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mercoledì 30 ottobre 2024

Luis Badilla. Rupnik e Pràncipi, coperture degli abusi sessuali #rupnik

Ancora grazie a Luis Badilla per questa precisa e dotta analisi sulle coperture di abusi sessuali da parte vaticana.
Aspettiamo finalmente il processo a Rupnik e l'ammissione di CHI ha tolto la sua scomunica per "assoluzione del complice".
QUI i post di Mil sull'ex gesuita Rupnik.
Luigi C.

Le scandalose vicende di due preti abusatori seriali: uno, l'ex gesuita sloveno Marko Rupnik e l'altro, il diocesano argentino, Ariel Alberto Pràncipi.

- Cosa e come il Vaticano avrebbe affrontato queste vicende dove il ruolo del Papa è impreciso e ambiguo.

- Un’illustrazione legislativa astratta, ma la più autorevole e attendibile, quella del Prefetto Arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi.

- Insomma, oltre al caso Rupnik chi, come e quando ordinò di reintegrare il sacerdote dimesso dallo stato clericale con una sentenza definitiva perché colpevole di pedofilia?

Questo articolo, a beneficio della massima trasparenza e verità, e non volendo sottovalutare la gravità dei fatti per sincero rispetto alle decine di vittime di questi dolorosi eventi, è stato allestito in tre parti:

Prima Parte. Una sintesi giornalistica delle vicende di p. Marko Ivan Rupnik (sloveno) e dell'ex sacerdote Ariel Alberto Pràncipi (argentino). Sono storie molto diverse anche nel caso del loro contesto temporale ma che hanno in comune comportamenti assai discutibili e insopportabili da parte delle più alte autorità vaticane.

Seconda Parte. Testo integrale dell'intervista di Vatican News all’arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi, il quale, senza menzionare i nomi delle persone sopracitate, affronta le questioni delle pene e procedure che riguardano sia Rupnik sia Pràncipi. (Fonte)

Terza Parte. Una nostra analisi e un nostro commento su quanto si legge nella conversazione di mons. Iannone e A. Tornielli di Vatican News.

 

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PRIMA PARTE

Caso Rupnik. Sacerdote sloveno e famoso mosaicista, gesuita potente e benestante, oggi incardinato nella diocesi di Capodistria. E' sotto processo canonico (il secondo) da ottobre del 2023 per rispondere a numerose gravissime accuse di abusi sessuali, di coscienza e di potere nel contesto dei suoi rapporti con 20 donne membri della Comunità Loyola (oggi sciolta). I reati sono stati commessi anche a più riprese nell'arco di trent’anni. Nel primo processo canonico per assoluzione in confessione di una donna (complice), l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), maggio 2020 scomunicò il prete ma poi, dopo pochi giorni, il Papa cancellò questa scomunica. Da parte loro i Gesuiti procedettero alla sua espulsione dalla Compagnia per “disobbedienza”. Il Papa per ordinare un secondo processo canonico dovette derogare alle prescrizioni che nel primo processo avevano impedito di giudicare Rupnik per i reati sessuali commessi.

Caso Ariel Alberto Pràncipi. Per gravi e ripetuti abusi sessuali su minori, lo scorso 8 aprile, il Tribunale Interdiocesano di Buenos condannò in via definitiva il prete diocesano Ariel Alberto Pràncipi alla riduzione allo stato laicale come si dice in modo semplice, e cioè, il presbitero è stato espulso dal clero. Quest'espulsione era stata comminata in primo grado dal Tribunale Interdiocesano di Cordoba il 2 giugno 2023. Il vescovo di Villa de la Concepción del Río Cuarto, mons. Adolfo Armando Uriona, pubblicò regolarmente e tempestivamente queste decisioni ormai inappellabili. Ad un certo punto il vescovo Uriona, con una notifica della Segretaria di Stato firmata dal Sostituto mons. Edgar Peña Parra, dovette pubblicare un nuovo documento in cui ora si parlava genericamente, e in un modo astuto, su un nuovo processo all'ormai 'prete spretato' svoltosi in Segreteria di Stato con nuovi elementi che portarono ad una nuova sentenza, la terza: tutto cancellato e lo spretato deve essere reintegrato. Cioè, Pràncipi non è colpevole di nulla.

La parte più delicata della vicenda è una domanda: quale ruolo ha avuto il Papa nel fattaccio denunciato dal Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF)?

Il Dicastero, con la firma del Papa, caccia dal clero il prete per pedofilia ma dopo, il Sostituto Peña Parra lo reintegra e lo scagiona da ogni colpa con un processo non autorizzato fuori del regole.

SECONDA PARTE - INTERVISTA

Intervista al Prefetto Dicastero per i Testi Legislativi arcivescovo Filippo Iannone. La lotta agli abusi è una preoccupazione costante nella Chiesa, in particolare negli ultimi anni.

Il tema è emerso anche nell’aula dov’è riunito il Sinodo e continua ad essere monitorato dai media. Ne parliamo con l’arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto Dicastero per i Testi Legislativi, per approfondire alcuni aspetti riguardanti le procedure che vengono applicate.

Domanda.

Può dire a che punto siamo dal punto di vista delle leggi in vigore? Sono efficaci?

Risposta.

È certo questa una tematica al centro dell’attenzione della Chiesa tutta, come ripete continuamente il Papa, e quindi non poteva non entrare, in qualche modo, negli interventi dei membri del Sinodo. La normativa canonica per la repressione e la punizione dei delitti di abuso su minori e persone adulte vulnerabili è stata negli ultimi anni modificata, tenendo conto dell’esperienza accumulata negli anni trascorsi, dei vari suggerimenti venuti dalle Chiese locali e da persone impegnate a vari livelli nella repressione del fenomeno, e soprattutto dell’incontro dei Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo con i responsabili della Curia romana, voluto da Papa Francesco e tenutosi in Vaticano nel mese di febbraio del 2019. È stato rivisto il diritto penale canonico, è stato promulgato il nuovo motu proprio Vos estis lux mundi, che stabilisce “a livello universale le procedure volte a prevenire e contrastare questi crimini che tradiscono la fiducia dei fedeli”, sono state riviste le Norme seguite dal Dicastero per la Dottrina della Fede nel giudicare i delitti ad essa riservati. In tutti i testi normativi si mette maggiormente al centro della prospettiva il bene delle persone la cui dignità viene violata e la volontà di celebrare un “giusto” processo nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Tra l’altro è stato sancito l’obbligo di denuncia alle autorità ecclesiastiche da parte di sacerdoti e consacrati qualora vengano a conoscenza di possibili abusi. Riguardo all’efficacia delle Norme è difficile dare un giudizio globale, perché bisognerebbe conoscere tutti i dati inerenti la materia. In base alla mia personale esperienza direi di sì. In ogni caso vorrei ricordare le parole di Papa Francesco: “Anche se tanto già è stato fatto, dobbiamo continuare ad imparare dalle amare lezioni del passato, per guardare con speranza verso il futuro”.

Domanda.

Un sacerdote dimesso dallo stato clericale è scomunicato?

Risposta.

No! La tradizione canonica conosce due tipologie di pene applicabili a tutti i fedeli, chierici e laici: le censure e le pene espiatorie. Tra le pene espiatorie applicabili ad un chierico (diacono, sacerdote e vescovo) la più grave e anche perpetua è la dimissione dallo stato clericale. Si applica, come è facile dedurre, in presenza di reati di particolare gravità. Per dirlo in termini più semplici il sacerdote dimesso dallo stato clericale non è scomunicato, ma non potrà più esercitare il sacro ministero, mentre alle condizioni di tutti gli altri fedeli potrà ricevere i sacramenti.

Domanda.

Può spiegare come avviene l’eventuale remissione di una scomunica? Ci sono procedimenti rapidi per questo? Quali soggetti vengono coinvolti?

Risposta.

La scomunica, che la legge canonica annovera tra le censure, è la pena con la quale si priva il battezzato - che ha commesso un reato (tra questi: profanazione dell’eucarestia, eresia, scisma, aborto, violazione del segreto della confessione da parte del sacerdote) ed è contumace (cioè disobbediente) - di alcuni beni spirituali, fino a quando cessi il suo permanere in questo stato e sia assolto. I beni spirituali, o a questi annessi, dei quali la pena può privare, sono quelli necessari per la vita cristiana, e cioè principalmente i sacramenti. La scomunica ha una finalità strettamente “medicinale”, finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona colpita, perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato (salus animarum suprema lex in Ecclesia - la salvezza delle anime è la legge suprema nella Chiesa). Di conseguenza, per ottenere la remissione, deve provare che tale finalità sia stata raggiunta. Non sono previsti termini di tempo predeterminati. Il requisito necessario, pertanto, è che il soggetto si sia veramente pentito del delitto e abbia dato adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale riparazione. È ovvio che la valutazione di questa circostanza deve essere fatta dall’autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale decisione.

Domanda.

Potrebbe spiegare la differenza tra la scomunica e quelle che vengono definite “pene espiatore”?

Risposta.

Oltre alle censure di cui abbiamo parlato, la tradizione canonica conosce e prevede un altro tipo di pene, chiamate espiatorie, le quali hanno per finalità specifica l’espiazione del delitto. Di conseguenza, la loro remissione non è solamente legata al pentimento o alla pertinacia del reo (cioè alla sua ostinazione), ma principalmente al personale sacrificio vissuto con finalità riparativa e di correzione. Esse comportano la privazione per un periodo di tempo stabilito, indeterminato o perpetuo di alcuni diritti di cui il soggetto godeva (per es. la proibizione di esercizio o la privazione di un ufficio o incarico ricoperto), senza però impedirgli l’accesso ai beni spirituali, in particolare ai sacramenti.

Domanda.

Nelle ultime settimane, diversi articoli di stampa hanno offerto varie interpretazioni riguardo le procedure canoniche relative ai delitti riservati. Può spiegare quali sono queste procedure e come vengono applicate?

Risposta.

Stiamo parlando di delitti che per la loro gravità in materia di fede o di morale sono giudicati esclusivamente dal Dicastero per la Dottrina della Fede. La procedura seguita dal Dicastero può essere di due tipi: quella di natura cosiddetta “amministrativa” o quella giudiziale. Nel caso del processo amministrativo, una volta concluso il procedimento con il Decreto penale extragiudiziale, il condannato ha la possibilità di impugnare il provvedimento ricorrendo al Collegio dei Ricorsi, appositamente costituito presso lo stesso Dicastero. Il decreto di questo Collegio è definitivo. Nel caso di un processo giudiziale penale invece, dopo aver concluso i diversi gradi di giudizio, la sentenza passa in giudicato (res iudicata), quindi diventa esecutiva. In entrambi i casi, la persona condannata può chiedere la restitutio in integrum (cioè il ripristino della sua condizione originaria) sempre al Dicastero per la Dottrina della Fede. È anche possibile chiedere una revisione in forma di grazia; in questo caso, la procedura ordinariamente è espletata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma può essere anche affidata ad altri Organismi. Dato il carattere riservato di questo tipo di comunicazioni, è la Segreteria di Stato che provvede al coordinamento delle varie istanze e all’invio delle eventuali decisioni per l’esecuzione delle disposizioni adottate.

TERZA PARTE – COMMENTO

(1.A) Intervista pianificata e concordata

La prima osservazione è semplice e ovvia ma non scontata. E’ evidente che l’intervista all’arcivescovo Iannone è stata organizzata e allestita per poter affrontare due casi sui quali una parte della stampa sta parlando con domande pesanti. Lo stesso intervistatore ammette l’attualità calzante di alcune delle domande.

In un primo caso si tratta dell’anniversario del secondo processo canonico contro l’ex gesuita Marko Rupnik (un anno fa) e quindi l’avvicinarsi della possibilità, poco probabile, di un chiarimento sul perché Papa Francesco cancellò in pochi giorni la scomunica del prete mosaicista nel maggio 2020?

E poi, nel secondo caso, (quello del prete argentino Ariel Alberto Pràncipi - che la stampa locale considera molto vicino al cardinale Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), Víctor Manuel Fernández) - si cerca di capire il ruolo del Pontefice poiché la sua espulsione dal clero e la successiva di Pràncipi difficilmente si sarebbe potuta concretizzare senza l’autorizzazione di Francesco.

(1.B) Mons. F. Iannone e le “procedure”.

L’erudito arcivescovo Filippo Iannone, Prefetto del Dicastero per i Testi Legislativi, nel voler ”approfondire alcuni aspetti riguardanti le procedure che vengono applicate” nella lotta contro gli abusi di minori e persone vulnerabili tocca direttamente passaggi rilevanti dei casi Rupnik e Pràncipi; casi che hanno agitato moltissimo la vita ecclesia “intramura”, quella che si vive silenziosamente e in modo volutamente anonima, oltre le porte delle parrocchie, degli uffici ecclesiastici, dei conventi e atenei, delle comunità varie sparse per il mondo.

Su questa sfida l’arcivescovo elenca e precisa molte delle norme e regole nuove adottate dal Papa per combattere la pedofilia e gli abusi su persone vulnerabili nella Chiesa.

(1.C) La scomunica e la remissione.

L'intervistatore domanda: "come avviene l’eventuale remissione di una scomunica? Ci sono procedimenti rapidi per questo? Quali soggetti vengono coinvolti?" (Ovviamente si sta pensando al caso di p. Marko Ivan Rupnik.

Nella sua risposta molto articolata, mons. Iannone, osserva che "la scomunica (...) è la pena con la quale si priva il battezzato (…) di alcuni beni spirituali, fino a quando cessi il suo permanere in questo stato e sia assolto". "La scomunica ha una finalità strettamente “medicinale”, finalizzata cioè al recupero, alla cura spirituale della persona colpita, perché pentito possa di nuovo ricevere i beni di cui è stato privato (…) Di conseguenza, per ottenere la remissione, deve provare che tale finalità sia stata raggiunta. Non sono previsti termini di tempo predeterminati. Il requisito necessario, pertanto, è che il soggetto si sia veramente pentito del delitto e abbia dato adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno abbia seriamente promesso di realizzare tale riparazione. È ovvio che la valutazione di questa circostanza deve essere fatta dall’autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale decisione."

Quindi, lo scomunicato deve provare di aver eseguito e raggiunto ognuno dei passaggi richiesti per ottenere la remissione della pena.

(1.D) Scomunicato solo per alcuni giorni.

Rupnik, secondo la cronologia ufficiale dei Gesuiti, venne scomunicato al termine del primo processo canonico (per assoluzione in confessione di una sua complice), a maggio 2020 e poi, sempre entro il medesimo mese, questa scomunica fu cancellata (rimessa). Vatican News, citando questa cronologia ufficiale dei gesuita, osserva che nel “maggio 2020 la CDF emette un decreto di scomunica; la scomunica viene revocata da un decreto della CDF più tardi nello stesso mese”. (Fonte)

Queste poche parole palesano il fatto che ci sono negli archivi del DDF (allora CDF) due decreti in cui un’alta autorità firma l’ordine di scomunica e poi ne firma un’altra che annulla il precedente.

Questa doppia firma può appartenere unicamente ed esclusivamente a due persone: all’allora Prefetto del DDF, card. Luis Ladaria (oggi in pensione), oppure al Papa stesso. Comunque, se la firma non è graficamente del Papa, è innegabile che stata da lui autorizzata e ordinata.

(1.E) Il percorso verso la remissione.

Leggendo un parere così autorevole e ufficiale come questo di mons. Iannone si può pensare che la famosa scomunica, comminata a Rupnik, è stata rimessa perché l’ex gesuita si è ravveduto, si è pentito e ha promesso una riparazione.

E’ proprio quello che spiega mons. Iannone, in astratto, senza mai dire il nome di nessuno, e lo fa con lo scopo di illustrare il come e il perché si può rimettere una scomunica.

Si può dunque concludere che questa è la griglia di lettura per capire qualcosa di vicino alla verità su quanto accaduto con Rupnik e la sua scomunica nel maggio 2020.

L’allora prete gesuita sloveno, per avere la remissione della scomunica da parte del Papa ha dovuto evidenziare condotte "finalizzate cioè al recupero, alla cura spirituale (…) perché pentito. (…). Rupnik ha dovuto dimostrare che era "veramente pentito del delitto" e anche disponibile ha provvedere ad una "adeguata riparazione allo scandalo e al danno provocato o almeno [ha] seriamente promesso di realizzare tale riparazione.”.

Allora, Rupnik, in 30 giorni di pentimento per levarsi la scomunica dal Papa ha fatto ciò che non aveva fatto mai nei 30 anni precedenti in cui portò a compimento ogni tipo di nefandezze (abusi di coscienza, di potere e sessuali) su oltre 20 donne.

(1.F) Chi ha rimesso questa scomunica secondo Iannone?

L’arcivescovo Iannone osserva: “E ovvio” che si è dovuto fare una valutazione di questa circostanza da parte “dell’autorità dalla quale dipende la remissione della pena, in spirito pastorale, tenendo conto delle buone disposizioni del soggetto e dell’impatto sociale che potrebbe avere tale decisione."

Il Prefetto precisa tre punti ciascuno dei quali invita a riflettere:

** spirito pastorale (dell’autorità)

Allora, in questa specifica situazione (Rupnik) chi è “l’autorità dalla quale dipende la remissione della pena” (scomunica)? Si può sapere di chi sono le firme o la firma dei due decreti? Quale è stato lo spirito pastorale dell’autorità nel contesto del magistero di Papa Francesco riguardo gli abusi sessuali, di potere e di coscienza, materie sulle quali il Pontefice ha scritto cose della massima importanza invitando tutti ad agire in concreto e a non fare “i professionisti della antipedofilia”?.

** buone disposizioni dello scomunicato

Intanto è certo che sulla valutazione del sincero pentimento di Rupnik, condizione indispensabile per derogare la scomunica, non si saprà mai nulla. Non pochi vorrebbero che si prendesse per vero ciò che si fa circolare ad arte per attutire gli effetti della vicenda. Se Rupnik è stato espulso dalla Compagnia per “disobbedienza”, si può pensare legittimamente che la sua “disposizione” è stata piuttosto ostile, meschina e arrogante. Lo si è potuto constatare seguendo le dichiarazioni di molte persone del cerchio magico del mosaicista.

** impatto sociale (della remissione)

Nel caso del terzo punto, “l’impatto sociale” (della remissione), basterebbe leggere le principali testate del mondo a partire dallo scoppio dello scandalo e soprattutto i titoli quando i Gesuiti rivelarono, con la loro cronologia pubblica della vicenda, l’esistenza di una scomunica cancellata in pochi giorni, confermando al tempo stesso l’esistenza anche di documenti firmati: due decreti dicasteriali. In questo caso, colui che cancellò la scomunica, vale a dire Papa Francesco, non potrà ormai immaginare lontanamente che tutto passerà sottobanco con l’aiuto della stampa “bergoglio-friendly”.

(1.G) Il prete argentino spretato e poi reintegrato

Per quanto riguarda l’altra vicenda, quella del prete argentino dimesso dallo stato clericale per pedofilia - a seguito di due processi regolari/ prima e seconda istanza - e poi reintegrato nel clero dalla Segreteria di Stato (tramite la persona del Sostituto, mons. Edgar Peña Parra), ci sono molti punti da chiarire.

Da osservare subito che la Segreteria di Stato non ha nessuna autorità in materia, tanto meno per allestire e avviare un “terzo” processo allo scopo – si dice – di verificare “nuovi elementi”, raccolti ovviamente dopo la sentenza definitiva del processo d’appello.

Questo marchingegno “giuridico” è mostruoso e allo stato delle cose, purtroppo, conferma che oggi come oggi in Vaticano c’è una sola legge: quella dell’arbitrio del potente dell’ufficio o del superiore grado gerarchico. Ma non è così. Che la Chiesa di Cristo sia “gerarchica” in nessun modo significa che queste gerarchie nella “Chiesa della fede” (della potenza e non del potere) possano fare quel che vogliono e come vogliono. Nella Chiesa c’è la legge e questa va rispettata anzitutto dai livelli più alti.

Anche qui si sospetta che il ruolo del Papa sia stato ambiguo e contraddittorio come nel caso Rupnik. E anche qui, in mancanza di verità a causa dell’eccesso di discrezione e alla fine di occultamento, si tratta di un sospetto fondato.

Su Ariel Alberto Pràncipi, oggi definitivamente non più presbitero, la stampa argentina osserva che è stato compagno e amico nel seminario e nella diocesi in cui erano incardinati del Prefetto del DDF, il cardinale argentino Víctor Manuel Fernández, il cui ruolo in questa storia non è chiaro per ora, fermo restando che potrebbe non c’entrare niente.

(1.H) Ripristino della sua condizione originaria.

Sempre con riferimento a Ariel Alberto Pràncipi, senza citare nessun nome e cognome, mons. Iannone dice: "Stiamo parlando di delitti che per la loro gravità in materia di fede o di morale sono giudicati esclusivamente dal Dicastero per la Dottrina della Fede". L'intervistatore aveva introdotto la domanda parlando di "procedure canoniche relative ai delitti riservati" (e cioè, il caso dell'ex prete argentino).

Il DDF ha due possibili procedure, precisa il Prefetto: amministrativa oppure giudiziale.

Poi mons. Iannone spiega: "Nel caso del processo amministrativo, una volta concluso il procedimento con il Decreto penale extragiudiziale, il condannato ha la possibilità di impugnare il provvedimento ricorrendo al Collegio dei Ricorsi, appositamente costituito presso lo stesso Dicastero. Il decreto di questo Collegio è definitivo".  Nel caso di un processo giudiziale penale, come quello di Ariel Alberto Pràncipi "dopo aver concluso i diversi gradi di giudizio, la sentenza passa in giudicato, quindi diventa esecutiva.”

In entrambi i casi, la persona condannata può chiedere la restitutio in integrum (cioè il ripristino della sua condizione originaria) sempre al Dicastero per la Dottrina della Fede.

Più chiaro di così è impossibile! La Segreteria di Stato ha provato a mettere le mani dove non poteva e si è tentato di fare questo con ‘colpo di mano’ al di fuori delle leggi vigenti.

(1.I) Mons. Peña Parra si è limitato a fare il passacarte o ha avuto autorizzazioni o poteri speciali? E da chi?

L’ex prete argentino non ha mai chiesto la grazia e ciò esclude addirittura un coinvolgimento minimo, burocratico, della Segreteria di Stato.

Mons. Iannone esclude categoricamente, seppure per ragioni burocratiche (da passacarte), un qualsiasi ruolo o compito istituzionale della Segreteria di Stato in qualsiasi situazione di questa natura.

Mons. Iannone dichiara: “È anche possibile chiedere una revisione in forma di grazia; in questo caso, la procedura ordinariamente è espletata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma può essere anche affidata ad altri Organismi. Dato il carattere riservato di questo tipo di comunicazioni, è la Segreteria di Stato che provvede al coordinamento delle varie istanze e all’invio delle eventuali decisioni per l’esecuzione delle disposizioni adottate”.

C’è da chiarire però se mons. Peña Parra si è limitato a fare il passacarte o ha avuto autorizzazioni o poteri speciali e da chi. Insomma, chi, come e quando ordinò di reintegrare il sacerdote dimesso dallo stato clericale con una sentenza definitiva perché ritenuto colpevole di gravi atti di pedofilia?

Perché?

Perché il 25 settembre scorso il vescovo della diocesi coinvolta fece sapere ufficialmente di aver ricevuto un sorta d'ingiunzione dalla Segreteria di Stato, firmato dall’Arcivescovo Peña Parra, che ordinava la reintegrazione di Pràncipi come sacerdote ma con ministero limitato.

Il 5 luglio 2024 una dichiarazione della diocesi di Villa de la Concepción del Río Cuarto affermava che mons. Peña Parra aveva informato il vescovo che “era stata avviata una procedura straordinaria, con sospensione della decisione del tribunale, in relazione al reverendo Ariel Alberto Pràncipi”. La “procedura straordinaria”, che annullava la dimissione dallo stato clericale ordinata dal DDF, portò invece ad imporre al prete un ministero sacerdotale limitato. Ovviamente il Sostituto né allora né dopo spiegò mai molte cose tuttora misteriose in particolare con quale autorità aveva avviato una procedura straordinaria nel caso di un presbitero già sentenziato definitivamente con una espulsione dal clero.