Riceviamo e pubblichiamo.
"Chi vede positivamente la sinodalità come strumento di rinnovamento deve considerare che un rinnovamento strutturale e spirituale della Chiesa non può ignorare le radici storiche e teologiche che garantiscono la sua stabilità. Se questo nuovo modo di intendere la sinodalità sarà portato avanti, la Chiesa potrebbe perdere la sua identità, finendo per essere non più sale e luce del mondo, ma un suo semplice, e anche piuttosto penoso, seguace".
Luigi C.
11-11-24, The Remnant\Il Blog Di Gaetano Masciullo
Il 26 ottobre 2024, è stato reso pubblico il Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 2 al 27 ottobre 2024, avente come titolo: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. Secondo quanto dichiarato da Papa Francesco, non vi sarà alcuna esortazione apostolica post-sinodale. «Alla luce di quanto emerso nel cammino sinodale, ci sono e ci saranno decisioni da prendere – ha detto il Pontefice – Non intendo pubblicare un’esortazione apostolica, basta il documento approvato. Nel documento ci sono già indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle Chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti. Per questo lo metto subito a disposizione di tutti, per questo ho detto che sia pubblicato. Voglio, così, riconoscere il valore del cammino sinodale compiuto, che tramite questo Documento io consegno al santo popolo fedele di Dio».
A quest’ultima fase del cosiddetto Sinodo sulla sinodalità hanno partecipato 368 padri e madri (sic!) sinodali, di cui 272 vescovi e 96 non vescovi, riunitisi nelle tavole rotonde allestite in Aula Paolo VI (un po’ cringe, a dire il vero…). Secondo quanto lasciato intendere dal Papa e dalla Sala Stampa Vaticana, il Documento Finale avrebbe valore di magistero autentico. Ricordiamo, con Codice di diritto canonico alla mano, che il magistero autentico non comporta l’infallibilità, ma l’autorevole richiesta a intelletto e volontà dei credenti di “sottomettersi”, lasciando così libero in certa misura il rispettoso dialogo e il dibattito sul tema. Ovviamente, la dottrina cattolica insegna anche che la disobbedienza a determinati atti è non solo possibile, ma doverosa, laddove questi lascino spazio ad ambiguità oppure cedano il passo a pericolose interpretazioni inconciliabili con il perenne deposito di fede.
Vediamo dunque quali sono i principali punti critici sollevati da questo Documento finale.
La nota della “sinodalità” contro la nota dell’unità
Com’è stato giustamente messo in luce da Julio Loredo, Presidente dell’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà Italia, i conservatori hanno avuto – forse inaspettatamente – un certo peso e le aspettative dei più progressisti, soprattutto circa il diaconato femminile e la morale sessuale, sono state deluse. Tuttavia, le parole del Papa suonano come una minaccia: «Ci sono e ci saranno decisioni da prendere». In effetti, il punto centrale del Documento è quello riguardante la “decentralizzazione” dell’Autorità, una tappa fondamentale per il cammino della rivoluzione all’interno della Chiesa.
In un altro contesto, il Papa ha affermato che, per il diaconato femminile, «i tempi non sono maturi». Si badi bene: a differenza di Paolo VI e Giovanni Paolo II, per citare due papi storicamente prossimi, Francesco non ha bocciato in toto la possibilità del diaconato femminile, ma semplicemente ha rimandato il problema al prossimo futuro. Non è la stessa cosa dire: “Il diaconato femminile è impossibile, fuori discussione” e “I tempi non sono maturi”. La logica conseguenza è che bisogna prima far maturare i “tempi” e poi si potrà introdurre l’accesso delle donne al primo grado dell’Ordine sacro. Semplice, no?
Vediamo allora in che cosa consista questo svilimento dell’autorità dottrinale all’interno del Documento finale del Sinodo sulla sinodalità. Come ribadito già altrove, una delle tattiche più adoperate dai rivoluzionari dentro e fuori la Chiesa per confondere e traviare le anime buone è quella di adottare parole tradizionali per svuotarle del significato classico e riempirle di significati nuovi. Leggiamo infatti nel documento: “I termini sinodalità e sinodale derivano dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo. Nelle tradizioni delle Chiese d’Oriente e d’Occidente la parola “sinodo” si riferisce a istituzioni ed eventi che nel tempo hanno assunto forme diverse, coinvolgendo una pluralità di soggetti. Nella loro varietà tutte queste forme sono accomunate dal radunarsi insieme per dialogare, discernere e decidere. Grazie all’esperienza degli ultimi anni, il significato di questi termini è stato maggiormente compreso e più ancora vissuto. […] La sinodalità è il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta l’umanità. […] La sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa. In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria”.
In queste prime righe, è bene indicata tutta l’intenzione rivoluzionaria di questo Sinodo sulla sinodalità. Al contrario di quanto è stato scritto, il concetto di sinodo non è mutato nel corso degli ultimi millenni, ma ha sempre indicato la riunione del corpo episcopale sotto l’autorità di san Pietro, cioé del Papa, per difendere e definire le verità riguardanti fede e morale. È soltanto con l’infiltrazione del pensiero modernista e neo-modernista, avvenuta negli ultimi cento anni circa, che questa parola ha iniziato a subire la trasformazione interna. Quando si parla di “sinodo”, oggi si intende fare riferimento a un meccanismo e a un regime di natura democratica.
Attenzione: “La sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa”. Come molti commentatori hanno già fatto notare negli ultimi mesi e anni, sembra che alle classiche note della Chiesa – unità, santità, cattolicità (universalità) e apostolicità – sia stata aggiunta quella della “sinodalità”, cioé della democraticità. La Chiesa non è mai stata, e non potrà mai essere però democratica, se non vuole perdere la propria identità e il proprio scopo nel mondo. Leggiamo ancora: “Si può dire che la sinodalità è un cammino di riforma strutturale”. Le parole non sono casuali, e neanche tanto criptiche. C’è qualcuno nella Chiesa che preme per una vera e propria rivoluzione, un cambiamento drastico della struttura stessa della Chiesa, così com’è stata finora concepita.
Lo svilimento dell’Autorità petrina
In questo modo, però, la sinodalità – se portata davvero a compimento – avrà degli effetti nefasti. In primo luogo, la nota dell’unità sarà ulteriormente e gravemente messa in crisi. L’unità della Chiesa si fonda sulla sua struttura gerarchica, che va dai sacerdoti ai vescovi al papa, in virtù dell’autorità conferita da Cristo agli apostoli e, in particolare, a Pietro e ai suoi successori. La Chiesa ha una struttura triangolare, potremmo dire, da una base larga a un vertice. Allo stesso tempo, la Chiesa ha un regime sussidiario: il Papa, in quanto regola vivente di fede e garante di unità, custodisce la dottrina e la morale; e interviene solo su quelle cause che coinvolgono tutte le chiese del mondo; mentre per tutti gli altri problemi che possono essere risolti a livelli più bassi, non interviene. Questo, in estrema sintesi, il modo tradizionale di governare la Chiesa cattolica.
Una riforma democratica, che sostituisse questa gerarchia con decisioni basate su maggioranze o votazioni popolari, creerebbe divisioni interne, frammentando la Chiesa in gruppi con visioni e interessi diversi. Un problema che, in realtà, riscontriamo già oggi: ogni parroco sembra essere papa nella propria parrocchia. Ciò minerebbe l’unità voluta da Cristo, in cui i fedeli sono uniti sotto un’unica guida e dottrina, e porterebbe la Chiesa a conformarsi alle opinioni mutevoli della società anziché alla verità immutabile.
Papa Francesco, certamente ispirato da modelli politici moderni tipicamente europei e sudamericani, da sempre sembra orientato a guidare la Chiesa con un approccio democratico, apparentemente aperto al dibattito e alla consultazione (come si vede nei sinodi e nelle sue dichiarazioni che incoraggiano una maggiore partecipazione dei fedeli e una Chiesa sinodale). Questo stile di governo ha però creato, in questi ultimi anni, un paradosso: da un lato, una maggiore apertura alla discussione ha portato alla confusione dottrinale e alla frammentazione, con interpretazioni diverse su temi chiave della fede e persino su chi detenga oggi la suprema autorità; dall’altro, invece di favorire l’autonomia governativa (si badi bene: non dottrinale) delle Chiese locali, Francesco ha creato e conservato una forte centralizzazione, intervenendo su questioni locali e disciplinari e accentuando il controllo da parte del Vaticano. Questo dualismo – democratizzazione della dottrina e centralizzazione del governo – ha destabilizzato l’ordine cattolico e reso più difficile per i fedeli orientarsi.
La Chiesa: da nemica a cortigiana della storia
Il documento enfatizza ripetutamente l’immagine di una Chiesa che “accompagna” e “guarisce”, un concetto di per sé valido ma rischioso se non inserito nella visione più ampia della missione cristiana. Definire la Chiesa un “ospedale da campo” rischia di oscurare la sua essenza di arca di salvezza, riducendola a un’entità assistenziale e filantropica. Una Chiesa che si occupa solo di “accompagnamento” e “cura” potrebbe perdere la sua vocazione evangelizzatrice e dimenticare che il fine ultimo è la salvezza delle anime, non il semplice benessere terreno, finanche psicologico. Tale approccio, apparentemente volto ad accogliere le persone, rischia in realtà di abbandonarle, privandole della verità redentrice e affidandole solo a un aiuto temporaneo. Come diceva uno storico italiano assai poco noto, Andrea Emo, «la Chiesa è stata per molti secoli la protagonista della storia, poi ha assunto la parte non meno gloriosa di antagonista della storia. Oggi è soltanto la cortigiana della storia». Questa Dichiarazione appare come l’ufficializzazione della volontà, da parte delle personalità oggi poste ai vertici della Chiesa, di essere solo una cortigiana, un’accompagnatrice, una crocerossina della storia, mentre si lascia volentieri il ruolo di autorità – cioè origine, autore, causa di dottrina e morale – ad altri attori, cioé agli stati e alle istituzioni sovrastatali, come Onu e Unione Europea.
Consultazione sinodale: nuova e unica fonte della Rivelazione?
La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che le fonti della Rivelazione sono soltanto due, Sacra Scrittura e Tradizione apostolica (orale, e poi messa per iscritto soprattutto nelle opere dei Padri), interpretate esclusivamente dal Magistero del Papa e dei vescovi uniti a lui. Questo Documento, al contrario, lascia trasparire che le fonti della Rivelazione non devono più essere interpretate dal Magistero così inteso, ma dal Popolo di Dio. Molto indicativo vedere, durante il Sinodo, i gruppi di lavoro distribuiti su tavole rotonde, dove non c’è nessun capotavola: anche il Papa era seduto su uno di questi, dunque neanche il Papa è posto a capo. Sembra essere ridotto a qualcuno che ratifica ciò che il popolo, democraticamente, ha stabilito.
Leggiamo, infatti, nel Documento: “Grazie all’unzione dello Spirito Santo ricevuta nel Battesimo, tutti i credenti possiedono un istinto per la verità del Vangelo, chiamato sensus fidei. Esso consiste in una certa connaturalità con le realtà divine. […] Da questa partecipazione deriva l’attitudine a cogliere intuitivamente ciò che è conforme alla verità della Rivelazione nella comunione della Chiesa. Per questo la Chiesa ha la certezza che il Popolo santo di Dio non può sbagliarsi nel credere, quando la totalità dei Battezzati esprime il suo universale consenso in materia di fede e di morale.” Concetto di per sè corretto, e ripreso dalla Costituzione Lumen Gentium (p. 12) del Concilio Vaticano II, la quale però chiarisce anche che il Popolo di Dio deve rimanere “sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio”.
Il Documento, invece, pur specificando che “l’esercizio del sensus fidei non si confonde con l’opinione pubblica”, di fatto sembra ridurlo a essa, soprattutto quando si nota che non più di Magistero del Papa e dei vescovi si parla, ma di mero “discernimento dei Pastori ai diversi livelli della vita ecclesiale, come mostra l’articolazione delle fasi del processo sinodale”. La parola stessa “Magistero” compare solo tre volte, mai in maniera significativa.
Chi vede positivamente la sinodalità come strumento di rinnovamento deve considerare che un rinnovamento strutturale e spirituale della Chiesa non può ignorare le radici storiche e teologiche che garantiscono la sua stabilità. Se questo nuovo modo di intendere la sinodalità sarà portato avanti, la Chiesa potrebbe perdere la sua identità, finendo per essere non più sale e luce del mondo, ma un suo semplice, e anche piuttosto penoso, seguace. Spoiler: sappiamo che questo non avverrà mai.
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