Le
scandalose vicende di due preti abusatori seriali: uno, l'ex gesuita sloveno
Marko Rupnik e l'altro, il diocesano argentino, Ariel Alberto Pràncipi.
- Cosa e
come il Vaticano avrebbe affrontato queste vicende dove il ruolo del Papa è
impreciso e ambiguo.
-
Un’illustrazione legislativa astratta, ma la più autorevole e attendibile,
quella del Prefetto Arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto del Dicastero per i
Testi Legislativi.
- Insomma,
oltre al caso Rupnik chi, come e quando ordinò di reintegrare il sacerdote
dimesso dallo stato clericale con una sentenza definitiva perché colpevole di
pedofilia?
Questo
articolo, a beneficio della massima trasparenza e verità, e non volendo sottovalutare la gravità dei
fatti per sincero rispetto alle decine di vittime di questi dolorosi eventi, è
stato allestito in tre parti:
Prima Parte.
Una
sintesi giornalistica delle vicende di p. Marko Ivan Rupnik (sloveno) e dell'ex
sacerdote Ariel Alberto Pràncipi (argentino). Sono storie molto diverse anche
nel caso del loro contesto temporale ma che hanno in comune comportamenti assai
discutibili e insopportabili da parte delle più alte autorità vaticane.
Seconda
Parte.
Testo integrale dell'intervista di Vatican News all’arcivescovo Filippo
Iannone, Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi, il quale, senza menzionare
i nomi delle persone sopracitate, affronta le questioni delle pene e procedure
che riguardano sia Rupnik sia Pràncipi. (Fonte)
Terza Parte. Una nostra analisi e un
nostro commento su quanto si legge nella conversazione di mons. Iannone e A.
Tornielli di Vatican News.
*************
PRIMA PARTE
Caso Rupnik.
Sacerdote
sloveno e famoso mosaicista, gesuita potente e benestante, oggi incardinato
nella diocesi di Capodistria. E' sotto processo canonico (il secondo) da ottobre
del 2023 per rispondere a numerose gravissime accuse di abusi sessuali, di
coscienza e di potere nel contesto dei suoi rapporti con 20 donne membri della
Comunità Loyola (oggi sciolta). I reati sono stati commessi anche a più riprese
nell'arco di trent’anni. Nel primo processo canonico per assoluzione in
confessione di una donna (complice), l’allora Congregazione per la Dottrina
della Fede (CDF), maggio 2020 scomunicò il prete ma poi, dopo pochi giorni, il
Papa cancellò questa scomunica. Da parte loro i Gesuiti procedettero alla sua
espulsione dalla Compagnia per “disobbedienza”. Il Papa per ordinare un secondo
processo canonico dovette derogare alle prescrizioni che nel primo processo
avevano impedito di giudicare Rupnik per i reati sessuali commessi.
Caso Ariel
Alberto Pràncipi. Per
gravi e ripetuti abusi sessuali su minori, lo scorso 8 aprile, il Tribunale
Interdiocesano di Buenos condannò in via definitiva il prete diocesano Ariel
Alberto Pràncipi alla riduzione allo stato laicale come si dice in modo
semplice, e cioè, il presbitero è stato espulso dal clero. Quest'espulsione era
stata comminata in primo grado dal Tribunale Interdiocesano di Cordoba il 2
giugno 2023. Il vescovo di Villa de la Concepción del Río Cuarto, mons. Adolfo
Armando Uriona, pubblicò regolarmente e tempestivamente queste decisioni ormai
inappellabili. Ad un certo punto il vescovo Uriona, con una notifica della
Segretaria di Stato firmata dal Sostituto mons. Edgar Peña Parra, dovette
pubblicare un nuovo documento in cui ora si parlava genericamente, e in un modo
astuto, su un nuovo processo all'ormai 'prete spretato' svoltosi in Segreteria
di Stato con nuovi elementi che portarono ad una nuova sentenza, la terza: tutto
cancellato e lo spretato deve essere reintegrato. Cioè, Pràncipi non è
colpevole di nulla.
La parte più delicata della vicenda è una domanda:
quale ruolo ha avuto il Papa nel fattaccio denunciato dal Dicastero per la Dottrina
della Fede (DDF)?
Il Dicastero, con la firma del Papa, caccia dal
clero il prete per pedofilia ma dopo, il Sostituto Peña Parra lo reintegra e lo
scagiona da ogni colpa con un processo non autorizzato fuori del regole.
SECONDA
PARTE - INTERVISTA
Intervista
al Prefetto Dicastero per i Testi Legislativi arcivescovo Filippo Iannone. La
lotta agli abusi è una preoccupazione costante nella Chiesa, in particolare
negli ultimi anni.
Il tema è emerso anche nell’aula dov’è riunito il
Sinodo e continua ad essere monitorato dai media. Ne parliamo con l’arcivescovo
Filippo Iannone, Prefetto Dicastero per i Testi Legislativi, per approfondire
alcuni aspetti riguardanti le procedure che vengono applicate.
Domanda.
Può dire a che punto siamo dal punto di vista
delle leggi in vigore? Sono efficaci?
Risposta.
È certo questa una tematica al centro
dell’attenzione della Chiesa tutta, come ripete continuamente il Papa, e quindi
non poteva non entrare, in qualche modo, negli interventi dei membri del
Sinodo. La normativa canonica per la repressione e la punizione dei delitti di
abuso su minori e persone adulte vulnerabili è stata negli ultimi anni
modificata, tenendo conto dell’esperienza accumulata negli anni trascorsi, dei
vari suggerimenti venuti dalle Chiese locali e da persone impegnate a vari
livelli nella repressione del fenomeno, e soprattutto dell’incontro dei
Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo con i responsabili
della Curia romana, voluto da Papa Francesco e tenutosi in Vaticano nel mese di
febbraio del 2019. È stato rivisto il diritto penale canonico, è stato
promulgato il nuovo motu proprio Vos estis lux mundi, che stabilisce “a livello
universale le procedure volte a prevenire e contrastare questi crimini che
tradiscono la fiducia dei fedeli”, sono state riviste le Norme seguite dal Dicastero
per la Dottrina della Fede nel giudicare i delitti ad essa riservati. In tutti
i testi normativi si mette maggiormente al centro della prospettiva il bene
delle persone la cui dignità viene violata e la volontà di celebrare un
“giusto” processo nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico. Tra l’altro è stato sancito l’obbligo di denuncia alle autorità
ecclesiastiche da parte di sacerdoti e consacrati qualora vengano a conoscenza
di possibili abusi. Riguardo all’efficacia delle Norme è difficile dare un
giudizio globale, perché bisognerebbe conoscere tutti i dati inerenti la
materia. In base alla mia personale esperienza direi di sì. In ogni caso vorrei
ricordare le parole di Papa Francesco: “Anche se tanto già è stato fatto,
dobbiamo continuare ad imparare dalle amare lezioni del passato, per guardare
con speranza verso il futuro”.
Domanda.
Un sacerdote dimesso dallo stato clericale è
scomunicato?
Risposta.
No! La tradizione canonica conosce due tipologie
di pene applicabili a tutti i fedeli, chierici e laici: le censure e le pene
espiatorie. Tra le pene espiatorie applicabili ad un chierico (diacono,
sacerdote e vescovo) la più grave e anche perpetua è la dimissione dallo stato
clericale. Si applica, come è facile dedurre, in presenza di reati di
particolare gravità. Per dirlo in termini più semplici il sacerdote dimesso
dallo stato clericale non è scomunicato, ma non potrà più esercitare il sacro
ministero, mentre alle condizioni di tutti gli altri fedeli potrà ricevere i
sacramenti.
Domanda.
Può spiegare come avviene l’eventuale remissione
di una scomunica? Ci sono procedimenti rapidi per questo? Quali soggetti
vengono coinvolti?
Risposta.
La scomunica, che la legge canonica annovera tra
le censure, è la pena con la quale si priva il battezzato - che ha commesso un
reato (tra questi: profanazione dell’eucarestia, eresia, scisma, aborto,
violazione del segreto della confessione da parte del sacerdote) ed è contumace
(cioè disobbediente) - di alcuni beni spirituali, fino a quando cessi il suo
permanere in questo stato e sia assolto. I beni spirituali, o a questi annessi,
dei quali la pena può privare, sono quelli necessari per la vita cristiana, e
cioè principalmente i sacramenti. La scomunica ha una finalità strettamente
“medicinale”, finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona
colpita, perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato
(salus animarum suprema lex in Ecclesia - la salvezza delle anime è la legge
suprema nella Chiesa). Di conseguenza, per ottenere la remissione, deve provare
che tale finalità sia stata raggiunta. Non sono previsti termini di tempo
predeterminati. Il requisito necessario, pertanto, è che il soggetto si sia
veramente pentito del delitto e abbia dato adeguata riparazione allo scandalo e
al danno provocato o almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale
riparazione. È ovvio che la valutazione di questa circostanza deve essere fatta
dall’autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito
pastorale, tenendo conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto
sociale che potrebbe avere tale decisione.
Domanda.
Potrebbe spiegare la differenza tra la scomunica e
quelle che vengono definite “pene espiatore”?
Risposta.
Oltre alle censure di cui abbiamo parlato, la
tradizione canonica conosce e prevede un altro tipo di pene, chiamate
espiatorie, le quali hanno per finalità specifica l’espiazione del delitto. Di
conseguenza, la loro remissione non è solamente legata al pentimento o alla
pertinacia del reo (cioè alla sua ostinazione), ma principalmente al personale
sacrificio vissuto con finalità riparativa e di correzione. Esse comportano la
privazione per un periodo di tempo stabilito, indeterminato o perpetuo di alcuni
diritti di cui il soggetto godeva (per es. la proibizione di esercizio o la
privazione di un ufficio o incarico ricoperto), senza però impedirgli l’accesso
ai beni spirituali, in particolare ai sacramenti.
Domanda.
Nelle ultime settimane, diversi articoli di stampa
hanno offerto varie interpretazioni riguardo le procedure canoniche relative ai
delitti riservati. Può spiegare quali sono queste procedure e come vengono
applicate?
Risposta.
Stiamo parlando di delitti che per la loro gravità
in materia di fede o di morale sono giudicati esclusivamente dal Dicastero per
la Dottrina della Fede. La procedura seguita dal Dicastero può essere di due
tipi: quella di natura cosiddetta “amministrativa” o quella giudiziale. Nel
caso del processo amministrativo, una volta concluso il procedimento con il
Decreto penale extragiudiziale, il condannato ha la possibilità di impugnare il
provvedimento ricorrendo al Collegio dei Ricorsi, appositamente costituito
presso lo stesso Dicastero. Il decreto di questo Collegio è definitivo. Nel
caso di un processo giudiziale penale invece, dopo aver concluso i diversi
gradi di giudizio, la sentenza passa in giudicato (res iudicata), quindi
diventa esecutiva. In entrambi i casi, la persona condannata può chiedere la
restitutio in integrum (cioè il ripristino della sua condizione originaria)
sempre al Dicastero per la Dottrina della Fede. È anche possibile chiedere una
revisione in forma di grazia; in questo caso, la procedura ordinariamente è
espletata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma può essere anche
affidata ad altri Organismi. Dato il carattere riservato di questo tipo di
comunicazioni, è la Segreteria di Stato che provvede al coordinamento delle varie
istanze e all’invio delle eventuali decisioni per l’esecuzione delle
disposizioni adottate.
TERZA PARTE
– COMMENTO
(1.A) Intervista pianificata e concordata
La prima osservazione è semplice e ovvia ma non
scontata. E’ evidente che l’intervista all’arcivescovo Iannone è stata
organizzata e allestita per poter affrontare due casi sui quali una parte della
stampa sta parlando con domande pesanti. Lo stesso intervistatore ammette
l’attualità calzante di alcune delle domande.
In un primo caso si tratta dell’anniversario del
secondo processo canonico contro l’ex gesuita Marko Rupnik (un anno fa) e
quindi l’avvicinarsi della possibilità, poco probabile, di un chiarimento sul
perché Papa Francesco cancellò in pochi giorni la scomunica del prete
mosaicista nel maggio 2020?
E poi, nel secondo caso, (quello del prete
argentino Ariel Alberto Pràncipi - che la stampa locale considera molto vicino
al cardinale Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), Víctor
Manuel Fernández) - si cerca di capire il ruolo del Pontefice poiché la sua espulsione
dal clero e la successiva di Pràncipi difficilmente si sarebbe potuta
concretizzare senza l’autorizzazione di Francesco.
(1.B) Mons.
F. Iannone e le “procedure”.
L’erudito arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto del
Dicastero per i Testi Legislativi, nel voler ”approfondire alcuni aspetti
riguardanti le procedure che vengono applicate” nella lotta contro gli abusi di
minori e persone vulnerabili tocca direttamente passaggi rilevanti dei casi
Rupnik e Pràncipi; casi che hanno agitato moltissimo la vita ecclesia
“intramura”, quella che si vive silenziosamente e in modo volutamente anonima,
oltre le porte delle parrocchie, degli uffici ecclesiastici, dei conventi e
atenei, delle comunità varie sparse per il mondo.
Su questa sfida l’arcivescovo elenca e precisa
molte delle norme e regole nuove adottate dal Papa per combattere la pedofilia e
gli abusi su persone vulnerabili nella Chiesa.
(1.C) La scomunica e la remissione.
L'intervistatore domanda: "come avviene l’eventuale remissione di una scomunica? Ci sono procedimenti
rapidi per questo? Quali soggetti vengono coinvolti?" (Ovviamente si
sta pensando al caso di p. Marko Ivan Rupnik.
Nella sua risposta molto articolata, mons.
Iannone, osserva che "la scomunica
(...) è la pena con la quale si priva il battezzato (…) di alcuni beni
spirituali, fino a quando cessi il suo permanere in questo stato e sia
assolto". "La scomunica ha una finalità strettamente “medicinale”,
finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona colpita,
perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato (…) Di
conseguenza, per ottenere la remissione, deve provare che tale finalità sia
stata raggiunta. Non sono previsti termini di tempo predeterminati. Il
requisito necessario, pertanto, è che il soggetto si sia veramente pentito del
delitto e abbia dato adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o
almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale riparazione. È ovvio che la
valutazione di questa circostanza deve essere fatta dall’autorità dalla quale
dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto delle
buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale
decisione."
Quindi, lo scomunicato deve provare di aver
eseguito e raggiunto ognuno dei passaggi richiesti per ottenere la remissione
della pena.
(1.D) Scomunicato
solo per alcuni giorni.
Rupnik, secondo la cronologia ufficiale dei
Gesuiti, venne scomunicato al termine del primo processo canonico (per
assoluzione in confessione di una sua complice), a maggio 2020 e poi, sempre
entro il medesimo mese, questa scomunica fu cancellata (rimessa). Vatican News,
citando questa cronologia ufficiale dei gesuita, osserva che nel “maggio 2020 la CDF emette un decreto di
scomunica; la scomunica viene revocata da un decreto della CDF più tardi nello
stesso mese”. (Fonte)
Queste poche parole palesano il fatto che ci sono
negli archivi del DDF (allora CDF) due decreti in cui un’alta autorità firma
l’ordine di scomunica e poi ne firma un’altra che annulla il precedente.
Questa doppia firma può appartenere unicamente ed
esclusivamente a due persone: all’allora Prefetto del DDF, card. Luis Ladaria
(oggi in pensione), oppure al Papa stesso. Comunque, se la firma non è graficamente
del Papa, è innegabile che stata da lui autorizzata e ordinata.
(1.E) Il
percorso verso la remissione.
Leggendo un parere così autorevole e ufficiale come
questo di mons. Iannone si può pensare che la famosa scomunica, comminata a Rupnik,
è stata rimessa perché l’ex gesuita si è ravveduto, si è pentito e ha promesso
una riparazione.
E’ proprio quello che spiega mons. Iannone, in
astratto, senza mai dire il nome di nessuno, e lo fa con lo scopo di illustrare
il come e il perché si può rimettere una scomunica.
Si può dunque concludere che questa è la griglia
di lettura per capire qualcosa di vicino alla verità su quanto accaduto con
Rupnik e la sua scomunica nel maggio 2020.
L’allora prete gesuita sloveno, per avere la
remissione della scomunica da parte del Papa ha dovuto evidenziare condotte
"finalizzate cioè al recupero, alla
cura spirituale (…) perché pentito. (…). Rupnik ha dovuto dimostrare che era
"veramente pentito del delitto" e anche disponibile ha provvedere ad
una "adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno
[ha] seriamente promesso di realizzare tale riparazione.”.
Allora, Rupnik, in 30 giorni di pentimento per
levarsi la scomunica dal Papa ha fatto ciò che non aveva fatto mai nei 30 anni
precedenti in cui portò a compimento ogni tipo di nefandezze (abusi di
coscienza, di potere e sessuali) su oltre 20 donne.
(1.F) Chi ha
rimesso questa scomunica secondo Iannone?
L’arcivescovo Iannone osserva: “E ovvio” che si è dovuto fare una
valutazione di questa circostanza da parte “dell’autorità
dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto
delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere
tale decisione."
Il Prefetto precisa tre punti ciascuno dei quali
invita a riflettere:
** spirito
pastorale (dell’autorità)
Allora, in questa specifica situazione (Rupnik)
chi è “l’autorità dalla quale dipende la
remissione della pena” (scomunica)? Si può sapere di chi sono le firme o la
firma dei due decreti? Quale è stato lo spirito pastorale dell’autorità nel
contesto del magistero di Papa Francesco riguardo gli abusi sessuali, di potere
e di coscienza, materie sulle quali il Pontefice ha scritto cose della massima
importanza invitando tutti ad agire in concreto e a non fare “i professionisti
della antipedofilia”?.
** buone
disposizioni dello scomunicato
Intanto è certo che sulla valutazione del sincero
pentimento di Rupnik, condizione indispensabile per derogare la scomunica, non
si saprà mai nulla. Non pochi vorrebbero che si prendesse per vero ciò che si
fa circolare ad arte per attutire gli effetti della vicenda. Se Rupnik è stato
espulso dalla Compagnia per “disobbedienza”, si può pensare legittimamente che
la sua “disposizione” è stata piuttosto ostile, meschina e arrogante. Lo si è
potuto constatare seguendo le dichiarazioni di molte persone del cerchio magico
del mosaicista.
** impatto
sociale (della remissione)
Nel caso del terzo punto, “l’impatto sociale” (della
remissione), basterebbe leggere le principali testate del mondo a partire dallo
scoppio dello scandalo e soprattutto i titoli quando i Gesuiti rivelarono, con
la loro cronologia pubblica della vicenda, l’esistenza di una scomunica cancellata
in pochi giorni, confermando al tempo stesso l’esistenza anche di documenti
firmati: due decreti dicasteriali. In questo caso, colui che cancellò la
scomunica, vale a dire Papa Francesco, non potrà ormai immaginare lontanamente
che tutto passerà sottobanco con l’aiuto della stampa “bergoglio-friendly”.
(1.G) Il prete argentino spretato e poi reintegrato
Per quanto riguarda l’altra vicenda, quella del
prete argentino dimesso dallo stato clericale per pedofilia - a seguito di due
processi regolari/ prima e seconda istanza - e poi reintegrato nel clero dalla
Segreteria di Stato (tramite la persona del Sostituto, mons. Edgar Peña Parra),
ci sono molti punti da chiarire.
Da osservare subito che la Segreteria di Stato non
ha nessuna autorità in materia, tanto meno per allestire e avviare un “terzo”
processo allo scopo – si dice – di verificare “nuovi elementi”, raccolti ovviamente
dopo la sentenza definitiva del processo d’appello.
Questo marchingegno “giuridico” è mostruoso e allo
stato delle cose, purtroppo, conferma che oggi come oggi in Vaticano c’è una
sola legge: quella dell’arbitrio del potente dell’ufficio o del superiore grado
gerarchico. Ma non è così. Che la Chiesa di Cristo sia “gerarchica” in nessun
modo significa che queste gerarchie nella “Chiesa della fede” (della potenza e
non del potere) possano fare quel che vogliono e come vogliono. Nella Chiesa
c’è la legge e questa va rispettata anzitutto dai livelli più alti.
Anche qui si sospetta che il ruolo del Papa sia
stato ambiguo e contraddittorio come nel caso Rupnik. E anche qui, in mancanza
di verità a causa dell’eccesso di discrezione e alla fine di occultamento, si
tratta di un sospetto fondato.
Su Ariel Alberto Pràncipi, oggi definitivamente non
più presbitero, la stampa argentina osserva che è stato compagno e amico nel
seminario e nella diocesi in cui erano incardinati del Prefetto del DDF, il cardinale
argentino Víctor Manuel Fernández, il cui ruolo in questa storia non è chiaro
per ora, fermo restando che potrebbe non c’entrare niente.
(1.H)
Ripristino della sua condizione originaria.
Sempre con riferimento a Ariel Alberto Pràncipi,
senza citare nessun nome e cognome, mons. Iannone dice: "Stiamo parlando di delitti che per la loro
gravità in materia di fede o di morale sono giudicati esclusivamente dal
Dicastero per la Dottrina della Fede". L'intervistatore aveva
introdotto la domanda parlando di "procedure
canoniche relative ai delitti riservati" (e cioè, il caso dell'ex
prete argentino).
Il DDF ha due possibili procedure, precisa il
Prefetto: amministrativa oppure giudiziale.
Poi mons. Iannone spiega: "Nel caso del processo amministrativo, una
volta concluso il procedimento con il Decreto penale extragiudiziale, il
condannato ha la possibilità di impugnare il provvedimento ricorrendo al
Collegio dei Ricorsi, appositamente costituito presso lo stesso Dicastero. Il
decreto di questo Collegio è definitivo".
Nel caso di un processo giudiziale penale, come quello di Ariel
Alberto Pràncipi "dopo aver concluso
i diversi gradi di giudizio, la sentenza passa in giudicato, quindi diventa
esecutiva.”
In entrambi i casi, la persona condannata può
chiedere la restitutio in integrum
(cioè il ripristino della sua condizione originaria) sempre al Dicastero per la
Dottrina della Fede.
Più chiaro di così è impossibile! La Segreteria di
Stato ha provato a mettere le mani dove non poteva e si è tentato di fare
questo con ‘colpo di mano’ al di fuori delle leggi vigenti.
(1.I) Mons.
Peña Parra si è limitato a fare il passacarte o ha avuto autorizzazioni o
poteri speciali? E da chi?
L’ex prete argentino non ha mai chiesto la grazia
e ciò esclude addirittura un coinvolgimento minimo, burocratico, della
Segreteria di Stato.
Mons. Iannone esclude categoricamente, seppure per
ragioni burocratiche (da passacarte), un qualsiasi ruolo o compito istituzionale
della Segreteria di Stato in qualsiasi situazione di questa natura.
Mons. Iannone dichiara: “È anche possibile chiedere una revisione in forma di grazia; in questo
caso, la procedura ordinariamente è espletata dal Supremo Tribunale della
Segnatura Apostolica, ma può essere anche affidata ad altri Organismi. Dato il
carattere riservato di questo tipo di comunicazioni, è la Segreteria di Stato
che provvede al coordinamento delle varie istanze e all’invio delle eventuali
decisioni per l’esecuzione delle disposizioni adottate”.
C’è da chiarire però se mons. Peña Parra si è
limitato a fare il passacarte o ha avuto autorizzazioni o poteri speciali e da
chi. Insomma, chi, come e quando ordinò di reintegrare il sacerdote dimesso
dallo stato clericale con una sentenza definitiva perché ritenuto colpevole di
gravi atti di pedofilia?
Perché?
Perché il 25 settembre scorso il vescovo della
diocesi coinvolta fece sapere ufficialmente di aver ricevuto un sorta
d'ingiunzione dalla Segreteria di Stato, firmato dall’Arcivescovo Peña Parra,
che ordinava la reintegrazione di Pràncipi come sacerdote ma con ministero
limitato.
Il 5 luglio 2024 una dichiarazione della diocesi
di Villa de la Concepción del Río Cuarto affermava che mons. Peña Parra aveva
informato il vescovo che “era stata avviata una procedura straordinaria, con
sospensione della decisione del tribunale, in relazione al reverendo Ariel
Alberto Pràncipi”. La “procedura straordinaria”, che annullava la dimissione
dallo stato clericale ordinata dal DDF, portò invece ad imporre al prete un
ministero sacerdotale limitato. Ovviamente il Sostituto né allora né dopo
spiegò mai molte cose tuttora misteriose in particolare con quale autorità
aveva avviato una procedura straordinaria nel caso di un presbitero già
sentenziato definitivamente con una espulsione dal clero.