Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1307 pubblicata da Paix Liturgique il 20 novembre, in cui si riprende e si commenta la notizia data in anteprima ed in esclusiva da MiL (QUI su MiL) sulla costituzione di una sorta di comitato auto-referenziale, composto solamente da sacerdoti con esclusione dei fedeli laici, per discutere del futuro della liturgia tradizionale con Papa Leone XIV (poi QUI; QUI su MiL).
«Ma è ancora necessario che noi fedeli possiamo testimoniare con una santa parresia […] la concretezza della nostra vita cristiana di Cattolici legati alla pedagogia tradizionale della fede. Questi laici impegnati, rappresentanti della grande schiera dei silenziosi legati alla Santa Messa tradizionale, potranno, senza alcuna difficoltà e con grande rispetto, evocare i Battesimi proibiti ai loro figli quando cercano di fondare famiglie cristiane, parlare delle chiese di cui questo o quell’ecclesiastico rifiuta di aprire le porte per il loro Matrimonio […], raccontare l’avventura delle scuole che hanno creato per trasmettere la fede ai loro discendenti, dei sacrifici che ciò comporta […]. Sì, meglio dei padri abati, questi fedeli sul campo che hanno i piedi nel fango del mondo potranno testimoniare in modo positivo l’ammirevole influenza della liturgia tradizionale sulle loro anime, su quelle dei loro amici e dei convertiti che vedono sempre più numerosi e più giovani».
Lorenzo V.
Da quando la religione musulmana si sta diffondendo in modo esponenziale sul territorio francese, è evidente che la Repubblica Francese sta incontrando grandi difficoltà nel creare uno spazio costruttivo di dialogo con l’Islam. Le varie iniziative, sia sotto l’era di Nicolas Sárközy che sotto quella di François Hollande o di Emmanuel Macron, si sono concluse con fallimenti più o meno cocenti. Naturalmente, la complessità organizzativa dell’Islam ha avuto un ruolo importante in questo senso. Ma finora, uno dei principali ostacoli alla fattibilità di un autentico consiglio rappresentativo dei musulmani di Francia risiede proprio nella sua mancanza di rappresentatività. Quale autorità può avere un Conseil français du culte musulman o un progetto di Comité national des Imams se nessuno di essi gode di una legittimità riconosciuta dalla maggioranza dei credenti musulmani francesi?
Mentre Papa Leone XIV ha evocato, in un’intervista concessa alla giornalista statunitense Elise Ann Allen e pubblicata la scorsa estate [QUI; QUI su MiL: N.d.T.], la possibilità di ricorrere alla sinodalità come tentativo di soluzione al problema, al tempo stesso spinoso e doloroso, delle restrizioni imposte alla liturgia tradizionale, da allora le speculazioni vanno a gonfie vele per abbozzare prospettive concrete di pacificazione liturgica. Le nuove norme stabilite nel 2021 dalla lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes sull’uso dei libri liturgici anteriori al Concilio Vaticano II, non è un segreto per nessuno a Roma e nel mondo cattolico, lungi dal pacificare i cuori, hanno solo seminato confusione in un gran numero di battezzati. Le decisioni contenute in questo testo, inutilmente vessatorie e oggettivamente problematiche dal punto di vista della più elementare carità, hanno posto i responsabili ecclesiastici in una situazione scomoda e talvolta spiacevole.
Per i Vescovi, come non applicare la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes senza sembrare disobbedienti a Roma? Come applicare Traditionis custodes senza dover perseguitare stupidamente i fedeli che chiedono solo di vivere la loro fede nella liturgia antica? Alcuni Vescovi ricordano, in coscienza, ciò che Papa Benedetto XVI aveva detto a proposito del rito tradizionale: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso», hanno capito molto bene che la spiegazione di questo cambiamento di rotta era piuttosto simile alla quadratura del cerchio [QUI: N.d.T.].
Per i Superiori delle comunità ancora denominate Ecclesia Dei, è facile comprendere il dolore di vedersi nuovamente colpiti dal sospetto di non essere cattolici, quando invece le loro energie erano offerte al servizio della Chiesa. Come criticare questo testo senza gettare benzina sul fuoco? Come rassicurare i fedeli e preservare la loro comunione? Come, più pragmaticamente, sopravvivere tout court quando molti Vescovi si mostrano fin troppo felici di applicare la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes con uno zelo che non avevano mostrato nell’applicazione della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Summorum Pontificum sull’uso straordinario della forma antica del Rito Romano di Papa Benedetto XVI?
Tuttavia, in materia di situazioni scomode e talvolta spiacevoli, permetteteci di scrivere qui: i grandi dimenticati sono proprio i fedeli stessi. Dall’inizio della riforma liturgica e dei gravi sconvolgimenti ad essa legati, i fedeli sono immersi in un abisso di incomprensione. Qui si permette l’indifendibile, mentre là si impedisce il convenabile. Qui, un Vescovo afferma di applicare semplicemente le nuove norme (per impedire a se stesso di agire con quell’autentica e nobile libertà interiore che a volte fa alzare la voce e dire «No!»), là un sacerdote Ecclesia Dei cerca di sopravvivere preservando la fragile struttura dell’apostolato che serve. A quale prezzo? Il più delle volte, agendo con cautela, per paura di vedere il proprio ministero vietato, per ordine espresso del Vescovado, per eccesso di iniziative o eccessiva ortodossia… In entrambi i casi, tuttavia, sono le famiglie a trovarsi in ostaggio. Per dirla meglio, diventano, a loro spese, vittime di una brutta beffa fatta di rapporti di forza squilibrati e di un sensus fidei deviato.
Quindi, quale non fu la sorpresa per molti fedeli affezionati al rito tradizionale nello scoprire, secondo le ultime voci, che una delegazione di padri abati sarebbe stata in fase di formazione su iniziativa di Nicolas Diat, editore del card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, al fine di rappresentare l’universo tradizionale presso Papa Leone XIV. L’Abbaye Notre-Dame di Fontgombault, l’Abbaye Notre-Dame di Triors, l’Abbaye Sainte-Marie di Lagrasse circonderebbero così il card. Sarah per rappresentare i fedeli legati alla forma tradizionale nelle più alte sfere? Se ognuno è completamente libero di esprimere ciò che pensa e di proporre eventualmente soluzioni al problema liturgico così come lo vede, ci si stupisce, nel caso specifico che ci riguarda, del procedimento utilizzato. Infatti, se esiste un modo di governare del tutto estraneo alle realtà del mondo attuale, è proprio la vita religiosa. Se esistono anche delle isole privilegiate che non hanno vissuto, dopo la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes, le vessazioni liturgiche che conosciamo, sono proprio queste abbazie. Tanto più che questi universi regolari, per la loro storia e per l’attuale personalità dei loro padri abati, si mostrano più inclini a celebrare nei due riti che a prendere in considerazione le lamentele dei fedeli «fuori dalle mura», privati dei Sacramenti e invitati a fare ammenda per la loro preferenza liturgica… Abbiamo visto dom Jean Pateau O.S.B., Abate di Notre-Dame di Fontgombault, prendere pubblicamente posizione contro l’organizzazione di Sante Messe tradizionali private durante il Pèlerinage de Pentecôte (da Parigi a Chartres), mentre le sue dichiarazioni sono notoriamente più timide quando si tratta di deplorare l’abbandono liturgico della Santa Messa tradizionale in molte Diocesi francesi.
Fin dall’inizio del lavoro dell’associazione Oremus-Paix Liturgique, abbiamo ripetuto incessantemente che non si può comprendere il tradizionalismo senza considerare che esso è, all’origine e ancora oggi, la storia di una ferita e di un’ingiustizia. I fedeli affezionati alla liturgia tradizionale, va detto, sono stati aspramente derisi, esclusi, ridicolizzati, caricaturizzati e infine rinchiusi in una riserva indiana, mezzo con cui i Vescovi di Francia e di altri Paesi pensavano di risolvere il problema della sopravvivenza del rito tradizionale. Oggi, che ne sarà del lodevole desiderio di Papa Leone XIV di uscire vincitore da questa dolorosa vicenda, nella e per la Chiesa? Siamo molto chiari: per uscire dalla crisi è necessario prendere in considerazione questa realtà come base di dialogo. Se le parti coinvolte in questo dialogo sinodale, sia dal lato dell’istituzione ecclesiale che dal lato di questi padri abati, ritengono preferibile mettere un velo pudico su questa ferita e su questa ingiustizia originaria, allora l’inizio di una via d’uscita dalla crisi rimarrà allo stadio di pio desiderio, come da quasi cinquant’anni. Ora, sappiamo bene che i pii desideri hanno il difetto di essere sempre inutili e di far perdere tempo.
Del resto, la questione della riforma liturgica è strettamente legata a quella di un clericalismo particolarmente detestabile. Nella Chiesa di Francia, ad esempio, esiste un luogo di incontro tra due Vescovi che rappresentano la Conférence des évêques de France e i Superiori delle comunità sacerdotali tradizionali. Purtroppo non esiste alcun equivalente di un’istanza di dialogo ufficiale con i laici impegnati nella difesa della liturgia tradizionale. Forse perché questi fedeli sono meno soggetti alla paura o alle pressioni delle autorità ecclesiastiche? L’importanza del ruolo dei laici, pur valorizzata nei discorsi ecclesiali contemporanei, è ridotta a zero per quanto riguarda i fedeli legati alla Santa Messa tradizionale. Il loro ruolo è limitato al famoso «Pray, Pay and Obey» (prega, paga e obbedisci). Un errore di prospettiva fatale! La combattività dei laici si basa sull’assoluta necessità di trasmettere la fede ai propri figli.
Ecco perché, poiché amiamo la Chiesa (e ovviamente non abbiamo la pretesa di essere gli unici!), aspiriamo a una vera discussione tra le autorità romane e i rappresentanti che incarnano veramente l’ecosistema tradizionale: cioè i fedeli impegnati al servizio della trasmissione della Tradizione e dell’insegnamento costante della Chiesa. Siamo pronti a perdonare gli abusi di potere e le malvagità di cui la nostra famiglia spirituale ha potuto essere oggetto. In verità, alla scuola dello scrittore Charles Péguy, «non abbiamo gusto per il mestiere delle armi» e affidiamo a Nostra Signora le nostre aspirazioni «di grande pace e disarmo». Ma è ancora necessario che noi fedeli possiamo testimoniare con una santa parresia, lodata dallo stesso papa Francesco, la concretezza della nostra vita cristiana di Cattolici legati alla pedagogia tradizionale della fede. Questi laici impegnati, rappresentanti della grande schiera dei silenziosi legati alla Santa Messa tradizionale, potranno, senza alcuna difficoltà e con grande rispetto, evocare i Battesimi proibiti ai loro figli quando cercano di fondare famiglie cristiane, parlare delle chiese di cui questo o quell’ecclesiastico rifiuta di aprire le porte per il loro Matrimonio, mentre sono aperte ai protestanti o a concerti con melodie dubbie e testi irriverenti, raccontare l’avventura delle scuole che hanno creato per trasmettere la fede ai loro discendenti, dei sacrifici che ciò comporta e che non impediscono loro di vedere l’arroganza episcopale abbattersi su di loro, quando non si tratta di malafede spudorata. Sì, meglio dei padri abati, questi fedeli sul campo che hanno i piedi nel fango del mondo potranno testimoniare in modo positivo l’ammirevole influenza della liturgia tradizionale sulle loro anime, su quelle dei loro amici e dei convertiti che vedono sempre più numerosi e più giovani. Questi rappresentanti laici dell’universo tradizionale, che organizzano pellegrinaggi, fondano scuole, creano gruppi scout, patronati, organizzano serate di formazione, propongono conferenze spirituali, coordinano sessioni di canto gregoriano, si riuniscono per attività di volontariato, riempiono le veglie di adorazione, sì, questi fedeli impegnati potranno mostrare alla gerarchia romana, con una documentazione fattuale, la portata delle contraddizioni che incontrano nelle loro Diocesi per il solo motivo di preferire l’ecosistema tradizionale con il suo nutrimento spirituale esigente, trascendente e coerente.
Con Papa Leone XIV c’è uno straordinario motivo per sperare nella ripresa del dialogo. Che gli uni o gli altri desiderino o possano esprimersi è una cosa. Che alcuni pensino di rappresentare il tutto è correre il rischio di una delegazione nascosta, ma anche – con tutto il nostro rispetto – scollegata. Ci sta a cuore non perdere tempo, tempo così prezioso per la pace liturgica. Per uscire dai preconcetti e dal linguaggio burocratico, non si potrà sfuggire a uno scambio basato sulla realtà e sulla quotidianità dei fedeli, con la libertà di parola che è loro propria. Perché? Perché questo scambio del Papa con i fedeli, del Sommo Pontefice con i piccoli della Chiesa, sarà la più bella testimonianza di un padre che accetta di ascoltare la sofferenza dei suoi figli per trovare meglio il rimedio.
