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martedì 8 ottobre 2024

I santi martiri della Legione Tebea - #martiri #tebea

Una bella vicenda, poco conosciuta.
Luigi C.

Schola PalatinaDario Pasero | 17 Aprile 2024

Sulle montagne e nelle aree pedemontane di entrambi i versanti delle Alpi occidentali è diffuso il culto di molti santi, venerati sia singolarmente che collettivamente come “martiri della Legione Tebea”. Questi soldati, secondo la tradizione agiografica tutti cristiani, non vollero sacrificare agli dei pagani. Per questo motivo in 6.600 trovarono il loro martirio prima con la “decimazione”, poi con l’eccidio totale, sotto l’imperatore Massimiano (285-310).

La Passio di Sant’Eucherio

A loro riguardo occorre innanzitutto chiarire che esiste una narrazione storica, affidata a due Passiones molto antiche, anche se non coeve alle vicende. La prima Passio (Passio Agaunensium Martyrum, ss. Mauricii ac sociorum ejus, edita in Migne, Patrologia Latina, t. 50, coll. 827-832) è quella scritta tra il 443 ed il 450 in funzione anti-ariana dal vescovo sant’Eucherio, Padre della Chiesa di origine gallica (Lione, 380-449 o 450), nato in una famiglia abbiente dell’aristocrazia gallo-romana, che già professava il Cristianesimo. Secondo alcune fonti, dopo essersi sposato con una donna di nome Galla (o Gallia), decise di abbandonare tutti i suoi beni e di ritirarsi in un convento sull’isola di Lérins, insieme alla moglie e ai due figli, per consacrarsi alla preghiera e allo studio. Nel 435 divenne vescovo di Lione, partecipando al Concilio di Orange nel 441.

La Passio attribuita ad Eucherio si apre con un riferimento immediato alla sacralità del luogo del martirio, vale a dire Agaunum, l’attuale Saint-Maurice, nel canton Vallese, località già ricordata da Giulio Cesare, nel De bello Gallico, per la battaglia ivi combattuta tra la XII Legione di Servio Galba e le tribù dei Veragri e dei Seduni. Ad Agaunum, per iniziativa di Teodoro, primo vescovo di Octodurus (l’attuale Martigny), sarebbe sorto, addossato alla roccia, un piccolo santuario, sul cui sito sarebbe stata fondata un’abbazia il 22 settembre dell’anno 515 da Sigismondo, primo re cattolico dei Burgundi. Essa, la più antica dell’Europa occidentale ad essere stata occupata permanentemente, venne eretta presso una sorgente, che già in epoca romana era sede di un tempio dedicato alle ninfe o a Mercurio, divenendo presto un luogo di pellegrinaggi per i Burgundi. Fu poi punto di sosta sul percorso dei pellegrini in viaggio verso la tomba degli Apostoli, a Roma, e tappa della via Francigena nell’itinerario di Sigerico, arcivescovo di Canterbury. Ancora oggi è meta frequentata dai pellegrini.

La «Passio» anonima

Altro documento è una Passio anonima che, un tempo ritenuta di età carolingia, da studi recenti è stata invece datata ad un’epoca antecedente al 440, quindi più antica, seppur di poco, di quella di Eucherio. Entrambe le Passiones risalgono sicuramente ad una comune fonte orale, da cui discendeva una tradizione attestata evidentemente almeno già da un secolo.

Tema centrale nella Passio anonima è il rifiuto del sacrificio agli dei pagani. I soldati tebani si rifiutano di partecipare alle cerimonie volute da Massimiano ad Octodurus in onore degli dei e di prestare giuramento sugli altari. L’Anonimo insiste inoltre molto sull’assenza di resistenza da parte dei martiri, tanto che nel suo discorso Maurizio sottolinea il merito delle prime vittime della decimazione, ricordando che tali soldati non si difesero, mentre avrebbero potuto farlo facilmente.

Secondo storici recenti risalirebbe a sant’Ambrogio l’idea di attribuire ai martiri di Agaunum i connotati delle truppe tebee, cioè egiziane, che, secondo il racconto dello storico Zosimo, all’epoca di Teodosio (379) avevano tenuto testa a truppe di Goti ariani. Quest’idea sarebbe stata entusiasticamente raccolta da Eucherio, che avrebbe ardentemente desiderato di recarsi in Tebaide, trovata nell’isolamento del monastero di Lérins, dovendo però abbandonarla nel divenire vescovo di Lione: ne avrebbe pertanto riconosciuta un’altra proprio nel martirio della Legione Tebea, di cui decise di raccontare la storia.

Molti elementi comuni

Elementi comuni nelle due Passiones sono il numero di 6.600 martiri, comandati dal primicerius Maurizio, da Essuperio e da Candido; il fatto che la legione avanzi fino ad Agaunum, mentre il grosso dell’armata resta ad Octodurus; il racconto di due decimazioni e quindi del massacro finale, con la morte del veterano Vittore. Una differenza è invece costituita dal fatto che, secondo l’Anonimo, il martirio avvenne all’epoca della repressione della rivolta dei Bagaudi, cioè quelle bande di vagabondi celtici, diventati poi contadini e pastori e infine, nel clima delle sollevazioni provocate dalla pressione fiscale romana, briganti; tale repressione fu operata effettivamente da Massimiano in Gallia nel 285-286. Secondo Eucherio invece il martirio è da collocare all’epoca della grande persecuzione del 303. Inoltre, è solo la Passio anonima a citare l’origine orientale dei soldati della legione: «christianae religionis ritum orientali traditione susceperant» («avevano accolto il rito della religione cristiana secondo la tradizione orientale»).

Un’ultima considerazione al riguardo è che verosimilmente il vescovo Eucherio valorizzò il culto dei martiri tebei mirando ad un’evangelizzazione dei Burgundi ariani, che si convertirono di lì a poco con re Sigismondo. L’iconografia tradizionale relativa a san Maurizio ed ai legionari tebei in genere è solita presentarli con tutti gli attributi tipici dei soldati martiri: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con la croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto. Non mancano le loro raffigurazioni equestri, spesso con la carnagione scura, a ricordo della loro provenienza africana. Un dipinto del maestro di Liesborn, conservato alla National Gallery di Londra, ritrae san Maurizio come cavaliere con papa san Gregorio Magno e sant’Agostino d’Ippona. Splendida però l’opera raffigurante la scena del martirio del santo guerriero di El Greco, conservata a Madrid, all’Escorial.

Martiri della Legione Tebea: ecco chi furono

Maurizio era dunque un ufficiale dell’Impero Romano ed esistono, se non delle prove certe, delle più che valide ipotesi, che ne indicherebbero una sua origine egizia. Il nome copto Maurikios, che potrebbe derivare da quello del lago Moeris, compare nei papiri ed è identico al nome romano Mauritius. Tale nome si trova negli epitaffi dell’Egitto tolemaico ed è successivamente attestato anche in epoca cristiana, tanto che è tuttora usato dai Copti egiziani. La verosimile origine egizia colloca quindi il nostro Santo in un contesto di intenso spessore religioso, giustificato anche dall’antichità della cristianizzazione di questa regione, che vanta il sorgere del più antico movimento monastico della tradizione cristiana.

Tra i martiri compagni del comandante Maurizio la Passio anonima cita Orso e Vittore (assenti tuttavia in Eucherio), mentre da due Passiones successive (una del V/VI secolo, l’altra del X/XI) ricaviamo quelli di Solutore, Avventore ed Ottavio, celebrati come appartenenti alla gloriosissima Sanctorum Agaunensium Theborum legio, ma già menzionati nell’Inscriptio del Sermo 12 di Massimo, vescovo di Torino, qualche anno prima del 397, attestando così un culto localmente abbastanza antico.

Quindi a partire dall’episcopato di Massimo, nei secoli V e VI pare che i tre martiri fossero considerati come propri della città di Torino. Massimo però non fornisce particolari sui modi del loro martirio, a conferma che il loro culto era già radicato e non necessitava perciò di essere alimentato nei fedeli con racconti edificanti. Piuttosto ricorda nella sua omelia, che esisteva in città una tomba dei tre santi, accanto alla quale i cittadini amavano seppellire i propri cari. Del resto la trasformazione delle tombe dei martiri in strutture monumentali, capaci di convogliare e moltiplicare gli atti di devozione dei fedeli (pensiamo a cos’era successo anche ad Agaunum) fu un fenomeno diffuso nel IV e V secolo. Si narra poi che, mentre Ottavio ed Avventore, sfuggiti alla spada ed alle lance dei carnefici di Agaunum, una volta giunti a Torino, furono catturati e uccisi, Solutore, giovane e veloce, sfuggì sia ai carnefici di Agaunum che a quelli di Torino; raggiunse poi Ivrea, l’antica Eporedia, si nascose in una cava di sabbia presso la Dora, ma fu tradito da un fanciullo.

Giuliana, ricca matrona cristiana di Ivrea, dopo aver visto il corpo martoriato, accolse scaltramente i persecutori nella propria casa, li fece ubriacare, caricò il corpo di Solutore su di un carro e, dopo una corsa veloce nella notte, mentre le acque dei fiumi tra Ivrea e Torino si aprirono per lasciarla passare, riuscì a riunire i corpi dei tre martiri, affinché avessero una comune sepoltura. Inoltre, il sangue di Solutore impregnò ben visibilmente la pietra su cui era stato decapitato, mentre la palude circostante venne prosciugata ad un cenno di Dio nel momento del martirio. In quel luogo è stata costruita una chiesa, ove quotidianamente sono stati operati miracoli e guarigioni.

Altri legionari

A tutte queste figure, ricordate appunto in documenti scritti, se ne aggiunsero poi molte altre, testimoniate da fonti popolari. Ricordiamo, a mo’ d’esempio, i santi Chiaffredo, Magno e Costanzo, che secondo le narrazioni popolari avrebbero evangelizzato, rispettivamente, le valli Po, Grana e Maira in provincia di Cuneo oppure ancora san Defendente, san Fiorenzo, san Vitale, san Martiniano, san Ponzio (tutti venerati, specie nel Cuneese e nella Provenza alpina), san Besso e san Tegolo (in Canavese), san Secondo, i cui nomi – ancora fino a qualche anno fa – venivano tradizionalmente ed orgogliosamente imposti a molti bambini delle valli alpine. Ancora oggi resta molto forte e viva la devozione particolare verso la beatissima Legio: «Sic interfecta est illa plane angelica legio, quae, ut credimus, cum illis angelorum legionibus iam conlaudat semper in coelis Dominum Deum Sabaoth» («Così fu uccisa quella legione quasi angelica che, come noi crediamo, con le legioni degli angeli già loda in cielo per l’eternità Dio, Signore degli eserciti», Sant’Eucherio, op. cit., col. 831).

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