una volta il n. 7 della la Sacrosanctum concilium: “Ogni celebrazione liturgica … è actio sacra per eccellenza e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (n.7). Giungere a credere che la liturgia è l’azione più efficace della chiesa e per questo l’azione più efficace dello stesso ministero presbiterale richiede un serio cammino di conversione individuale e comunitaria, umana e pastorale al tempo stesso. Sono oltremodo convinto che i presbiteri delle chiese che sono in Italia abbiano oggi più di ieri le capacità, le possibilità e gli strumenti per percorrere questo cammino di conversione personale ed ecclesiale.
All’interno di questo quadro complessivo i vescovi italiani, nei già citati orientamenti pastorali affermano, come abbiamo visto, che oggi uno dei principali problemi è il venir meno della trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Questo tentativo di analisi della vita della liturgia oggi prenderà le mosse su questa valutazione che, in quanto offerta dai vescovi, possiede un alto valore ecclesiale e un’indiscutibile autorevolezza. Scrivono i vescovi: “Nonostante i tantissimi benefici apportati dalla riforma liturgica del concilio Vaticano II, spesso uno dei problemi più difficili oggi è proprio la trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Si costata qua e là una certa stanchezza e anche la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare. Pare, talvolta, che l’evento sacramentale non venga colto. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini”(n. 49).
I vescovi italiani rilevano anzitutto come spesso, soprattutto alle giovani generazioni, non è stato trasmesso il significato della liturgia, il suo vero senso [ma il problema è proprio questo: la liturgia moderna, sia ciò colpa del nuovo messale o dei suoi applicatori, questo senso non solo non lo esprime, ma non sa più qual è. Prima, il senso era chiaro: pregare Dio, attraverso l'oblazione perfetta di Suo Figlio, per gli innumerevoli peccati nostri, di chi ci circonda e di tutti i cristiani vivi e defunti, confidando nell'amore misericordioso inesauribile della SS. Trinità. Ora invece, che senso ha la Messa? Fare festa e "condivisione comunitaria" perché tanto "Dio ci ama" - secondo il corrente gergo parrocchiale? Ma per far qualcosa di così banale, ci sono modi infinitamente più divertenti che perder tempo ad ascoltare il "presbitero"]. Questo rilievo deve interrogare profondamente la cosiddetta “pastorale giovanile” condotta in questi ultimi decenni. A cosa sono stati educati i giovani se non si è riusciti ad educarli anche al vero senso della liturgia? Quali liturgie sono state loro proposte e fatte vivere al punto da non aver acquisito il vero senso della liturgia? Il vero senso della liturgia, infatti, non è trasmesso anzitutto da insegnamenti sulla liturgia, ma lo si acquisisce in primo luogo dalle liturgie che si vivono e si celebrano ordinariamente, domenica dopo domenica nelle comunità cristiane di appartenenza.
Come conseguenza diretta della mancata trasmissione del vero senso della liturgia alle generazioni più recenti, i vescovi colgono “una certa stanchezza” delle nostre liturgie. Una stanchezza reale, che si manifesta in una sorta di routine, di un fare perché deve essere fatto, perlopiù senza convinzione e passione. Una prima reazione alla stanchezza mal vissuta proprio dai più giovani è “la tentazione di tornare a vecchi formalismi”, quelli che la riforma liturgica conciliare ha inteso superare. Spesso i giovani, e tra questi quelli che hanno più attenzione e passione per la liturgia (in particolare i seminaristi e i novizi) sembrano avere nostalgia di un passato che in realtà essi neppure conoscono, in quanto non lo hanno mai vissuto. Hanno nostalgia di quella liturgia che i loro padri e le loro madri subivano perché del tutto incomprensibile, lontana dalle loro attese e dalle loro esigenze e che, con il sopraggiungere della riforma liturgica conciliare, hanno salutato senza il minimo rimpianto. La tentazione di tornare ai vecchi formalismi è il segnale non solo che qualcosa non ha funzionato nella recezione e nella trasmissione della riforma liturgica conciliare, ma soprattutto che qualcosa oggi non va nel modo di comprendere, vivere e celebrare la liturgia. Se la liturgia non è correttamente compresa, vissuta e celebrata anche la sua vita è in qualche modo compromessa e alterata. Desiderare il passato è di chi è insoddisfatto dell’oggi, di chi riceve dall’attuale modo di celebrare poco o nulla per la sua vita di fede. Forse sono stati rinnovati i riti, ma il modo di vivere e di comprendere la liturgia è rimasto quello del preconcilio. In tal caso, si dovrebbe applicare alla riforma liturgica un detto della tradizione rabbinica: “Per Dio è stato più facile far uscire gli ebrei dall’Egitto che l’Egitto dagli ebrei” [questo punto è un'analisi miope! Non è la comprensione dei fedeli che è rimasta "a quella del preconcilio". E' la nuova liturgia che, avendo perso il senso di ciò che deve trasmettere, non offre più granché alla comprensione. E non diciamo nulla del peccato di superbia sotteso a quella similitudine, di chi crede di aver fabbricato la Terra promessa liturgica per far uscire la Chiesa da 2000 anni di schiavitù!].
Vi è tuttavia un altro modo per reagire alla stanchezza, scrivono i vescovi, ed è quello di “avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare”. Lo spettacolare, ovvero, la liturgia come spettacolo, come fenomeno di attrazione, coinvolgimento ed esaltazione. Lo spettacolare ha come suo fine quello di far vivere emozioni forti, sensazioni intense, quello di esaltare gli affetti a scapito dell’interiorità, della razionalità, del silenzio, e soprattutto della povertà e semplicità di mezzi e di segni di cui da sempre la liturgia cristiana è fatta: un pezzo di pane, un sorso di vino, la solita gente della mia comunità, il mio prete, la mia chiesa di paese e le liturgie che in essa si celebrano, che non hanno davvero nulla di spettacolare. Occorre domandarsi se anno dopo anno, giornata mondiali dopo giornata mondiali, raduno nazionale dopo raduno nazionale, evento dopo evento, i giovani non sono stati troppo abituati e dunque educati solo a liturgie spettacolari, liturgie di massa, emozionanti ed esaltanti, certamente cristiane nella sostanza ma non nello stile e nella forma. Occorre ricordare che nella liturgia ciò che è spettacolare incanta gli occhi di tutti ma non converte il cuore di nessuno. Cedere alla spettacolarità significa cedere alla mondanità perché nel cristianesimo l’essenziale è e resta invisibile [l'osservazione è condivisibile, se si precisa tuttavia che c'è una spettacolarità mondana che non trasmette alcun contenuto pregnante di fede ma, magari, scimmiotta moduli da show televisivo o sportivo - pensiamo alle ole o ai battimani di certe messe da stadio, o anche parrocchiali - e la sacra rappresentazione che, pur nel fascino e nella ricercatezza delle forme, magari tale da ingenerare una sorta di sindrome di Stendhal, esprime comunque una simbologia di fede percepita come tale, facilmente comprensibile e quindi veramente mistagogica: l'esecuzione liturgica di una Messa di Mozart, lungi dall'essere spettacolarizzazione deteriore, è espressione di una Bellezza di universale comprensione che, platonicamente, evoca e rimanda al Sommo Bene].
Per i vescovi questa è la situazione attuale: il venir meno della trasmissione del vero senso della liturgia. Il rischio reale è il formalismo e la spettacolarità, mentre la via da loro indicata è la riscoperta della serietà, della semplicità e della bellezza della liturgia. Per i vescovi, infatti, il solo antidoto al formalismo e alla spettacolarità è “una liturgia insieme seria, semplice e bella che sia veicolo del mistero”. Per essere “veicolo del mistero” la liturgia oggi deve ritrovare serietà, semplicità e bellezza [ma deve anche, primariamente, ritrovare un senso e un significato. Con quello, ritroverà anche serietà, sobria bellezza e simbolismo efficace: si pensi all'efficacia simbolica di un gesto semplice come la comunione in ginocchio]. La liturgia ha bisogno di ritrovare queste tre caratteristiche affinché alle giovani generazioni e a quelle future sia data la reale possibilità di conoscere il vero senso della liturgia cristiana.
La liturgia domani: più interiore e contemplativa. Oggi, a più di quarant’anni dal concilio e con davanti anni certamente impegnativi e decisivi per il futuro del cristianesimo in occidente, i presbiteri dovranno anzitutto saper cogliere maggiormente e rispondere adeguatamente a un bisogno che i credenti oggi manifestano qua e là, spesso in modo ambiguo e disarticolato, così da richiede una grande capacità di discernimento e intuizione spirituale e pastorale. Il bisogno spesso manifestato è quello di trovare nella liturgia un’atmosfera più orante e più meditativa. In altri termini, il desiderio di una liturgia contemplativa che accordi il primato all’interiorità e all’interiorizzazione, ovvero dell’appropriazione personale da parte del cristiano di ciò che si dice e si fa nell’azione liturgica. Potremmo dire una liturgia più spirituale e meno conviviale. Più contemplativa e meno festaiola. Dove vi siano meno parole e più Parola. Meno segni improvvisati e più significati compresi. “Incontrarsi per fare festa” sembra essere stato dal Concilio ad oggi lo slogan liturgico per eccellenza. L’autentica festa liturgica cristiana è anzitutto interiore, silenziosa, pacata e sobria, perché è festa della fede. Attenzione, parlare di festa interiore, di interiorizzazione e di interiorità non significa in alcun modo auspicare un ritorno all’intimismo e tanto meno al rifiuto e al disprezzo verso quella insostituibile manifestazione corporale e sensibile che la liturgia necessariamente implica. Al contrario, rilevare il bisogno di una liturgia più contemplativa significa invece recuperare il primato dell’interiorità che forse un mal compreso ed eccessivo accento posto sull’esteriorizzazione ha inavvertitamente posto in ombra.
A questo fine, nei prossimi anni sarà necessario ripensare profondamente il concetto di “partecipazione attiva” che resta certamente un’acquisizione fondamentale e irrinunciabile del Concilio, un punto di non ritorno. In questi ultimi decenni, sulla base di un’errata interpretazione della partecipazione attiva, si è forse troppo insistito sull’esteriorizzazione nella liturgia. che privilegiava la necessità di esprimere i sentimenti, di manifestare le emozioni nella ricerca di un clima per lo più di incontro e di festa. Oggi si avverte, o forse si riscopre, che la liturgia prima di essere la somma delle emozioni di un gruppo umano è anzitutto “interiorizzazione”, ovvero accoglienza di una Parola che convoca l’assemblea, la nutre al fine di permetterle di vivere di ciò che ha ricevuto. La celebrazione liturgica dovrà sempre più divenire per il cristiano spazio di contemplazione, tempo di interiorizzazione, ovvero esperienza della liturgia come ascolto della Parola, come preghiera, come reale incontro con Dio. Al termine di una celebrazione eucaristica domenicale i cristiani dovrebbero dire in cuor loro: abbiamo vissuto un’esperienza spirituale.
Torna qui la necessità dell’interiorizzazione sulla quale ci siamo già lungamente soffermati. Compito primario del presbitero sarà quello di porre l’interiorizzazione al cuore della liturgia, perché, ripetiamolo ancora, se il senso dei testi e dei gesti liturgici non è interiorizzato da chi partecipa alle liturgie, questi testi e questi gesti non diventeranno mai il nutrimento del cristiano e non saranno in grado di formare la sua identità profonda di credente.
Oggi questa esigenza di interiorità è espressa soprattutto dai giovani credenti seri e motivati che ricercano, in modi forse disarticolati ma veri, una relazione più interiore con Dio. Questo, il più delle volte, dicono di non trovarlo nelle liturgie ordinarie. Ci basti qui soffermarci a riflettere su un fenomeno che sta davanti agli occhi di tutti: il ritorno dell’adorazione eucaristia soprattutto tra i giovani. La preghiera di adorazione dell’eucaristia, che di sua natura stabilisce un rapporto sacramentalmente mediato con Dio ed ecclesialmente istituito, è un sintomo inequivocabile della domanda di un liturgia orante, meditativa, silenziosa, con poche parole se non quelle necessarie.
Oggi si assiste ad un vero e proprio paradosso: quei giovani ai quali si propongono liturgie spettacolari e celebrazioni di massa, in realtà sono alla ricerca di una maggiore interiorizzazione della relazione con Dio anche attraverso una liturgia più contemplativa. I presbiteri sono per primi chiamati a interpretare, dare risposta a questo segnale proveniente soprattutto dai giovani. Questo lavoro di discernimento richiede anche vigilanza, educazione che significa anche correzione. In ogni caso, la risposta a questa domanda appare inderogabile, diversamente per le prossime generazioni di cristiani l’alternativa sarà una vita spirituale extraliturgica che plasmerà cristiani senza liturgia. I presbiteri si troveranno così a fare i conti e a gestire una nuova forma di devotio, in questo caso non più moderna ma una devotio post-moderna. Un segno, talvolta preoccupante, di questa nuova forma di devotio è l’attuale esaltazione, anche da parte di teologi e liturgisti, dei sentimenti, degli affetti e delle emozioni, ai quali i giovani sono molto sensibili. La conoscenza e l’intelligenza umana sono certamente abitate da una componente affettiva ed emozionale. Una componente certo necessaria anzi indispensabile dell’esperienza umana. Tuttavia occorre vigilare attentamente all’esaltazione del sentimento e dell’emotività a scapito dell’interiorizzazione, dell’intelligenza spirituale e della fatica dell’appropriazione personale dei contenuti e dei significati della liturgia. La liturgia cristiana pur non esaurendosi nella razionalità è pur sempre un loghiké latreian, un culto secondo ragione (cf. Rm 12,1). I facili sentimenti e gli affetti superficiali, a lungo andare, non nutrono la vita del credente che invece ha bisogno del cibo solido della parola di Dio e dell’eucaristia, i quali costituiscono il nutrimento del cristiano. La liturgia cristiana è molto raramente e solo in situazioni straordinarie fonti di emozioni forti. Chi frequenta con regolarità l’eucaristia domenicale, domenica dopo domenica, anno dopo anno, per una vita intera, non cerca l’emozione forte, ma la consolazione profonda capace di rinsaldare e fortificare una fede spesso messa alla prova. Cerca la speranza certa che viene dal perdono dei propri peccati. Cerca la fede salda che viene dalla parola dell’evangelo e, infine, cerca la carità sincera che viene dalla comunione al corpo di Cristo. Chi prega la liturgia delle ore più volte al giorno conosce la fatica della fedeltà e sa che quell’intima consolazione dello Spirito è dono raro da accogliere dopo aver sperimentato tanta aridità e tanta stanchezza.
In questa situazione i presbiteri sono chiamati a riacquisire il valore dell’interiorizzazione del contenuto della liturgia, unita alla riscoperta di un’atmosfera più orante e contemplativa come condizione, certo non unica ma fondamentale, affinché la liturgia possa continuare ad essere luogo di trasmissione della fede.
Conclusione. Occorre allora essere abitati dalla consapevolezza del ruolo decisivo sebbene non esclusivo della liturgia nell’educazione alla fede e nella trasmissione della fede oggi, nella consapevolezza che la prima pratica della fede è la preghiera. Oggi la pastorale ordinaria fatica a comprendere che la liturgia è l’azione più efficace di qualunque altra attività che la chiesa possa intraprendere, allora occorre rileggere ancora una volta il n. 7 della la Sacrosanctum concilium: “Ogni celebrazione liturgica … è actio sacra per eccellenza e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (n.7). Giungere a credere che la liturgia è l’azione più efficace della chiesa e per questo l’azione più efficace dello stesso ministero presbiterale richiede un serio cammino di conversione individuale e comunitaria, umana e pastorale al tempo stesso. Sono oltremodo convinto che i presbiteri delle chiese che sono in Italia abbiano oggi più di ieri le capacità, le possibilità e gli strumenti per percorrere questo cammino di conversione personale ed ecclesiale.
Un articolo sulla liturgia scritto da un "monaco" del gran commercialista?
RispondiEliminaOcchio che da qualche parte deve esserci la fregatura...
C'è una memoria senza passato, e non è un controsenso come l'articolo sembra suggerire: è come una memoria genetica, un sigillo che il cristiano ha impresso nel cuore: la tensione verso il suo Creatore. E allora è naturale rivolgerGli le cose migliori, le cose più belle, le cose più giuste. Potendo scegliere, non c'è dubbio su quale forma seguire...
RispondiEliminaQuanto alle generazioni precedenti che avrebbero entusiasticamente abbracciato il nuovo rito senza rimpianti alcuni mi si consenta un amaro sorriso....
Andreas Hofer
Come noto a lorsignori,l'ottima Costituzione della "repubblica di Weimar"degli anni'20-talmente "ottima" che ebbe ruolo paradigmatico per la nostra del 1948-non impedi'l'ascesa al potere-in forma legittima-ad Adolf Hitler.Ebbene,nel 1943,sotto i devastanti bombardamenti,c'era ancora qualche saggista che osava indicarla come la panacea a tutti i mali della societa'tedesca!Qualcosa di simile sta avvenendo nella Chiesa.Confessare che il nuovo corso e' stato un vicolo cieco,un totale fallimento, e' cosa dura,tremenda e difficile.Richiede un coraggio che non possiamo pretendere da tutti.Restano i fatti che,da soli,parlano eloquententemente.L'unica fortuna e' che,nello scarto generazionale,non e' passato tempo sufficiente a cancellare del tutto la memoria storica di quello che fu la Chiesa Romana d'anteconcilio.Eugenio
RispondiEliminaC`è tanto da dire, mi limito anch`io, per il momento, ad un amarissimo sorriso quando leggo :
RispondiElimina"Hanno nostalgia di quella liturgia che i loro padri e le loro madri subivano perché del tutto incomprensibile, lontana dalle loro attese e dalle loro esigenze e che, con il sopraggiungere della riforma liturgica conciliare, hanno salutato senza il minimo rimpianto"
Come spiegare a quei postsessantottini attardati la violenza che abbiamo subito, che ci hanno fatto subire?
Come spiegare loro che non avevamo chiesto un bel niente, che le attese e le esigenze erano quelle di una minoranza, erano le loro e sono riusciti ad imporle con una violenza inaudita ?
Come spiegare loro lo sgomento, la sofferenza, l`incomprensione, di coloro che si son visti privati della loro Messa, strappata via in modo violento e agressivo e con parole sprezzanti ?
Come spiegare che se molti hanno accettato di SUBIRE, sì subire, la nuova liturgia,e si sono adattati, tanti altri, come me, si son allontanati come in una forma di legittima difesa?
Una prima reazione alla stanchezza mal vissuta proprio dai più giovani è “la tentazione di tornare a vecchi formalismi”, quelli che la riforma liturgica conciliare ha inteso superare. Spesso i giovani, e tra questi quelli che hanno più attenzione e passione per la liturgia (in particolare i seminaristi e i novizi) sembrano avere nostalgia di un passato che in realtà essi neppure conoscono, in quanto non lo hanno mai vissuto. Hanno nostalgia di quella liturgia che i loro padri e le loro madri subivano perché del tutto incomprensibile, lontana dalle loro attese e dalle loro esigenze e che, con il sopraggiungere della riforma liturgica conciliare, hanno salutato senza il minimo rimpianto. La tentazione di tornare ai vecchi formalismi è il segnale non solo che qualcosa non ha funzionato nella recezione e nella trasmissione della riforma liturgica conciliare, ma soprattutto che qualcosa oggi non va nel modo di comprendere, vivere e celebrare la liturgia
RispondiEliminatante altre osservazioni sono giuste, ma questo è straparlare e possono parlare così della Santa e Divina Liturgia di Sempre solo perché NON LA CONOSCONO e non ne possono VIVERE i significati e allora si attaccano ai luoghi comuni dei progressisti
proprio i giovani non sono amanti del formalismo e se davvero trovassero i "vecchi formalismi", non credo tornerebbero a cercare le celebrazioni VO, che sono l'autentico culto al Dio Vivente, nel Figlio Dio, per Opera dello Spirito Santo Dio
L'unica fortuna e' che,nello scarto generazionale,non e' passato tempo sufficiente a cancellare del tutto la memoria storica di quello che fu la Chiesa Romana d'anteconcilio.Eugenio
RispondiEliminaproprio grazie, guarda caso, a mons. Lefebvre e alla FSSPX!
Forse avevo le allucinazioni, ma recentemente sul sito Pontifex Roma ho letto una dichiarazione di Enzo Bianchi contro gli abusi liturgici, e mi sembra che si diceva a favore anche della celebrazione ad orientem.
RispondiEliminaTimeo danaos.....
Ma ricordo anche un suo preoccupato articolo in occasione della famosa "preghiera" islamica a piazza duomo a Milano, nientemeno che su repubblica.
Chissa' cosa dovra' ancora accadere per convincerlo...
FdS
Se oggi noi siamo qui, a discutere della crisi della liturgia, è solo grazie a mons. Lefebvre. Infatti, se lui non avesse difeso il V.O., facendo in modo che la S. Messa di sempre, continuasse ad essere celebrata, noi oggi non parleremmo della crisi della liturgia. A 40 anni di distanza, da quando venne approvata la nuova Messa di Bugnini e Paolo VI, la Chiesa si trova costretta ad ammettere, che vi sono gravi problemi nella liturgia e questo, grazie al confronto con il V.O., che ha fatto emergere, in tutta la sua gravità, le mancanze del nuovo rito liturgico. Potete essere sicuri, che se il V.O. fosse scomparso definitivamente, nessuno avrebbe mai tirato fuori il problema della liturgia e, si sarebbe andati avanti come niente fosse.
RispondiEliminaPer essere “veicolo del mistero” la liturgia oggi deve ritrovare serietà, semplicità e bellezza
RispondiEliminasenza il recupero del senso e del significato autentici: Sacrificio che poi è anche offerta e dono e festa e non cena conviviale quale interiorizzazione recuperiamo?
rivaluteremo atteggiamenti interiori più composti, più aderenti al senso del Sacro, alla grandezza e alla divinità di una Presenza; ma non si è mai nominato una volta il sacrificio espiatorio e redentore e nemmeno il Nome del Signore Gesù che lo ha subito e operato ed è Lui il vero sacerdote e celebrante!!!
Se non recuperiamo il senso e il significato originari e autentici dell'Eucaristia e non la smettiamo rivestendo l'antico rito dei luoghi comuni che evidentemente non sono valsi per generazioni di Santi conosciuti e sconosciuti, e non lo sdoganiamo da tutti i pregiudizi con cui lo profanano, dimostrando la loro abissale IGNORANZA delle verità fondanti la nostra Fede, non potrà esserci nessuna riforma ma soltanto un ulteriore vagare e un ulteriore vuoto riempito di tante forbite parole invece che di Cristo Signore!
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaho paura che questi vescovi, che dovrebbero essere i nostri maestri, nello stigmatizzare il formalismo (termine quanto meno improprio, riduttivo e inesatto) dell'Antico Rito, non siano loro stessi andati più in là degli elementi formali anche in quel che hanno affermato su quanto è da recuperare.
RispondiEliminaE' una delusione grande imbattersi in tanta aridità spirituale in chi dovrebbe dare l'annuncio di salvezza e motivarlo alle nuove generazioni
17 luglio 2009 12.10
Circa il gran commercialista e la sua cricca di monaci ecumenici/cattolici adulti, mi limito solo ad una citazione che credo riassuntiva del Bose-pensiero... sul libro (destinato ai bimbi, e questa è vera corruzione di minorenni!!!) intitolato "UN RABBI CHE AMAVA I BANCHETTI" si può leggere testualmente "Gesù sulla croce danzava di gioia". Il tutto corredato da un'illustrazione di Nostro Signore Gesù Cristo (raffigurato per giunta come una sorta di tossico dell'altra sponda dopo il suo trip quotidiano) inchiodato alla croce con una mano ed un piede, mentre con la mano ed il piede liberi balla.
RispondiEliminaRicordo l'espressione orripilata di mio nipote quando -il giorno della sua prima comunione- ha ricevuto in dono questa schifezza da quella distributrice di Ostie di sua nonna materna...
La storia non fa salti e chi la vuole far saltare si trova a ruzzolare per terra.
RispondiEliminaOgni volta che si parla di questi argomenti c'è qualche amico che comincia a parlare di Mons. Lefebvre o della FSSPX: per carità, li capisco, ma il problema è ora un altro e successivo, dal punto di vista logico, cioè trovare soluzioni.
Io non mi meraviglio di trovare nell'altro campo parziali ammissioni o sconcerto: è vero che ogni tanto uso metafore calcistiche, ma non farliamo di tifo sportivo, immotivato nelle cause e nei fini, parliamo della fede in Gesù Cristo e del culto che rendiamo a Lui, insieme al Padre ed allo Spirito! Se non c'è malafede i problemi reali emergono e un terreno comune si potrà trovare, anche grazie a Benedetto XVI. Preghiamo per lui e per la sua salute, particolarmente oggi a causa delle notizie che vengono da Aosta: la Chiesa ha bisogno di lui!
Caro Max,io so,con certezza interiore,apodittica ma sicura,che verra' il tempo in cui verra' innalzato un monumento a mons.lefebvre.Chi scrive non e' stato mai lefebvriano, ma uno che,pur papalino di mente e di cuore,non e' stato mai papista sino al punto di considerare tutto santo,irreprensibile, coerente,infallibile,divino, cio' che usciva dalla bocca e dalla penna dei Romani Pontefici.La Storia della Chiesa e particolarmente dei Papi e dei Concili Ecumenici DOCET.Gli idioti,per arcana disposizione della Divina Provvidenza,cui m'inchino,abbondano sia nel foro civile che ecclesiastico.Io uso con costoro la tecnica romana "de leva' la sete cor prosciutto".Ai primi,innamorati del suffragio universale,ricordo l'elezione plebiscitaria di Adolf Hitler, avvenuta senza brogli;ai secondi,malati di conciliarismo e di iperinfallibilismo,ricordo il rogo di Huss,deliberato,e FISICAMENTE CELEBRATO, con atto di barbara fellonia,ma,che importa?, di magistero straordinario dal Concilio di Basilea,lo Stesso che aveva concesso il salvacondotto all'Eretico!.A nessuna delle due specie di idioti sovviene minimamente che l'istituto civile (il suffragio universale)ed ecclesiastico(infallibilita')hanno si' valore e valenza,ma SECUNDUM QUID,essendo finalizzati a svolgere ruolo strumentale alla realizzazione di ben piu' alti fini,rispettivamente,per rimanere agli esempi, la felicita' dei popoli e la difesa del patrimonio della fede.Sono arcisicuro che se il Papa,pur disobbedito su tutto,se ne uscisse un giorno dicendo che la Santissima Trinita' ha due e non tre Persone,ebbene questi idioti e sciagurati direbbero-come e' successo di sentirsi dire al povero Lefebvre-"e che! Tu oseresti mettere in dubbio la parola del Papa?Non ti vergogni?".Ed e' anche quello che vogliono farci intendere i modernisti a proposito del NOM,ispirato,a parer loro,nientepopodimenoche' dallo Spirito Santo Paraclito in persona.Alla luce dei frutti prodotti non ne sarei proprio sicuro.Un caro saluto.Eugenio
RispondiEliminaCirca la salute del Papa (Iddio ce lo conservi!) non mi sembra il carso di preoccuparci più di tanto: grazie al Cielo si è solo fratturato un polso.
RispondiEliminaAlla peggio domenica non potrà andare a Romano Canavese!
...Enzo Bianchi contro gli abusi liturgici, e mi sembra che si diceva a favore anche della celebrazione ad orientem.
RispondiEliminaTimeo danaos.....
La barca fa acqua e lui cerca di salvare il salvabile. E' come per il socialismo reale: non ha funzionato mai perché sempre qualcosa "è andato storto". No caro Bianchi: una cosa è un edificio umano che può sedurre, attirare ma prima o poi cade; e un'altra è l'Edificio Divino che sta e starà in piedi.
Andreas Hofer
Ieri sera alla santa Messa della novena della Madonna del Carmelo della Chiesa di S. Stefano del Ponte, a Sestri Levante, il prete di Chiavari officiante, alla omelia si è scagliato contro la tradizione e la religiosità ed esaltato un approccio "adulto" alla fede. Stesso linguaggio del nostro parroco, prete cattolico adulto e frequentatore da molti anni del Monastero di Bose gestito dal non-sacerdote Enzo Bianchi.
RispondiEliminaNelle Feste della Madonna sono obbligati a parlarti un poco di Lei per sfuggire subito su argomenti "adulti" e sul sociale. Non si rendono neppure conto delle loro noiose prediche fatte sempre degli stessi argomenti. E... si illudono di manipolare la gente del popolo, ma questi per fortuna alla loro semplicità non si rendono conto di quello che questi falzi profeti dicono.
Sapesse il buon Enzo Bianchi quanto danno ha fatto alla nostra Parrocchia e quanto danno ha fatto ai preti della nostra Diocesi! E' nella formazione dei preti e nei responsabili della curia che lui ha avuto una nefasta influenza. Speriamo che il Papa metta un pò di ordine e obblighi i Vescovi a ricuperare nei seminari l’insegnamento della vera dottrina della Chiesa Cattolica. E perché non istituire dei corsi di aggiornamento al fine di celebrare la forma ex-straordinara del Rito Romano?
DPaolo
V. Oremus pro Pontifice nostro Benedicto.
RispondiEliminaR. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius. [Ps 40:3]
Pater noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie, et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo. Amen.
Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum. Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc, et in hora mortis nostrae. Amen.
Deus, omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum Benedictum, quem pastorem Ecclesiae tuae praeesse voluisti, propitius respice: da ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praeest, proficere: ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam.
Per Christum, Dominum nostrum.
Amen.
Anonimo from Rorate Caeli
Grazie, Rorate Coeli.
RispondiEliminaSono felice di ritrovare e salvare le preghiere che ho imparato da bambina.
E' questo un sursum corda che dal Cielo viene come rugiada
al "piccolo gregge" assetato che non deve disperare?
Grazie, Signore.
--------------
proprio grazie, guarda caso, a mons. Lefebvre e alla FSSPX!
Quando ripenso alla tormentata vicenda della FSSPX, che noi, allora ragazzi,
guardavamo con stupore e tristezza, senza riuscire a coglierne tutti
i retroscena, i dolorosi precedenti remoti, le cause nascoste
nelle pieghe della storia, che nessuno poteva ancora svelare
né ricostruire e divulgare a voce alta (ricordo commenti
amareggiati ma sussurrati, di sacerdoti semplicemente “tradizionali”,
avviati alla conformazione silenziosa al “nuovo corso” storico, dopo un vago accenno
alla frattura e agli sconvolgimenti ecclesiali di cui non potevano renderci piena ragione)
……penso:
e’ come se il Signore, mentre permetteva la contestazione e ribellione dei teologi
e liturgisti modernisti, immediatamente preparasse il rimedio,
permettendo anche che si approntasse il vaccino o l’antidoto a quella devastante
malattia causata dai deragliamenti modernisti insiti nel rito NO.
Quindi: data la nuova direzione presa dalla liturgia, che ha reso
obbligatorio l’uso del Messale di Paolo VI, era inevitabile – fisiologico - che Lefebvre e i suoi
"cadessero" in una posizione ribelle e scismatica, così come in un tessuto malato, aumentando le metastasi del male per proliferazione,
la parte sana dell’organismo è sentita come “ribelle” (e oggi quasi intrusa)
perché RESISTE all’avanzare del male, e si fa carico del dolore di tutto l'organismo, ma prepara una riserva di anticorpi,
da sbloccare al momento decisivo della terapia (emanazione MP e poi revoca della scomunica), che avvierà l’intero organismo alla lenta e sicura guarigione,
con l’aiuto di Dio.
Scusate se sono ricorsa ad un paragone un po’ crudo o non calzante (correggetemi pure) ma tale mi appare la situazione
della Chiesa, dove il Papa, medico attualmente incaricato, con mano mite ma ferma applica la terapia, affidandone gli esiti a Nostro Signore
(che non può dimenticare il “non praevalebunt”…)
Forse doveva usare un po’ di più il bisturi?
Sono luca,
RispondiEliminaper chi si preoccupa tanto per la salute del pontefice sappia che vivrà in questo mondo quanto Dio vorrà e poi continuerà a vivere nell'altro.
Tutto è nelle mani di Dio, vieppiù la vita dei pontefici, lo dimostra l'attentato alla vita di Giovanni Paolo II.
Del resto San Paolo ci dice che per il buon cristiano "il vivere è Cristo e il MUORIRE UN GUADAGNO" (Filippesi 1:21).
Se uno sa che le porte degli inferi "non prevalebunt" non ha paura di niente. Ma per "SAPERLO VERAMENTE" BISOGNA AVERE FEDE.
Su cosa si fonda la Fede di un cristiano? Sui pontefici che cambiano insieme ai loro gusti difformi? Su Pio XII ? Su Giovanni XXIII ? Su Paolo VI ? Su Giovanni Paolo II ? Su Benedetto XVI ? TUTTI MOLTO DIVERSI TRA LORO: uno attacca l'altare alla parete verso oriente e l'altro lo stacca, uno prega in ebraico con il rabbino capo, l'altro in latino, uno partecipa a tutte le cerimonie di beatificazione e santificazione, l'altro no, uno usa un tipo di pastorale e l'altro ne usa uno diverso, uno si spoglia di abiti decorati e l'altro se ne riveste.
TUTTI ELETTI IN CONCLAVE PER ISPIRAZIONE DELLO SPIRITO SANTO
(questo dice la Tradizione o sbaglio ? Forse Dante può dare una risposta su questo punto)
San Paolo ci dice che la VERA FEDE si fonda su Cristo DIO, vediamo che dice in dettaglio:
1Corinzi 3:7-17 Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere!
Non c'è differenza tra chi pianta e chi irrìga, ma ciascuno riceverà la sua mercede (la sua ricompensa) secondo il proprio lavoro.
Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce!
Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.
E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, erba, paglia, [e io aggiungo pruni!]
l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno.
Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa;
ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.
Non sapete che siete Tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
Se uno distrugge il Tempio di Dio
[il tempio dello Spirito: infatti Paolo dà per acquisito che la vita è eterna],
Dio distruggerà lui. Perché santo è il Tempio di Dio, che siete voi [Tempio dello Spirito].
E San Giovanni Evangelista ci ricorda che Dio si adora in Spirito e Verità ! Perché ?
DOMANDIAMOCI: Perché Dio si adora in Spirito e Verità ? Perché non si adora né nel tempio di Gerusalemme né nel tempio sul monte Garizim ?
Ci risponde Gesù: "Perché il Padre cerca tali adoratori" !
Il Padre cerca chi Lo adori in Spirito e Verità.
Ecco il testo di Giovanni:
Giovanni 4,20-24:
«I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare.»
Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.
Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori.
Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Benedetto sempre Sia il Suo Santo Nome e il Nome del Suo glorioso Regno in eterno.
Il tuo paragone, cara Giovanna non è crudo ed è calzantissimo!
RispondiEliminaLuca, non ho ben capito dove vuoi andare a parare....
RispondiEliminaHo una domanda.. Perché i "Tradizionalisti" non si "accontentano" di celebrare la "nuova" Liturgia (cioè secondo il Messale del Servo di Dio Papa Paolo VI) in Latino e accompagnato dal Canto Gregoriano (e magari celebrato Coram Deo)?
RispondiEliminaQuesta possibilità è contemplata dal Messale attualmente in vigore..
Grazie a chi vorrà rispondermi.
E allora perché i neoterici a loro tempo non hanno accettato una semplice traduzione del messale antico in lingua nazionale? Semplicemente perché i due messali sono diversi, non l'uno la traduzione dell'altro. Qui non è questione di latino, ma di liturgia.
RispondiEliminaSono sempre l'anonimo delle 15.59. Potresti spiegarmi meglio in cosa sono diverse le due Liturgie (a parte l'uso delle Cartaglorie e la preghiera finale a San Michele Arcangelo)?
RispondiEliminaGrazie a chi vorrà rispondermi.
Caro Paolo (sono luca), le domande che ho posto sul susseguirsi dei papi e sul susseguirsi del loro orientamento liturgico, sono chiare ?
RispondiEliminaTu credi (SECONDO TRADIZIONE) che tutti i papi, con il loro rispettivo "orientamento liturgico", sono TUTTI ELETTI IN CONCLAVE PER ISPIRAZIONE DELLO SPIRITO SANTO ?
Cosa non hai capito ?
Cosa non ti è chiaro nella citazione della prima lettera ai Corinzi e nella citazione del Vangelo di Giovanni ?
Fammi sapere.
Cordialità
luca
Ringrazio i responsabili del blog che hanno voluto prendere qualcosa del mio umile "Liturgia-opus-trinitatis", e approfitto per intromettermi nel dibattito. Leggendo alcuni degli interventi, si avverte che qualcuno si meraviglia della diagnosi che un monaco di Bose (di cui mi vanto di essere amico) fa della situazione liturgica. Se si frequentano le riviste liturgiche italiane ed estere, si potrà constatare che la lotta contro gli abusi e le analisi realistiche della situazione liturgica attuale non mancano. Secondo me c'è pero una differenza nel modo di affrontare il problema. Le cause di ciò che qui viene chiamata "catastrofe liturgica postconciliare" sono analizzate in modo diverso, e anche le terapie indicate sono diverse. Si può essere d'accordo su una situazione difficile (io non la chiamerei "catastrofica"), ma in disacordo sulle cause che hanno condotto a questa situazione e sulle terapie da applicare per ristabilire la normalità.
RispondiEliminaMatias Augé
Caro anonimo delle 15.59,
RispondiEliminavai a vedere il confronto sinottico delle due messe riportato in questo sito se hai curiosità sui testi. Vai a una messa antica se hai curiosità sulla celebrazione.
Secondo me c'è pero una differenza nel modo di affrontare il problema. Le cause di ciò che qui viene chiamata "catastrofe liturgica postconciliare" sono analizzate in modo diverso, e anche le terapie indicate sono diverse. Si può essere d'accordo su una situazione difficile (io non la chiamerei "catastrofica"), ma in disacordo sulle cause che hanno condotto a questa situazione e sulle terapie da applicare per ristabilire la normalità.
RispondiEliminaCaro P. Augè,
secondo me purtroppo la diagnosi e la terapia sono diverse perché corrispondono a diverse ecclesiolgia e teologia
Questo dimostra che la Chiesa ha ereditato lo spaccatura esistente al momento del concilio e da questo perpetuata, nonché successivamente esasperata dalla ideologia dominante post-conciliare.
Se persino i progressisti (mi spiace per questa etichetta, ma è per intenderci) stanno riconoscendo il problemi seri, che sia catastrofe o che sia crisi poco importa, purché se ne esca, vuol dire che i nostri rilievi non erano infondati come qualcuno voleva farci credere.
Il problema, anche ora che la presa di coscienza si va facendo più generale e ineludibile, è su cosa intendersi, se molti Fondamenti della nostra Fede semprano bypassati?
Il Nome del Signore Gesù non basta, perché è il Suo Volto che resta deturpato da un certa ecclesiologia e teologia post-conciliari. Ovviamente questo non è irrilevante (anche le confessioni protestanti conoscono il Signore) perché implica l'autenticità del rapporto personale e comunitari con Lui e l'autenticità del culto da rendere a Dio, che è la funzione della Chiesa e da cui soltanto può scaturire la comunione - che è nel Signore - e tutte le Grazie escatologiche che ne derivano
E' quella spaccatura che va sanata e da lì occorre ripartire: "continuità" dice il Papa; ma con cosa? Con la Tradizione, il Magistero Perenne che possono essere riformulati, ma solo eodem sensu eademque sententia e non stravolti, come invece è avvenuto
E il dramma e il dispiacere è che non riusciamo più ad intenderci ma non è solo questione di parole: è che usiamo un linguaggio diverso
Caro Padre Auge',
RispondiEliminail problema del NOM non e' la negazione ma l'offuscamento della fede, che poi e' anche peggio.
La Sua posizione sulla liturgia rappresenta una soluzione piuttosto astuta ma non meno disperata, comunque altamente pericolosa per la fede.
Penso sia consapevole del fatto che la Pascendi e' stata scritta per sacerdoti come Lei, per smascherare i subdoli artifizi di chi vuole sovvertire la fede facendo credere che in relata' non e' cambiata.
FdS
non a caso Romano Amerio parla di "Variazioni (di essenza?) nella Chiesa cattolica nel XX secolo"
RispondiEliminapenso che il nostro linguaggio è diverso perché è vero che lex orandi lex credendi e poi vivendi.
RispondiEliminaA Rito diverso corrisponde Fede diversa. Ben lo sapeva Lutero...
c'è qualcuno che nel tradire il Signore ha tradito anche noi, ma almeno riconosciamolo
RispondiEliminadalla conclusione di Boselli
RispondiEliminaSono oltremodo convinto che i presbiteri delle chiese che sono in Italia abbiano oggi più di ieri le capacità, le possibilità e gli strumenti per percorrere questo cammino di conversione personale ed ecclesiale.
capacità, possibilità, strumenti... e il Signore Gesù CROCIFISSO, prima ancora che Risorto? E il Suo Sacrificio espiatore e redentore prima ancora del Convito fraterno?
E la nostra offerta in Lui con Lui e per Lui?
Se non è da lì che si riparte, non si va da nessuna parte
Da FdS: "La sua posizione sulla liturgia rappresenta una soluzione piuttosto astuta ma non meno disperata, comunque altamente pericolosa per la fede. Penso sia consapevole del fatto che la Pascendi è stata scritta per sacerdoti come Lei, per smascherare i subdoli artifizi di chi vuole sovvertire la fede facendo credere che in realtà non è cambiata".
RispondiEliminaSarebbe sempre meglio evitare i giudizi sulle persone... La mia posizione sulla liturgia non è astuta né disperata né pericolosa per la fede, ma coerente con i miei studi e con lunghi anni d'insegnamento nonché con una certa esperienza internazionale che mi aiuta a guardare l'insieme della Chiesa con occhi meno catastrofisti... Ascolto volentieri anche le vostre opinioni, ma le valuto e cerco di confrontarmi.
Non mi dedico a subdoli artifizi per sovvertire la fede... La fede non è cambiata! E' vero che ci sono visione teologiche, in particolare ecclesiologiche, diverse. Ma non si tratta di una novità nella storia della Chiesa. Si studi bene la storia dei Concili, e vedrà le dispute teologiche che hanno sollevato prima e dopo.
Nei suoi interventi (non giudico la sua persona) vedo un tentativo di condurre ogni cosa verso il conflitto dogmatico. Diamoci una calmata!
P. Matias Augé
Caro Eugenio, sono sostanzialmente d'accordo con quello che hai scritto. Effettivamente, bisogna dire che molti fanno una grande confusione, quando si parla di infallibilità. L'infallibilità, è garantita soltanto a determinate condizioni e, certamente non tutto quello che viene detto o scritto è infallibile, ma soltanto quando in forma solenne, con la sua suprema autorità apostolica, il Papa, definisce una verità concernente la fede o la vita morale, che vincola la fede dei credenti, in maniera irreformabile. La stessa cosa avviene anche nei concili, infatti perchè vi sia l'infallibilità, il concilio deve essere dogmatico, mentre invece se un concilio è pastorale, come il CVII, allora non è garantita l'infallibilità.Infatti vi sono alcuni documenti conciliari, che sono addirittura in contraddizione con il Magistero della Chiesa, data la natura, esclusivamente pastorale di quei documenti.
RispondiEliminaSe non è da lì che si riparte, non si va da nessuna parte
RispondiEliminaSì.
Io ripartirei, nella concretezza dell'edificio chiesa, anche da quella domanda piena di dolore e stupore:
"Dove hanno messo il Corpo del mio Signore?"
e vedere se Gesù Eucaristico deve rimanere un "oggetto d'arredo" tra tanti, confinato chissà dove, invisibiile, in modo che un povero fedele che entra per fermarsi un minuto a colloquio con Gesù, realmente Presente nel tabernacolo, in silenziosa adorazione,
non debba fare spontaneamente una genuflessione al seggio del "presidente dell'assemblea" che vede troneggiare là in fondo all'abside, in posizione centrale dietro l'altare, in modo da catalizzare tutti gli sguardi e i pensieri ...
e farsi
riverire e adorare?
E il Signore, nella sua Casa, è diventato ospite ingombrante,
o Persona di cui vergognarsi
(nel caso che entrino altri-vari-credenti, che si potrebbero offendere, eh...)
visto che lo si è collocato in modo
da essere "mimetico" con l'ambiente trasformato pressochè in un salotto?
Che sia rimesso il Tabernacolo nel posto d'onore che spetta al Signore Re di eterna gloria, per poterlo onorare e adorare come si conviene, e come Egli stesso ha chiesto a tanti santi ed anime mistiche, lamentando di essere lasciato nell'abbandono, e oggi anche relegato lontano
dall'altare del Suo Sacrificio...
è una pretesa risibile e ottocentesca?
(dal momento che il Concilio
non aveva MAI DETTO che il Tabernacolo dovesse o potesse spostarsi dalla sua posizione centrale nel presbiterio; e men che meno che al suo posto dovesse intronizzarsi il celebrante ponendovi il suo seggio, PERCHE' invece continua ad esser fatto, ancora in questi giorni?...)
Si è dunque avverata la previsione di Papa Pio XII:
“Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato.
Essa sarà tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che
il Suo Figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta” ?
Questo, di recente, mi è accaduto, in un paesino vicino alla mia città: in una chiesa, pochi fedeli, seduti in preghiera (?) davanti alla poltrona del presidente là, in fondo, al centro.
Con un brivido ho pensato:
"Dove hanno messo il Corpo del mio Signore e mio Dio?"
Invisibile. Lampada spenta.
Realtà superflue.
........
Dovrà forse arrivare, dopo tutto ciò che già abbiamo visto e udito, anche quel giorno che il Ss.mo Sacramento dell'altare diventi un "oggetto" d'arredo facoltativo?
?
?
Sono ancora l'anonimo delle 15.59..
RispondiEliminaHo visto il confronto sinottico.. Tuttavia proprio avendolo visto ho notato che, pur essendoci stato qualche cambiamento, la struttura principale della Santa Messa mi sembra intatta.. E proprio per questo che questa "discontinuità" tra i "due" Riti non c'è (come del resto insegna il Motu Proprio Summorum Pontificum).
Grazie a chi vorrà rispondermi.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaGrazie a chi vorrà rispondermi.
RispondiEliminasenza dilungarmi nei tagli selvaggi operati alla Messa di Sempre - che ne hanno snaturato senso e significato - che lei non ha saputo o voluto vedere non so perché,
e senza neppure soffermarmi sull'abolizione della lingua sacra, dai termini spesso INTRADUCIBILI ma assimilabili in tutto il loro spessore semantico, per sostituirla - DAVANTI al nostro Dio - con quella che usiamo tutti i giorni anche al supermercato,
può bastare che si rilegga quel che hanno detto i vescovi italiani (mi sembrano parole loro e non del monaco che ha scritto l'articolo oggetto di questo thread)
hanno scritto "meno parole e più Parola"
c'è da rimanere basiti.
A parte che sembra uno slogan, ma il Signore, il Figlio di Dio Vivente, morto e risorto per noi, che attende le nostre risposte e il nostro sì di tutta la vita e di ogni momento, che nell'Eucaristia si fa Presente e che è una Persona Viva che entra nel nostro essere e nelle nostre vite
viene riduttivamente identificato con la Parola, che è sempre Lui - su questo siamo d'accordo - ma non rende la concretezza e la realtà dell'incontro vivo e vero con Lui come Persona, ma soprattutto di quello CHE ACCADE durante l'Eucaristia!
Ci rendiamo conto?
E si rilegga il post precedente riguardo alla conclusione dell'articolista, forse potrà dedurne qualcosa
Spesso i giovani, e tra questi quelli che hanno più attenzione e passione per la liturgia (in particolare i seminaristi e i novizi) sembrano avere nostalgia di un passato che in realtà essi neppure conoscono, in quanto non lo hanno mai vissuto.
RispondiEliminaComincio con questa affermazione. In poche parole si lascia intendere che quei giovani che oggi si rivolgono alla Messa di sempre (tridentina) fanno qualche cosa di assurdo dal moneto che dimostrano nostalgia per qualche cosa che nemmeno hanno mai conosciuto. A parte la speciosità dell’argomento (che significa parlare di nostalgia? Che significa mettere la questione sulla base del diritto di desiderare qualche cosa solo se questo qualche cosa è stato in precedenza sperimentato di persona?) mi sembra davvero poco onesto che i fautori di una “riforma” della Chiesa spesso giustificata – per renderla accettata di buon grado – come ritorno ad una fantomatica Chiesa delle origini… ora tirino in ballo questa eccezione. Se i giovani di oggi sbagliano a desiderare il ritorno ad una liturgia che loro, per una manciata di anni, non hanno potuto vivere (anche se possono facilmente conoscere e interrogare quanti in oprima persona l’hanno vissuta) che dire di quei mini-luteri conciliari che hanno sempre in bocca le forme – presunte – di una Chiesa di oltre 19 secoli fa??? Loro l’hanno vissuta quella chiesa che vagheggiano tanto? Hanno conosciuto qualcuno che l’abbia vissuta? No… però loro possono.
Hanno nostalgia di quella liturgia che i loro padri e le loro madri subivano perché del tutto incomprensibile, lontana dalle loro attese e dalle loro esigenze e che, con il sopraggiungere della riforma liturgica conciliare, hanno salutato senza il minimo rimpianto.
Sulla base di quale accurata indagine statistica si può affermare tutto ciò? Non mi risulta che la riforma liturgica sia stata decretata tramite referendum… ma, come è giusto, decisa dalla gerarchia sotto consiglio dei vari teologi ecc. Quanto ai fedeli… beh non hanno subito la nuova meno di quanto avessero subito la vecchia. Del resto – scusate il paragone blasfemo – da un certo punto di vista le due liturgie sono come due “prodotti” messi sul mercato, diciamo due opere d’arte… (così divine meno duro il paragone) nessuna delle due opere è decisa o voluta dal popolo, dal pubblico, sono frutto di scelte ispirate di un artista… come dire che una è stata subita l’altra no? Come dre che una è voluta e un’altra no? Certo ci sarebbero due vie per valutare il gradimento delle due opere: una è quella dell’indagine statistico-demoscopica accurata e scientifica… ma non è stata mai fatta che mi risulti. L’altra più semplice meno scientifica ma certamente più vicina alla realtà: contare anche a spanne quante persone vanno a vedre un’opera e quante l’altra… fuor di metafora.. quante persone c’erano nelle chiese al tempo della antica liturgia e quante ce ne sono oggi a seguire la nuova… Insomma mi pare davvero azzardato valutando anche ad occhio la situazione, che si possa dire che “il popolo” abbia salutato festosamente e senza rimpianti il cambiamento!!! Per far capire la disapprovazione il “popolo di Dio” che avrebbe dovuto fare… dar fuoco alle chiese in cui si celebrava il nuovo rito??? Disertarle non basta???
[continua]
Ma forse pure se avesse dato fuoco alle chiese non sarebbe bastato a convincere i soloni progressisti. Il guaio è che quella genia è vittima di quella sorta di auto esaltazione presuntuosa che assale ogni buon rivoluzionario moderno e di sinistra e che gli fa credere con certezza assoluta di sapere più e meglio del popolo quello che il popolo vuole. Mi viene in mente un famoso e sinirto episodio storico accaduto durante la tragica e funesta rivoluzione napoletana 8figlia di quella ancora più tragica francese) del 1799. Ricorda un noto storico contemporaneo:
RispondiElimina“Eleonora de Fonseca Pimentel, [una delle annoiate e ricche pasionarie che giocavano alla rivoluzione per conto e anome del popolo di Napoli] stretta d'assedio [nel Maschio Angioino] dai Lazzari, scrive allo Championnet [generale francese]: sbrigati a venire a Napoli, perché questi ci ammazzano tutti. La sua lettera si chiude con queste parole: non la nazione, ma il popolo è contro i francesi. È una frase impressionante, perché equivaleva a dire: noi trenta, chiusi qui dentro, siamo tutta la nazione, i quattro milioni che stanno fuori sono il popolo e non valgono niente".
Ecco come si spiega questa frase aberrante per accecamento fanatico e presunzione:
Forse sono stati rinnovati i riti, ma il modo di vivere e di comprendere la liturgia è rimasto quello del preconcilio. In tal caso, si dovrebbe applicare alla riforma liturgica un detto della tradizione rabbinica: “Per Dio è stato più facile far uscire gli ebrei dall’Egitto che l’Egitto dagli ebrei”
Mi vengono in mente certi politici (quasi sempre anche loro dei vetero-sessantottini, come bene ha osservato Luisa parlando dei mini-luteri conciliolatrici, la matrice è sempre quella!!!) che quando perdono le elezioni invece di fare umile autocritica e valutare se effettivamente il proprio programma democraticamente e palesemente rifiutato non abbia dei difetti e vada abbandonato o cambiato… commentano stizziti e boriosi affermando che la massa - idiota... – non l’ha capito, che si è lasciata abbindolare e che dovrà essere adeguatamente indottrinata perché capisca ciò che DEVE volere!
Ho letto l'intervento articolato di Scipione e concordo con l'analisi approfondita e veritiere.
RispondiEliminaLa riforma liturgica parlando fuori dei denti è stata una grande castroneria figlia della mentalità neomodernista e sessantottina. Oggi piangiamo tutti sui cocci cerchiamo di fare qualcosa almeno per salvare il salvabile:
comunione in ginocchio e sulla lingua
celebrazione ad orientem o almeno con la croce ben visibile al centro dell'altare,
usare paramenti più decenti
ripristinare il manipolo, la borsa e il velo
curare i canti inserendo il gregoriano e canti più dignitosi possibili rivalutando le corali
celebrare di tanto in tanto secondo il rito tridentino o meglio gregoriano e riabituare il più possibile ad esso i fedeli.
Nella parrocchia dove sono parroco sto facendo questo, in diocesi finalmente qualcosa si sta muovendo, anche in altre due parrocchie, preghiamo, lottiamo e soffrimo per togliere questo cancro neo modernista, massonico e
iconoclasta dalla Chiesa...
Pregate anche per me
l'analisi e la sottile ironia di Scipione può essere molto più utile a far forse vacillare qualche granitica certezza nei mini-luteri conciliolatrici, piuttosto che il richiamo ai fondamenti della nostra Fede e a quel che ha fatto per noi il Signore Gesù, del quale si è persa persino l'abitudine di fare il Nome
RispondiEliminaNe è di esempio il testo dei vescovi citato nell'articolo.
Piccolo commento:
Nonostante i tantissimi benefici apportati dalla riforma liturgica del concilio Vaticano II,
vogliamo scherzare? giammai prendere in considerazione che le cause della crisi possano derivare dalla nefasta riforma della liturgia, che neppure possiamo chiamare conciliare perché non sancita direttamente dalla costituzione dogmatica!
spesso uno dei problemi più difficili oggi è proprio la trasmissione del vero senso della liturgia cristiana.
affermazione grave che rispecchia il nocciolo del problema e non può non lasciare sullo sfondo i "tantissimi benefici"
Si costata qua e là una certa stanchezza e anche la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare.
il richiamo ai "vecchi formalismi" denota il disprezzo congenito verso la Liturgia di sempre ma anche la completa IGNORANZA dei suoi significati;
nella "ricerca ingenua dello spettacolare" viene riconosciuto l'indulgere alla sensazionalità in luogo che alla 'sostanza', all'apparire invece che all'essere. Andrebbe rispolverato il discorso delle 'essenze'!
Pare, talvolta, che l’evento sacramentale non venga colto. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno.
che discorso squisitamente 'tecnico'! Sembra la relazione per un consiglio di Amministrazione, più che un fatto di fede che ha bisogno di essere 'accesa' da qualcuno che l'ha scoperta e la vive in un evento come la Liturgia che lo soprassa, ma che gli è familiare!
La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli.
'formazione liturgica' che significa? Non è che sia il sacerdote Presidente dell'Assemblea che non celebra, ma accoglie e vive, devono conoscere chi è il vero Celebrante e cosa fa e cosa ACCADE e quali sono le indicibili conseguenze?
Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini”(n. 49).
Esprimono sorpresa e meraviglia per la "tentazione di tornare a vecchi formalismi", ma non si accorgono che quello che propongono è qualcosa di nuovo ancora, diverso dall'attuale, citando elementi che appartengono alla 'forma' dell'Antico Rito, che nulla ha a che fare con il formalismo ma è esperienza di Fede viva sedimentata nei secoli. Invece, il loro, sempre "formalismo" è, perché la "perenne Alleanza di Dio con gli uomini" non deve essere 'narrata' ma lasciata operare quello che significa. E come possono l'invocata bellezza e semplicità, essere veicolo del mistero, se ne sono stati diluiti o cancellati segni e significati fondamentali, uno a caso: il Sacrificio di Cristo sulla Croce?
A FdS: ormai P. Augé ha risposto riportando il tuo intervento, per cui la censura - che ci sarebbe voluta - è inutile. Ma vorremmo richiamare tutti alla necessità della pacatezza ed evitare, in particolare, commenti graffianti ad personam.
RispondiEliminaA P. Augé. Questo interessante articolo ripreso dal Suo blog mostra che forse è finito anche per i "progressisti" o riformatori o novatori (come possiamo chiamarvi?) il trionfalismo che, ammetterà, è stata la vostra cifra costante almeno fino all'altro ieri. Quante volte si è sentito il discorso: meno praticanti, ma migliori perché lo sono per scelta e non per abitudine; meno messe ma più Messa; cristiani attenti e maturi e non vecchiette a biascicar rosari; Popolo di Dio entusiasta di riappropriarsi, ecc.
Questa 'presa di coscienza' è un'ottima cosa. Per cominciare a tentar di risolvere i problemi, bisogna prima accorgersi della loro esistenza. Abbiamo, quindi, un punto che possiamo condividere (l'esistenza di una crisi, se non catastrofe).
Su cause e rimedi, divergiamo, dice. Sulle cause, sarebbe istruttivo se ci dicesse in breve quali sono, secondo Lei. Scusi se uso l'artificio retorico dell'occupazione (prevenire e confutare le argomentazioni altrui), ma se una di queste cause è la secolarizzazione dell'ambiente, debbo contraddirla in anticipo: ci sono religioni, contrarie ad ogni 'apertura al mondo', che anche nello stesso tessuto sociale non conoscono crisi ma espansione, come musulmani e pentecostali.
Sui rimedi, a me par di cogliere nell'articolo qui in commento una conclusione che non è poi lontana da quel che sostengono i tradizionalisti: meno spettacolini, meno convivialità festaiola, meno sentimentalismo emotivo, meno comunitarismo, più interiorità e contemplazione, più adorazione, liturgia al primo posto (anziché... tutto il resto). Ammetterà che sembra una "professione di fede tridentina".
E allora, su che cosa non siam d'accordo?
Ho i miei dubbi che si possa dialogare fruttuosamente con i liturgisti postconciliari. Anche quelli colti ed affabili, se potessero, non esiterebbero neanche un istante a mettere di nuovo al bando la Messa tridentina. P. Auge` non ha mai fatto mistero di questo.
RispondiEliminaLa Redazione di "Messainlatino" mi domanda su che cosa non siamo d'accordo? L'ho detto tante volte con chiarezza e semplicità. Io (e altri molti...) non siamo d'accordo anzitutto e soprattutto sul metodo adoperato per portare serenità e correttezza in campo liturgico. Due forme rituali creano - di fatto - due Chiese. L'esperienza di due anni dimostra che invece di unire, dividono. Alla lunga, la situazione potrebbe diventare grave. Il prospettato traguardo dell'incontro delle due forme rituali sembra a molti (sia ai devoti della forma straordinaria che ai devoti della forma ordinaria) una vera e propria utopia. Historia docet...
RispondiEliminaMatias Augé
Caro Padre Auge',
RispondiEliminaLa ringrazio di cuore per l'argomentata e pacata risposta ad un mio intervento volutamente provocatorio. La Sua buona volonta' e' meritevole di ogni encomio.
"Sarebbe sempre meglio evitare i giudizi sulle persone..."
Concordo con Lei, ma non era questa l'intenzione. Lei e' uno dei pochi liturgisti che mi ha dato l'impressione di sapere esattamente di cosa parla sia per le conseguenze dogmatiche che liturgiche. Cio' aumenta la Sua responsabilita'.
"La mia posizione sulla liturgia non è astuta né disperata né pericolosa per la fede,"
Questa era la parte piu' emotiva del mio discorso, per il resto vedremo l'evolversi degli eventi.
"ma coerente con i miei studi e con lunghi anni d'insegnamento,"
Spero che i sacerdoti da Lei formati siano consapevoli delle loro resonsabilita' nel tradurre in pratica gli insegnamenti ricevuti.
"nonché con una certa esperienza internazionale che mi aiuta a guardare l'insieme della Chiesa con occhi meno catastrofisti..."
Per varie ragioni ho maturato anch'io una certa esperienza internazionale - ovviamente in ambito diverso - che mi spinge a condividere il Suo giudizio. Purtroppo e' proprio la situazione italiana a riempirmi di tristezza.
"Ascolto volentieri anche le vostre opinioni, ma le valuto e cerco di confrontarmi."
La ringrazio e aggiungo che non cerco il conflitto dogmatico ma mi limito, dolorosamente, a registrarlo.
Mi dispiace aver creato disappunto alla Redazione e comunque mi riconosco nelle considerazioni finali di Messainlatino.
Cordialmente, FdS
Grazie FdS!
RispondiEliminaPer P. Augé. Grazie della risposta, ma veramente le domande erano altre e cioè:
1) Quali sono, nella sua prospettiva, le cause della crisi attuale(che c'è eccome, anche e soprattutto all'estero, quanto meno in tutta Europa e in Sudamerica; in Nordamerica va meglio ma solo grazie all'immmigrazione).
2) In che cosa la ricetta proposta da Boselli (e dai vescovi, par di capire) si discosta da un recupero di elementi tradizionali, da una "tridentinizzazione", poca o tanta, della liturgia ordinaria. Ed è proprio in vista di quello che il Papa ha emanato il motu proprio, più ancora che per soddisfare noi 'tradizionalisti'.
Lei solleva un'altra questione: la 'divisività' della convivenza dei due riti. Qui siamo in totale disaccordo. I problemi ci sono, ma son causati dalla chiusura e dall'esclusione praticata dai vescovi (la maggior parte) che la pensano proprio come Lei. Noti che nei pochi posti dove non è così (ad es., in diocesi di Albenga o in molte diocesi americane), non c'è proprio nessun problema, ma anzi quel mutuo arricchimento in cui non crede.
Se in una parrocchia alle 10 c'è la Messa dei fanciulli, alle 11 quella 'normale' e alle 18 quella in forma straordinaria, ce lo spiega dov'è il problema e il rischio?
caro P. Augé, Lei si dice contrario alla coesistenza delle due forme del rito romano, poiché ciò porterebbe a una divisione ancora più netta nella chiesa tra "tradizionalisti" e "progressisti". Io sono convinto, invece, che la decisione del Papa sia l'unica chance per un recupero dello spirito autenticamente cattolico della liturgia. Mi spiego: se il Papa non avesse dato la possibilità a noi sacerdoti di celebrare secondo l'antico rito, nessuno avrebbe potuto conoscere quale sia lo spirito della vera liturgia, che si conserva nella forma straordinaria. L'averlo fatto, il poter celebrare "liberamente" pur con tutti i freni possibili e immaginabili dell'intellighenzia ecclesiastica, illuminata, liberale, dialogante dei fan del NOM, ha messo davanti agli occhi dei semplici ciò che era stato buttato alle Gemonie.
RispondiEliminaSolo così Lei e molti suoi colleghi hanno iniziato ad ammettere che forse la riforma liturgica non è figlia del movimento liturgico e del concilio, ma è andata oltre alle intenzioni dei padri conciliari.
Questo confronto che aumenta ogni giorno, porterà inevitabilmente ad una riforma della riforma e speriamo un giorno al recupero pieno della liturgia di sempre con i pochi aggiustamenti che sono necessari e che in ogni epoca sono stati apportati senza stravolgere l'impianto stesso della Messa e dei Sacramenti.
Se, come dice p. AUGE', le due forme dell'unico (?) rito romano crean divisioni - ma queste c'eran già prima del Motu Proprio - e "la riforma della riforma" che dovrebbe essere, secondo la volontà del pontefice, una soluzione razionale del problema liturgico che implica gravissime motivazioni teologiche circa l'essenza della S. Messa, è soltanto un'utopia, allora non resta altro da fare che eliminare la causa della divisione: il NOM. Infelicemente detto forma ordinaria, perché in realtà forma ordinaria avrebbe dovuto e dovrebbe esser considerato e definito l'antico rito mai abrogato, mentre il nuovo avrebbe dovuto e dovrebbe esser considerato e definito straordinario, perché ha interrotto una venerabile tradizione con ripudio di quest'ultima, creando una rottura inaudita nella storia liturgica
RispondiEliminadella Chiesa, com'ebbe a scrivere Ratzinger a Waldestein.
Ma io son fiducioso. Altre volte ho indicato le possibili soluzioni ch sono allo studio. E non mi ripeto.
La varietà dei riti non è apportatrice di confusione e di divisioni: queste son provocate dalla tracotante chiusura e dalla miopia degli sventurati novatori.
Ho letto diversi interventi sentiti ed interessanti soprattutto di SCIPIONE, MIC e della Redazione.
non siamo d'accordo anzitutto e soprattutto sul metodo adoperato per portare serenità e correttezza in campo liturgico. Due forme rituali creano - di fatto - due Chiese. L'esperienza di due anni dimostra che invece di unire, dividono.
RispondiEliminaMi ha colpito questa frase di P. Augè - che poi di fatto è una sottile accusa che assieme ad altre (tutte presenti nell'articolo di Boselli... evidentemente il catechismo progressista è studiato a memoria dai suoi adepti) anche molti sacerdoti della mia diocesi mi hanno mosso quando ho richiesto la celebrazione della Messa tridentina - non perchè la trovi falsa nella sostanza ma di sicuro nella distribuzione delle colpe che sottende.
Mi spiego. L'accusa, grave, è quella di far correre il rischio di ritrovarsi con due Chiese contrapposte e ovviamente, per P. Augè la rsponsabilità sarebbe tutta della liberalizzazione della Messa tridentina e quindi dei "tradizionalisti".
Ora questo argomento potrebbe essere paragonato a quello di chi pretendesse di attribuire alla Polonia la responsabilità dello scoppio della II guerra mondiale. A rigor di termini infatti se i Polacchi non avessero risposto all'attacco nazista ma avessero accettato di buon grado l'annessione di parte del loro territorio al terzo reich e all'URSS, non ci sarebbe stata formale aggressione dei tedeschi ma semplice accordo tra i due stati così le clausole del trattato con la Francia e la Gran Bretagna - che si impegnavano a intervenire in caso di guerra alla Polonia - non sarebbero scattate e quindi non sarebbe iniziata la guerra mondiale.
Nella forma il discoso è ineccepibile - come diceva Von Clauswitz... la guerra la scatena formalmente sempre l'attaccato non l'attaccante... perchè è l'attaccato che resistendo invece che piegandosi di buon grado all'attaccante trasforma l'attacco unilaterale, che potrebbe pure essere pacifico (e infatti i nazisti all'inizio non fecero altro che passar un confine) in guerra.
Ma chi se la sentirebbe di sostenere anche dal punto di vista morale una simile tesi?
Chi ha deciso di creare una "nuova Chiesa" (e non mi si dica che sono pochi i conciliolatri che nei fatti lo sostengono) a colpi di "interpretazioni" progressiste del CVII? Chi ha voluto proprio con la fuga in avanti - rispetto alle disposizioni dello stesso CVII sulla liturgia - creare una nuova messa che potesse essere un segno di rottura e la degna liturgia di una nuova Chiesa?
A questo punto la volontà di azzerare la Chiesa di sempre era ed è palese... Ovviamente se l'azzeramento fosse riuscito perfettamente non dovremmo ora rischiare di trovarci con due Chiese e certamente la presenza di questo rischio nella forma è imputabile a quegli "ottusi e caparbi" tridentini che non hanno di buon grado accettato - un po' come i Polacchi - di farsi azzerare...
Ma con che faccia si può stigmatizzare il "rischio" di avere due Chiese e passare sotto silenzio la causa che lo determina ossia il CRIMINE - commesso non certo dai... "tridentini" - di aver voluto annientare una - quella vera! - delle "due" Chiese?
Insomma chi ha infranto questa serenità? Noi... "polacchi" tradizionalisti o voi "....." pregressisti?
DANTE PASTORELLI con un decimo delle parole usate da me ha centrato perfettamente la questione e mi ha pure preceduto... l'avessi letto prima vi avrei risparmiato la mia filippica.
RispondiEliminaAd Athanasius voglio dire che non solo pregherò volentieri per lui, ma che - bonariamente però sinceramente - invidio i suoi parrocchiani che possono avere un parroco come lui!
E' certo un bene che noi laici si sia fedeli alla tradizione ecc. ma che lo siano i sacerdoti, che - con buona pace dei conciliolatri - da tanti punti di vista sono più importanti più di noi, è fondamentale.
GRAZIE SCIPIONE!!!!!
RispondiEliminaE' un grande piacere leggere i tuoi commenti!
Per favore continua così!!!
PaoloD
A volte i commenti si sovrappongono
RispondiElimina(ad es. io non avevo letto don GIANLUIGI) ma le diverse angolazioni degli interventi, come in questo caso, caro SCIPIONE, si fondono e meglio esprimono quel che intendiamo.
ATHANASIUS: mi associo anch'io cattolicamente all'augurio di un lavoro sempre più proficuo.
E' strano trovare su questo sito un articolo di un "monaco" seguace di una comunità di un signore che si è auto proclamato abate, senz'alcun riconoscimento di Santa Madre Chiesa e all'avanguardia della più sottile contestazione ad essa, fatta di melliflue quanto velenosissime "riflessioni" e "meditazioni".
RispondiEliminaE' vero che occorre "esaminare tutto e ritenere ciò che è buono", ma mi pare un pò troppo !
ANONIMO delle 16,50(ma datti un nome!), l'articolo che contesti - giustamente - è però significativo anche dall'altra sponda si cominci ad aprir gli occhi sullo sfacelo della liturgia e sulla necessità di renderla più sobria ed intima. Non è da sottovalutare, dunque, se è sincero sintomo di ripensamento.
RispondiEliminaE' uno spiraglio.
Andrà avanti questa ricerca? Non credo. La mia opinione, meglio, il mio timore, è che la ricerca di una maggiore interiorizzazione, da raggiungere eliminando abusi e "spettacoli", miri ad un fine diverso del nostro: una liturgia povera e umanizzata, relativizzata, espressione di una religiosità orizzontale che non ha più il senso del trascendente.
Insomma, migliorar la forma "apparente" lasciando intatto un contenuto corrosivo.
@ P. Augè...
RispondiEliminaDico sinceramente che mi sforzo di essere gentile, ma non sono per nulla daccordo con la "sentenza" data:
Che cioè "il Motu Proprio sta creando divisione nella Chiesa e che è stato un passo falso riconoscere la perenne validità del rito Gregoriano o tridentino".
Questa affermazione di Padre Augè è in primo luogo una stoccata velenosa contro il Santo Padre Benedetto XVI e indirettamente contro tutti quei leali cattolici che gli vogliono obbedire sinceramente....
devo aggiungere che da quando conosco il rito tridentino mi si sono aperti gli occhi sui criteri discutibili che hanno guidato il "Consilium" che ha inteso riformare in chiave "protestante" la Messa.
Capisco che Liturgisti come Padre Augè che hanno dedicato una vita alle loro opinioni discutibili, si sentano frustrati e scontenti, ma non c'è niente da fare se una cosa è sbagliata è sbagliata, certi liturgisti somigliano ai comunisti attuali che dopo la caduta del muro di berlino continuano a dire che il comunismo è buono che vuole la liberazione dei popoli oppressi dall'oscurantismo ecc... ecc...
ormai la riforma di Bugnini l'ha condannata la storia.... se noi stessimo zitti parlerebbero le pietre....
Pregherò per Padre Augè perchè una persona intelliggente come Lui e spero anche umile possa comprendere quello che lo Spirito Santo sta cercando in tutti i modi diu farci capire....
Col Comunismo e col protestantesimo è impossibile andare daccordo... l'unica cosa da fare è rimanere cattolici.
Chiedo scusa per la veemenza, ma è una vita che penso queste cose.
P.S. grazie a don Gianluigi, a Scipione al Prof Pastorelli per i loro interventi.
Il fatto che il Papa e tanti ottimi alti prelati voglian modificar il NOM è il segno indiscutibile d'una liturgia povera, arida, in alcuni tratti ambigua e priva della sacralità necessaria e, pertanto, fonte, per chi non abbia sufficiente cultura specifica, di deviazioni dottrinali per l'errata ecclesiologia che la sottende e le omissioni sulla natura sacrificale dell'Offertorio e di alcuni canoni.
RispondiEliminaDante caro,diciamocela una buona volta la verita':la nuova messa e' brutta,ma talmente brutta che se detta in latino con qualche nota di gregoriano diventa pure mostruosamente indecente,esattamente come sentire dei versi danteschi nel corso di un'assemblea condominiale.Chi non coglie questo o non conosce la Messa di una volta o e' sprovvisto del piu' elementare gusto estetico.Lo sai chi gioisce al sommo dello squacquero contemporaneo?Quelli che stanno in baracche cogli infissi metallizzati finto-oro e coi nanetti di gesso sul muretto di confine.La nuova Messa non poteva che essere varata in questo contesto.Se la godano pure!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaNessuna esperienza personale posso riportar di riunioni o funzioni dei neocat. La lettura della loro "dottrina" mi basta. Quel che riferite sulle loro kermesse o sui loro riti è abominevole.
RispondiEliminaQuando s'imbocca la via della distruzione - talvolta in buona fede con intenzioni di crear qualcosa di più solido dell'antico - è pressoché impossibile ricostruire, se non scende una MANO dal cielo: ve lo ricordate il Natale manzoniano? "Qual masso che dal vertice / di lunga erta montna...".
A questa speranza dobbiamo restar fedeli. "Senza di me on potete far nulla".
Ci sono stati, mentre si accumulavano macerie su macerie, tante sante menti lungimiranti, ma erano i profeti di sventura; ci sono state tante anime che si son logorate sino alla morte per mantenr salda la fede, ma erano i ciechi che non vedevano la nuova primavera; ci sono stati gruppetti di laici che, nella loro povertà e marginalità, han combattuto la buona battaglia ma erano i passatisti incapaci di riconoscer i segni dei tempi ecc.
Oggi queste sofferenze, queste resistenze, questi moniti derisi, han cominciato a raggiungere i vertici della Chiesa per troppo tempo esaltati da un entusiasmo senza giustificazione. La realtà si dipana senza più veli sotto i loro occhi. La consapevolezza che siamo di fronte ad un a crisi che non ha precedenti se non in quella ariana si manifesta in atti concreti, per quanto ancor non particolarmente incisivi.
Ma il dolore, la preghiera, le ansie del piccolo gregge non possono restar inascoltati.
Voi giovani potrete assistere e partecipare alla rinascita. Io, ormai, no.
Ma potrò accommiatarmi con la coscienza di aver portato, non senza qualche scoramento, la mia infinitesimale tessera dell'edificio che si ri-innalzerà ab imis per la glori di Cristo e felice che voi, e tanti come voi, potrete ritrovare nella Chiesa la sicura, anche visibilmente, arca di salvezza.
Carissimo Dante Pastorelli,con vibrati accenti di verita' hai scritto il tuo piu' bell'intervento.Che il Signore ti dia,anche a nostra gioia,lunghi anni di vita.Ti vogliamo,in Cristo,un gran bene!Eugenio
RispondiElimina