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martedì 16 dicembre 2008

Nomine episcopali in Francia. Un nuovo corso?

Il vescovo di Amiens mons. Bouilleret (quale dei due? Perché, c'è molta differenza?), presule emblematico di nomine episcopali poco felici nella Chiesa francese.











L'episcopato francese è tradizionalmente refrattario, fin dai tempi del gallicanesimo, alla supremazia romana; a ciò si è aggiunto, da 45 anni a questa parte, un progressismo esasperato che almeno a noi italiani è stato per fortuna risparmiato, in quegli eccessi. Poiché l'abito fa il monaco, checché se ne dica (o meglio: l'abito non è sufficiente a fare il monaco, ma senz’abito non c'è proprio monaco), basti dire che la maggior parte dei presuli francesi gira abitualmente, anche nelle occasioni pubbliche, in giacca e cravatta: il clergyman è già troppo "romano" e "integralista". Non parliamo dell’abito talare!

Questo aspetto vestimentario non è che una spia di tutto il resto: creatività liturgica dissennata (il Messale è non di rado considerato alla stregua di un canovaccio della Commedia dell'arte), istituzione di perniciose équipes liturgiche per appaltare di fatto a dei laici "impegnati" (e solitamente iconoclasti) la gestione di celebrazioni sempre più "comunitarie", infantili e raffazzonate (l'ultima invenzione? La ‘Messa che prende il suo tempo’, con tanto di bicchierata comunitaria, definita "una liturgia che respira per permettere a ciascuno di fermarsi, di ritrovare se stesso per lasciarsi interpellare dall'Evangelo": se non ci credete, cliccate qui, sul sito dei gesuiti francesi).

Poiché c'è una proporzione diretta (scientificamente e sociologicamente accertata: clicca qui) tra il grado di progressismo antitradizionale e l'abbandono della pratica religiosa con caduta delle vocazioni (chi diceva che l'albero si riconosce dai frutti?), la Francia è oggi una delle nazioni europee più scristianizzate: a messa ogni domenica va meno del 5% dei Francesi (in Francia ci sono più musulmani che vanno settimanalmente alla moschea che cattolici che vanno la domenica in chiesa: vedi la statistica). E se 50 anni fa la quasi totalità dei nati veniva battezzata, oggi meno della metà dei neonati possono considerarsi, anche solo formalmente in base al certificato di battesimo, di religione cattolica.

Questa situazione fallimentare è sotto gli occhi di tutti, eppure l'episcopato transalpino, come l'alcolista che nega cocciutamente di avere problemi col bere, si sforza di far credere che i cattolici, benché meno numerosi, sono più motivati, impegnati, formati, ecc. In realtà le statistiche mostrano tristemente che i pochi praticanti, "sopravvissuti" a decenni di sbandate liturgiche e dottrinali, sono in media molto anziani e in buona misura hanno perso elementi importanti della Fede (come la nozione della Presenza Reale di Gesù nell'Eucarestia), oppure sono convinti irenicamente che tutte le religioni si equivalgono (lo pensa il 63% dei pochi praticanti – mentre significativamente i non praticanti sono un pochino più ortodossi, dato che la percentuale scende al 60% - secondo una statistica apparsa il 12.11.07 su La Croix, quotidiano semiufficiale della Chiesa francese). Altra ricorrente affermazione: la diminuzione (in realtà crollo) delle vocazioni sarebbe una occasione "storica" per promuovere il ruolo dei laici, ammettendoli sempre più a ruoli finora svolti dai sacerdoti e elidendo nei fatti la distinzione tra i rispettivi ministeri: alcuni vescovi propugnano perfino l'abolizione delle parrocchie e la sostituzione con "unità pastorali" formate da laici sotto la mera presidenza di un prete (uno per non meno di 10-20 ex parrocchie).

Gli unici elementi ancora vitali del cattolicesimo francese si trovano o nel movimento tradizionalista (che infatti è in Francia molto forte e combattivo, per reazione agli eccessi opposti della Chiesa "ufficiale") o nei nuovi movimenti più o meno carismatici, o in quelle rare parrocchie affidate a giovani sacerdoti, che sono pochi ma almeno generalmente più ortodossi del clero più anziano.

Al momento dell'elezione di Benedetto XVI la situazione era dunque questa. Nel disastro generale spiccavano due casi peculiari (ne tralasceremo un terzo, mons. Cattenoz ad Avignone, conservatore ma al tempo stesso avversario dell'insediamento di apostolati delle fraternità tradizionaliste). Il primo caso è Parigi, dove la situazione in termini di vocazioni e pratica religiosa era ed è ben migliore, grazie all'oculato e lungo "regno" del card. Lustiger (fino al 2005), cui è succeduto, con eguale linea, il suo ex vicario mons. Vingt-Trois. Mons. Lustiger era fidato amico di Giovanni Paolo II ed aveva provveduto a "ricentrare" l'andazzo ereditato dal suo predecessore, l'ultraprogressista card. Marty; restando peraltro fiero oppositore delle istanze tradizionaliste (quando s'era parlato di liberalizzare l'antico rito, Lustiger malato di cancro aveva lasciato il capezzale per andare a Roma a dissuadere il pontefice).

L'altro caso degno di nota è la diocesi di Tolone (anzi: Fréjus-Tolone), di cui è vescovo mons. Rey. Benché città di terzo piano, Tolone rappresenta in Francia, e in modo ancor più pronunciato, quel che da noi è la diocesi di Albenga-Imperia: un'oasi non ostile ad una sensibilità più tradizionale, in linea con la visione liturgica del nuovo Papa e con la mentalità del più giovane clero. Risultato: il seminario diocesano da solo ospita un decimo di tutti gli aspiranti preti di Francia, perfino più di quello di Parigi con tutti i suoi milioni di abitanti.

Con l'elezione di Papa Ratzinger ci si sarebbe attesi un cambio radicale di rotta. In realtà, a parte qualche caso di vescovi più "classici" (come mons. Centène, nella peraltro secondaria diocesi di Vannes), continuarono ad essere promossi esponenti della vecchia mentalità anni '70, molto "Spirito del Concilio", vecchi slogan e "apertura alle istanza del nostro tempo".

All’inizio del 2008 l'abbé Claude Barthe, intelligente e libero sacerdote di sensibilità tradizionale, ha pubblicato un illuminante studio (presente on line qui) dedicato al problema delle nomine episcopali in Francia e sottotitolato "Le lentezze di un mutamento", proprio per indagare le resistenze che impediscono un cambio di rotta di cui qualunque persona di buon senso (non necessariamente un conservatore, ma un qualsiasi analista anche superficiale dei dati statistici) vede l'assoluta urgenza.

Ebbene, in quest'anno di grazia 2008 si possono cogliere incoraggianti segnali di questo atteso cambiamento. Forse perché si approssima l'età pensionabile (75 anni a fine gennaio 2009) del Card. Re, nemico acerrimo della Messa tradizionale e Prefetto della Congregazione dei Vescovi (che ha il compito di preparare le nomine), di cui si dice che il Papa non si fidi più (et pour cause!), al pari del segretario della stessa Congregazione, mons. Monterisi. Forse per la rimozione nella primavera scorsa dalla curia romana di mons. Duthel, già quinta colonna dell'episcopato francese progressista in seno alla Sezione francofona della Segreteria di Stato ed influente consigliere nella scelta degli episcopabili (e, si dice pure, solito fotografare i seminaristi francesi a Roma che si azzardassero in talare, per denunziarli al loro vescovo in vista di auspicabili espulsioni dal seminario). Forse pure, chissà, perché il libello dell'abbé Barthe è stato letto molto in alto...
Fatto è che l'oliata macchina delle nomine episcopali per la Francia sembra essersi inceppata ed essere ripartita con tutt'altra andatura, rappresentata da queste gustose novità:
  1. La prima è stata, ad aprile, la nomina ad ausiliare di Nanterre di mons. Brouwet, che non solo è molto giovane, ma è un partecipante dell'annuale "pellegrinaggio della Tradizione" da Parigi a Chartres. Un peccato capitale, agli occhi di molti suoi colleghi. Chissà come l'ha presa il vescovo di Nanterre mons. Daucourt, che per anni (ai tempi dell'indulto) ha snobbato con sufficienza le numerose richieste di fedeli che chiedevano una Messa tradizionale. Per ora si è limitato a proibire al suo nuovo ausiliario di occuparsi dei fedeli tradizionalisti.


  2. Molto più eclatante, a ottobre, la nomina a vescovo di Bayonne (una tra le diocesi più disastrate dal progressismo) di Mons. Aillet, già vicario generale della diocesi di Tolone (quella filotradizionale, come detto), ma soprattutto membro della Comunità San Martino che era stata fondata a Genova dal Card. Siri per quei sacerdoti francesi che fuggivano dal progressismo imperante. Non è escluso che abbia inciso sulla nomina l'influenza del giovane monsignore di Curia Martin Viviès, anch'egli della medesima comunità. Mons. Aillet gira sempre in tonaca (tanto che pare che il nunzio in Francia Fortunato Baldelli, tra l'altro finora corresponsabile del pernicioso andazzo delle nomine progressiste, gli abbia chiesto di cambiar abito per non urtare la sensibilità del suo presbiterio e, soprattutto, dei suoi "colleghi" vescovi). Il nostro è inoltre biritualista, poiché celebra regolarmente anche in forma straordinaria ed ha scritto un piccolo e favorevole trattato sulla Messa tradizionale. Alla sua consacrazione il 30 novembre 2008 ha predicato l’obbedienza al Papa, il celibato dei preti e il ruolo insostituibile dei sacerdoti. Per la Francia, una vera e benefica rivoluzione!


  3. Il 21 novembre, alla diocesi di Le Mans, è stato nominato mons. Le Saux, finora responsabile di preti, diaconi e seminaristi della comunità dell'Emmanuel. Non un gruppo tradizionale, ma comunque uno di quei movimenti che i progressisti vedono come fumo negli occhi per il loro repli identitaire (ripiegamento identitario ossia, tradotto in linguaggio corrente, semplicemente ortodossia).


  4. E con un'accelerazione stupefacente, è venuta subito dopo la nomina di Mons. Batut a vescovo ausiliario di Lione: stiamo parlando, Signori, dell'attuale parroco della chiesa parigina di St-Eugène-Ste Cécile, chiesa dell'indulto, dove il nostro eroe celebra nelle due forme del rito romano: non solo, ma anche la Messa di Paolo VI è in latino e "spalle al popolo" (perdonate quest'espressione, solitamente dispregiativa, ma ci piace troppo)!

Belle nomine, vero? Una magnifica risposta alle arroganti e piccate affermazioni di esponenti influenti dell'episcopato francese, che poco dopo la visita del Papa in Francia a settembre 2008 (quando li "rimproverò" per la chiusura verso i tradizionalisti, per la promozione eccessiva del ruolo dei laici nella liturgia e per le "benedizioni" ai divorziati risposati), ebbero a dire che il Papa non è il direttore generale di un'azienda che visita una succursale e che perciò era stato accolto come un fratello dai vescovi con cui è in comunione, senza alcuna subordinazione servile (card. Vingt-Trois: leggi la notizia sui mezzi di stampa qui), e che il Papa non è il capo della Chiesa, ma il primo tra i fratelli (mons. Patenôtre, arcivescovo di Sens-Auxerre, citato qui, noto vescovo "d'apertura", cioè progressista).

Vedremo se la fausta tendenza nuova è destinata a consolidarsi (forse l'aria sta davvero cambiando, se il card. Vingt-Trois lo scorso 14 dicembre ha accettato di celebrare more antiquo) e, auspicabilmente, ad essere esportata in altri Paesi che ne hanno proprio bisogno.

Vostro
Occam

2 commenti:

  1. Articolo molto gradevole da leggere ed interessante. non mi pare però indicato parlare di vescovi "tradizionalisti" (diffidare degli "-isti"!), quanto piuttosto di vescovi "ortodossi", di veri vescovi cattolici, insomma (viste le asinerie in cui incappano i "progressisti").

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  2. Se definissimo ortodossi solo i vescovi francesi non progressisti, la conclusione logica sarebbe che invece i progressisti, ossia la maggioranza, sono eterodossi, id est eretici.
    Il che è eccessivo, e forse anche ingiusto per persone che non sono demoni travestiti infiltratisi per distruggere la Chiesa di Francia (anzi, come dicono loro, la Chiesa-che-è-in-Francia). Il risultato è stato purtroppo proprio quello, ma come effetto preterintenzionale, anzi contro l'intenzione, di persone guastate da una vera e propria ideologia, quella degli anni '60 e '70, che tutti penso conosciamo: la Chiesa che finalmente ritrova coscienza di se stessa, si spoglia delle incrostazioni medioevali, temporalistiche, "costantiniane", si fa povera per i poveri, rinunzia ad avere il monopolio della verità, chiede scusa di esistere, si spoglia dello sfarzo e delle ricchezze, specie nella liturgia (dimenticando grossolanamente che proprio in quel modo ha impoverito grandemente il popolo, privandolo di una "ricchezza" che gli veniva gratuitamente offerta). Magari senza abbandonare il rispetto, almeno formale, per i dogmi (specie nella forma un po' ambigua
    degli ultimi decenni): di qui l'eccesso nell'escludere l'ortodossia di buona parte dell'episcopato francese.
    Insomma: è sbagliato parlare di vescovi tradizionalisti, ma lo è altrettanto limitare alla "nouvelle vague" la patente di ortodossia. Chiamiamoli magari "tradizionali", o "classici", o ultramontani.

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