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sabato 29 marzo 2025

Canti N.O.M. " 'Le mani alzate' e Teilhard de Chardin" - #musicasacra

Grazie al Maestro Aurelio Porfiri per questa analisi, anche dottrinale, su uno dei tanti orridi canti "Novus Ordo" che imperversano nelle nostre chiese.
Luigi C.

5-3-25

Uno dei canti più popolari nelle nostre parrocchie nell’ultimo cinquantennio è Le mani alzate. Questo canto “d’offertorio” è diffuso in tutta la nostra penisola, ma a me ha sempre fatto fare alcune riflessioni che vorrei proporre. Innanzitutto bisogna ben riflettere sul fatto che questo canto ha veramente una grande diffusione ancora oggi, e viene usato indiscriminatamente in ogni momento dell’anno liturgico.
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Allora, cerchiamo di capire cosa è l’offertorio nel Novus Ordo (perché ci sono differenze importanti con quello del Vetus Ordo). Nell’Ordinamento Generale del Messale Romano si dice:

“All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice, se non viene preparato alla credenza. Poi si portano le offerte: è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, li riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull’altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale. Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica. Il canto all’offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto d’ingresso. È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la processione con i doni. Il sacerdote depone il pane e il vino sull’altare pronunciando le formule prescritte; egli può incensare i doni posti sull’altare, quindi la croce e lo stesso altare, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni e dell’altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro. Quindi il sacerdote si lava le mani a lato dell’altare; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e ci si prepara alla Preghiera eucaristica. Nella Messa si dice un’unica orazione sulle offerte, che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli.Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen”.

Ora, mi sembra di aver capito che lo scopo dell’offertorio nel NO è quello di preparare il pane e il vino che diverranno il corpo e il sangue di Cristo. Quindi il canto dovrebbe riferirsi a questo, non a generiche offerte. In questo testo pane e vino non sono affatto menzionati. Forse viene usato nell’offertorio per la presenza della parola “offrirti” nel ritornello, ma a mio avviso questo è un legame molto tenue e non lo rende certo un canto ideale per questo segmento rituale.

Nel VO le antifone di offertorio, avendo questo momento un significato teologico diverso, anticipatorio, si riferivano alle meraviglie compiute da Dio nella storia della salvezza e alla nostra intima gratitudine per la sua munificenza. Nel NO ci si concentra sulla preparazione del pane e del vino. Ci sono alcuni canti sempre di decenni addietro, come A Te, nostro Padre o A Te Signor leviamo i cuori che fanno riferimento a questa dimensione fondamentale dell’offertorio.

Diamo un occhiata al testo del canto oggetto di questo articolo:

Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo.

Guardaci Tu, Signore, siamo Tuoi
piccoli siam davanti a Te.
Come ruscelli siamo d'acqua limpida
semplici e puri innanzi a Te.

Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo.

Guardaci Tu, Signore, siamo Tuoi
nulla noi siamo senza Te.
Fragili in Te, Signor, della tua gioia,
daremo gioia al mondo inter.

Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo.

Riempici Tu, Signore, siamo Tuoi
donaci Tu, il Consolator.
Vivremo in Te, Signor della tua gioia,
daremo gioia al mondo inter.

Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo.

Usaci Tu, Signore, siamo Tuoi
nulla possiamo senza Te.
Nel nome Tuo potremo far prodigi
nulla potremo senza Te.

Le mani alzate verso Te, Signor
per offrirti il mondo.
Le mani alzate verso Te, Signor
gioia in me nel profondo.

Questo brano deriva da un canto francese, Les mains ouvertes di Odette Vercruysse (1925-2000), una cantautrice che ha conosciuto una certa popolarità nel campo dei canti di ispirazione cristiana. Una versione molto singolare è quella jazzistica dello stesso canto, ad opera di John Littleton.

Ecco come suona il ritornello nella versione originale: “Les mains ouvertes devant toi, Seigneur, Pour t'offrir le monde, Les mains ouvertes devant toi Seigneur, Notre joie est profonde”. Si parla di “mani aperte” e non alzate davanti a Dio (non verso) e di una “gioia profonda”, non nel mio profondo. In effetti, siamo più abituati dire le braccia alzate e le mani tese, piuttosto che le mani alzate. Comunque questa dicitura ha certamente una risonanza biblica, pensiamo a 1Timoteo (2,8) in cui san Paolo dice: “Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino alzando mani pure, senza ira e dispute”. Quindi, sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, il gesto delle mani alzate è un gesto di benedizione e di lode.

Ora, vediamo che nella versione italiana di Valentino Meloni, le strofe presentano sentimenti religiosi anche nobili per un certo verso ed espressi con un certo afflato poetico, ma non troviamo in essi e tantomeno nel ritornello, menzione del pane e del vino, che come abbiamo visto sono centrali nell’idea d’offertorio. In alcune di esse ci sono concetti che funzionano bene poeticamente, ma sembra un po’ meno liturgicamente. Ad esempio, cosa significa dire “Fragili in Te, Signor, della tua gioia, daremo gioia al mondo inter”. La gioia è pienezza, non fragilità. Ripeto, come concetto poetico può anche funzionare, ma la poesia liturgica non è la poesia tout court.

Non solo, ma il ritornello fa ancora più problemi. Cosa significa che offriamo il mondo? San Paolo nella sua lettera ai Romani (12, 1) dice: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale”. Si parla dell’offerta di noi stessi.

Mi è venuta in mente una frase di Teilhard de Chardin: “Ognuno di noi ha come compito la divinizzazione dell’intero universo” (L’Ambiente Divino). Adalberto Mainardi così commenta in un articolo chiamato Trasfigurazione e rivelazione divina nel cristianesimo d'Oriente (teilhard.it):

“Nell’opera del gesuita francese abbondano, infatti, i riferimenti alla divinizzazione dell’uomo e dell’Universo, alla trasfigurazione dell’umanità e del cosmo nel mistero ultimo del Cristo evolutore, che attrae a sé e ricapitola l’intera creazione. Tutto L’ambiente divino (1927) è organizzato sulla filigrana di un costante riferimento alla Trasfigurazione del Signore: “Il grande mistero del Cristianesimo non è esattamente l’Apparizione, ma la Trasparenza di Dio in seno all’Universo. Sì, o Signore, non solo il raggio che sfiora ma il raggio che penetra. Non la tua Epifania, o Gesù, ma la tua Diafanìa … L’ambiente divino è un’atmosfera sempre più luminosa e sempre più carica di Dio”. L’idea di una progressiva trasfigurazione del cosmo, in cui opera l’energia divina, sviluppa un’intuizione già presente ne L’Ambiente mistico del 1917: “Lo Spirito sta nascendo, quale base creata dell’Ambiente mistico: sostanza cosmica nella quale deve condensarsi definitivamente il Divino in mezzo a noi. Dio sta inserendosi nel mondo, spiritualizzandolo…”. Sono temi particolarmente cari alla tradizione cristiana d’Oriente, che si è sforzata di rispondere alla domanda: com’è possibile l’esperienza di Dio“.

Si comprende perché il padre gesuita fu accusato di panteismo?

In una intervista inedita, pubblicata nel 2012 su Avvenire di Marcel Brion al padre gesuita viene da lui detto:

“Anzitutto, sono stato considerato un ottimista o un utopista beat, che sogna di euforia umana o di millenarismo confortevole. Come se la maturazione umana che i fatti hanno l’aria di annunciare non si presentasse, nelle mie prospettive, non come un riposo, ma addirittura come una crisi di tensione, pagata da un’immensa scia di disordini e sofferenze: crisi tutta carica di rischi e dunque ancora più drammatica, a causa dell’enormità dell’interesse in gioco (il successo di un universo, nientemeno!), di tutte le fantasie egoiste e morbose dell’esistenzialismo contemporaneo. Fatto ancora più grave, si va ripetendo che sarei il profeta di un universo distruttore dei valori individuali: perché ai miei occhi il mondo si dirige, sperimentalmente, verso uno stato sintetico. Ma in realtà la mia grande preoccupazione è sempre stata quella di affermare, in nome dei fatti, che l’autentica unione non confonde ma differenzia; e anche che, nel caso di esseri pensanti e amanti (quali l’uomo), lungi dal meccanizzare personalizza, e doppiamente: prima intellettualmente, per super-riflessione, e poi affettivamente, per unanimizzazione. Così, nonostante il primato che io accordo tecnicamente al tutto in rapporto all’elemento, mi trovo, così come la struttura stessa del mio pensiero scientifico, agli antipodi sia di un totalitarismo sociale che porta al termitaio, sia di un panteismo induizzante che cerca la via d’uscita e la figura ultima dello spirituale nella direzione di un’identificazione degli esseri con un fondo comune sottostante alla varietà degli eventi e delle cose”.

Eppure, malgrado la difesa del padre gesuita, l’accusa di panteismo mi sembra perseguitarlo. Lui, che parlava di “Messa sul mondo”, potrebbe essere una ispirazione segreta del canto di cui stiamo parlando.

Poi quel richiamo alla gioia nel profondo (e non alla gioia profonda) mi fa pensare, anche se è vero che il richiamo al “profondo” è presente nella Bibbia ma soprattutto in connessione con le profondità dell’essere da cui invochiamo il Signore. Qui mi sembra che la nostra “offerta del mondo” in senso panteistico vada quasi ad incontrarsi con quella psicologia del profondo di cui molto ci sarebbe da dire. Questo poi, non fa che richiamare quella strofa in cui si descriveva la fragilità della gioia in Dio, che invece dovrebbe essere gioia piena e completa, il che fa sembrare il canto affetto da un certo “psicologismo”.

Insomma, un canto su cui si farebbe bene a dubitare.

3 commenti:

  1. in quarant'anni, l'avrò suonato 2-3 volte, per fortuna nelle nostre parrocchie è poco usato... però lo spartito che ho io (Nella casa del Padre) il testo delle strofe è diverso...

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  2. Nell'Offertorio si offre noi stessi, le nostre intenzioni, e ci uniamo all'offerta di Gesù. Ecco spiegato il senso, senza stare a spaccare il capello in quattro.

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