Il prof. de Mattei su un problema oggi molto dibattuto.
Luigi C.
Roberto de Mattei, 18-9-24
La dichiarazione sulle diverse religioni, fatta da papa Francesco il 13 settembre a Singapore, è probabilmente destinata ad alimentare un certo sedevacantismo, che rifiuta di riconoscere l’autorità del regnante pontefice, a causa delle sue vere o presunte eresie.
Se il dissenso, o la resistenza, a molte esternazioni del Papa possono essere giustificati, non lo è però la superficialità con cui in alcuni ambienti si affronta il difficile e delicato problema della suprema autorità nella Chiesa.
In un libro di riferimento (Ipotesi Teologica di un Papa eretico, Edizioni Solfanelli, Chieti 2018), Arnaldo Xavier da Silveira (1929-2018) ha offerto un’esposizione sistematica della questione del Papa eretico. Sulla base di un’accurata ricerca, l’autore dimostra come la possibilità che un Papa possa cadere in eresia sia condivisa dalla maggior parte dei teologi. Non c’è invece consenso nello stabilire se un eventuale Papa eretico perde la sua carica e, in tal caso, quando e come ciò avvenga.
La sentenza più sicura, secondo da Silveira ed altri autori, sembra quella di san Roberto Bellarmino, secondo cui un Papa che cadesse in eresia pubblica e notoria, smetterebbe di essere membro della Chiesa e quindi cesserebbe, ipso facto, di essere capo della Chiesa.
Su questa base, alcuni sedevacantisti argomentano: a) Francesco ha dimostrato, con le sue parole e i suoi atti, di essere un eretico pubblico; b) Se Francesco è un eretico pubblico, allora non è più membro della Chiesa e, in questo caso, non può essere considerato il vero capo della Chiesa visibile istituita da Cristo; c) dunque Francesco non è il Papa, ma è semplicemente Jorge Mario Bergoglio, “inimicus Ecclesiae”.
Il problema è in realtà più complesso e va affrontato proprio alla luce dell’insegnamento di san Roberto Bellarmino e dei più sicuri teologi.
Nell’enciclica Mystici corporis del 29 giugno 1943, Pio XII spiega che il Corpo Mistico della Chiesa, a somiglianza del Verbo Incarnato, possiede una profonda vita spirituale, insieme con una struttura organica e sociale. Come il suo Fondatore, la Chiesa consta di un elemento umano, visibile ed esterno, dato dagli uomini che la compongono, e di un elemento divino, spirituale e invisibile, dato dai doni soprannaturali che pongono la società umana sotto l’influsso dello Spirito Santo, anima e principio unitivo di tutto l’organismo.
Per essere salvati è necessario appartenere, tramite la fede soprannaturale, all’anima della Chiesa, perché «senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb. 11, 6). La fede, tuttavia, è solo l’inizio della nostra esistenza divina: la vita piena, intensa, si chiama grazia santificante. Chi commette il peccato gravissimo di eresia, si separa dall’anima della Chiesa.
Per appartenere al corpo della Chiesa sono invece necessari tre elementi; la professione esteriore della fede cattolica, la partecipazione ai sacramenti della Chiesa e la sottomissione ai legittimi pastori. Gli eretici sono automaticamente separati anche dal corpo della Chiesa?
Nella stessa enciclica Mystici corporis, Pio XII afferma che «tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera fede, non si separarono da se stessi, disgraziatamente, dalla compagine di questo corpo, e non ne furono separati dalla legittima autorità per gravissime colpe commesse».
C’è qui una distinzione, implicita ma fondamentale, tra la separazione legale e quella spirituale degli eretici dal Corpo Mistico, che si richiama alla differenza tra l’anima e il corpo della Chiesa. Il Papa spiega che, mentre l’eresia, per sua natura, separa la persona spiritualmente dalla Chiesa, la separazione legale avviene solo quando la persona abbandona volontariamente la Chiesa o è separata da essa da una sentenza ecclesiastica.
Non bisogna confondere il peccato e il delitto di eresia. Il primo appartiene alla sfera morale, il secondo a quella giuridica. L’eresia, per sua natura costituisce un peccato e ci separa spiritualmente dalla Chiesa, predisponendoci anche a una separazione giuridica. Ma il vincolo spirituale è distinto da quello giuridico. John Salza e Robert Siscoe hanno approfondito questo punto in True or False Pope (Saint Thomas Aquinas Seminary, 2015, pp. 143-189). La separazione formale avviene quando l’autorità della Chiesa riconosce il delitto di eresia, condannando pubblicamente l’eretico. Ma chi ha l’autorità di pronunciare una sentenza contro il Papa, che non ha nessun superiore al di sopra di lui? E’ chiaro che un eventuale intervento della Chiesa, dei cardinali o del Concilio, sarebbe un’azione puramente dichiarativa che manifesta pubblicamente l’esistenza di un delitto di eresia. Il Vicario di Gesù Cristo, infatti, non è sottoposto ad alcuna giurisdizione umana: il suo giudice diretto e immediato può essere solo Dio stesso.
Il Papa può separarsi da sé stesso dalla Chiesa, ma solo in seguito ad un’eresia notoria, manifesta al popolo cattolico e professata con pertinacia. La perdita del pontificato, in questo caso, non sarà il risultato di una deposizione da parte di qualcuno, ma di un atto del papa stesso che diventando un eretico formale e notorio, si sarà escluso da solo dalla Chiesa visibile, dimettendosi tacitamente dal Pontificato.
Però un’eresia professata all’esterno può essere definita pubblica senza essere necessariamente notoria. Il celebre canonista Franciscus Xaverius Wernz, nel suo Jus Decretalium (tomus VI, 1913, pp. 19-23), fa un importante distinzione tra delitto pubblico e delitto notorio. Un delitto è publicum quando, pur essendo diffuso, non è riconosciuto come tale da tutto il popolo. Notorio significa qualcosa di più: il delitto è riconosciuto da tutti come un’evidenza: «I fatti notori non hanno bisogno di prova» (can. 1747). La notorietà presuppone la consapevolezza, da parte di chi ascolta le parole eretiche, dell’intrinseca malizia di chi le pronuncia. Se a pronunciarle è un Pontefice, finché quest’avvertenza manca e il Papa è tollerato e accettato dalla Chiesa universale, l’eretico resterà vero Papa e, in linea di principio, i suoi atti saranno validi.
Oggi la larga maggioranza dei cattolici, a cominciare dalle gerarchie ecclesiastiche, interpreta pro bono le parole e i gesti di papa Francesco. Non possiamo dire dunque che la sua perdita di fede sia evidente e manifesta. Né sembra possibile provarne la pertinacia. Così le giuste indicazioni dei grandi teologi classici sono difficili da seguire nella pratica. Quando san Roberto Bellarmino o il padre Wenz scrivevano i loro libri, la società era però ancora cattolica, il sensus fidei era sviluppato ed era facile discernere l’eresia di un prete, di un vescovo o addirittura di un Papa. Oggi, la larga maggioranza dei battezzati, semplici fedeli, sacerdoti, vescovi, vivono immersi nell’eresia, e pochi sono in grado di distinguere tra la verità e l’errore penetrati all’interno del Tempio di Dio.
Torniamo alla distinzione tra sfera spirituale e sfera giuridica. San Roberto Bellarmino nel secondo libro del De Romano Pontifice fa un interessante esempio a proposito di Novaziano e di Baio. Novaziano (220-258) fu un eretico che negò la legittimità del Papa Cornelio e arrivò ad autoproclamarsi Papa, rifiutando pubblicamente l’autorità della Chiesa; Michele di Bay (1513-159) conosciuto come Baio, professore a Lovanio, nei Paesi Bassi, cadde in eresia e fu censurato da Pio V e da Gregorio XIII ma, a differenza di Novaziano, non rinnegò il Papa e la Chiesa come regola infallibile della fede. Bellarmino spiega come Novaziano fu un eretico manifesto che, al contrario di Baio, perse cariche e giurisdizione nella Chiesa.
In conclusione, può avvenire che un Papa si separi spiritualmente dalla Chiesa, pur rimanendo canonicamente Papa, così come può avvenire che dei fedeli si separino spiritualmente da un Papa, pur riconoscendone la legittimità canonica. I veri cattolici non devono separarsi dal Papa ma dalle eresie e dagli errori professati purtroppo fin dai più alti vertici della Chiesa e poi tutto attendere da Dio.