C’è un filo sottile, ma tenace, che unisce gli ammonimenti degli antichi alla denuncia dei moderni: la consapevolezza che il viaggiare, quando diventa moda, consumo, bulimia di luoghi e di esperienze, non eleva l’uomo, ma lo svuota. Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt – “Non mutano il loro animo, ma solo il cielo [sopra la loro testa] coloro che attraversano il mare”. Con questa frase, Orazio ci ricorda che nessuno può scappare da sé stesso: la serenità non è in un biglietto per mete lontane, ma in un lavoro silenzioso dentro di noi, nel saper abitare il proprio tempo e il proprio spazio. Una riflessione “Contro la moda dei viaggi” (correlato, ricordiamo anche il nostro precedente post "I poveri sono dissoluti? Cosa possiamo dire sul significato spirituale del tempo libero?") di Mario Vittorio Di Fidio, che mettiamo in evidenza dal numero di agosto de Il Covile. Testo che, rileggendo autori come Brambilla, Petrarca, Pindemonte, Alfieri e Buzzati, smonta con lucidità i miti del viaggio come strumento di progresso e appagamento. Da qui la nostra riflessione per richiamare coordinate che restano decisive: dignità della persona, uso ordinato del tempo, formazione integrale capace di unire sapere e responsabilità, e un legame vivo con quei valori del cristianesimo che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno difeso e rilanciato con lucidità: verità, bellezza, comunità, tradizione. Senza questi riferimenti, il viaggio si riduce a consumo, e il mondo a scenario da sfruttare.
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Arturo Brambilla, nel suo celebre articolo del 1947 sulle idee degli antichi riguardo i viaggi, ci ricorda come per Orazio, Virgilio e Seneca chi attraversasse il mare non mutava l’animo, ma solo il clima: “Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt”. Non era l’avventura a muovere Ulisse, ma la nostalgia di Itaca, il desiderio di pace, di ritorno, di radicamento. Gli antichi sapevano che il mondo non si conquista: lo si abita. Lo si coltiva. Lo si custodisce. Lo si contempla con reverenza. Lo si rispetta.
Dall’Illuminismo alla vacanza di massa: l’inizio della fuga
Fu con l’Illuminismo e il Grand Tour delle aristocrazie europee che il viaggio si trasformò da necessità in status symbol. I giovani rampolli di Francia, Inghilterra e Germania attraversavano l’Italia per educarsi all’arte e alle lettere, ma spesso – come ammette ironicamente Vittorio Alfieri nella sua autobiografia – più interessati a mondanità e leggerezze che alla sapienza dei luoghi visitati.
Con la modernità, la velocità e infine la globalizzazione, quella che doveva essere esperienza di conoscenza è degenerata in turismo di massa: prima i viaggi organizzati, poi le crociere, ora l’orgia visiva dei social network. Dino Buzzati, profetico nel 1948, denunciava come “la terra, resa troppo piccola dalla tecnica, perderà il mistero e il fascino della distanza, riducendo il viaggio a una misera fuga da sé stessi”.
Il turismo come anestetico della coscienza
Oggi, quella fuga è sotto gli occhi di tutti. Il turista medio non cerca conoscenza, ma distrazione; non il silenzio dei chiostri, ma la baldoria dei resort; non la sapienza millenaria di un Duomo, ma un palcoscenico per selfie e reel da ostentare.
Le folle profanano i luoghi sacri con abbigliamenti irriverenti, rumori sguaiati, commenti ignoranti, come se il mondo intero fosse ridotto a parco tematico, sfondo esotico per la loro irrilevanza. La cultura prêt-à-porter delle guide mordi-e-fuggi e dei titoli TikTok ha sostituito la meditazione lenta, lo studio, la lettura dei segni del tempo.
Come osservava Ippolito Pindemonte nel suo poemetto I viaggi (1793), molti giovani dell’epoca, rientrando in patria, non portavano con sé vera sapienza, ma solo noia e disprezzo per le proprie radici, in una condizione di “sradicamento cosmopolita” che anticipa la superficialità postmoderna.
Consumo del mondo e perdita del sacro
C’è, in tutto questo, un tratto di empietà antica: come Serse che osò tagliare l’istmo di Athos e fu punito dagli dèi, l’uomo moderno violenta la natura con i suoi voli low-cost, le crociere cataboliche, gli instagrammer che trasformano luoghi millenari in set pubblicitari.
La montagna, per Buzzati, perde il suo silenzio sacro quando viene scalata da chiunque; il mare, per Orazio, era stato posto dagli dèi a separare le terre, non a unirle in una fiera di turisti sudati e rumorosi. La modernità ha scambiato la libertà di muoversi con il diritto di profanare.
La vera crescita: costruire invece di fuggire
Viaggiare può essere occasione di crescita, ma solo se vissuto con responsabilità e profondità. Il resto è fuga dal proprio mondo, dalle proprie responsabilità, dalla fatica di costruire. Oggi vediamo eserciti di nomadi digitali che scambiano il wifi di un bar di Bali con la libertà interiore, come se bastasse cambiare scenario per trasformare sé stessi. Ma come ammoniva Seneca, “in ogni luogo siamo schiavi delle nostre passioni, se non impariamo a dominarle”.
Invece di cercare paradisi artificiali, l’uomo moderno dovrebbe imparare ad abitare il proprio hic et nunc: coltivare la mente, il cuore, il dovere verso la comunità, la famiglia, la terra in cui vive.
Un invito a ripensare viaggi e vacanze
Ecco allora come leggere il fenomeno del turismo contemporaneo alla luce di principi che restano irrinunciabili: la dignità della persona umana, la cultura dell’incontro radicata nella verità, il valore del tempo come dono e responsabilità, la formazione integrale dell’uomo capace di coniugare sapere, etica e spiritualità, e la fedeltà ai valori autentici dell’Occidente – dalla centralità della famiglia alla custodia intelligente della tradizione.
Sono coordinate che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno indicato con chiarezza, richiamando il dovere di abitare il tempo con consapevolezza e di guardare al viaggio come esperienza formativa, non come consumo compulsivo di luoghi, culture e identità.
Non si tratta di condannare il viaggio, ma il suo svuotamento etico ed estetico. Tornare a viaggiare per conoscere, per meditare, per servire. Non per collezionare istanti e immagini, ma per comprendere il significato dei luoghi; non per evadere dalla realtà, ma per radicarsi più a fondo in essa; non per inseguire il rumore, ma per riscoprire il silenzio.
Il viaggio autentico non è evasione. È elevazione.
Opere e autori citati:
Agostino d’Ippona. Confessiones. Libro X, cap. 8. Testo latino e traduzioni varie.
Alfieri, Vittorio. Vita scritta da esso. Opera postuma. Firenze: 1806.
Boccaccio, Giovanni. Decameron. Ibidem, Ninfale fiesolano. Ibidem, Elegia di madonna Fiammetta. Ibidem, Rime. Edizioni varie.
Brambilla, Arturo. “Le idee degli antichi sui viaggi e la navigazione.” In Le vie d’Italia, a. LIII, n. 6 (giugno 1947), 516 ss.
Buzzati, Dino. “Grandezza e miseria dei viaggi.” In Le vie d’Italia, a. LIV, n. 1 (gennaio 1948), 43–48.
Esiodo. Le opere e i giorni. Testo greco e traduzioni varie.
Lucrezio. De rerum natura. Libro V. Testo latino e traduzioni varie.
Orazio (Quinto Orazio Flacco). Odi, I, 3; Epistole, I, 11.
Petrarca, Francesco. Lettera sulla salita al Monte Ventoso (26 aprile 1336), in Familiares IV, 1.
Pindemonte, Ippolito. I viaggi. Poemetto. Venezia: Palese, 1793.
Ibidem, “Le opinioni politiche.” In Sermoni. Verona: 1819.
Seneca (Lucio Anneo). De tranquillitate animi. Ibidem, Epistulae morales ad Lucilium, in particolare la Lettera a Bullazio (Ep. 28, 1).
Virgilio (Publio Virgilio Marone). Bucoliche, IV Ecloga.
Magistero
Giovanni Paolo II. Messaggi per la Giornata Mondiale del Turismo (1982–2004). In: Acta Apostolicae Sedis; raccolta disponibile su vatican.va.
Benedetto XVI. Messaggio al VII Congresso Mondiale della Pastorale del Turismo (Cancún, 23–27 aprile 2012). Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2012. Disponibile su vatican.va.
Roberto Manzi – Author | PhD, Communication Sciences | Lic. Theology

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