La Messa (in qualunque forma), la nostra Messa.
Luigi C.
Il Cammino dei Tre Sentieri, 8 Agosto 2024
La liturgia è la glorificazione di Dio. E’ anche il ringraziamento che l’uomo deve a Dio. Certo, è tutto questo. Ma se qualcuno ci chiedesse: cosa la liturgia produce nell’uomo? Risponderemmo: una grande gioia. Sì, avete capito: una grande gioia.
Ovviamente dobbiamo intenderci su cosa è la gioia. Essa non è la semplice ilarità o spensieratezza, anzi -molte volte- può accompagnarsi a stati di profonda sofferenza. La gioia, quella autentica, è la pace del cuore quando si è consapevoli che tutto il proprio esistere è ben orientato al gusto fine, che è Dio; e quindi è tutto conformato alla volontà di Dio stesso. La gioia è l’esito di un “combaciamento” totale tra sé e il proprio destino. Il poeta Pavese (1908-1950) dice ne Il mestiere di vivere: “La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio stato fondamentale, ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace.”
Se la gioia è questa, la Messa Cattolica non può che produrre gioia. Essa è infatti il riordino di tutto. E’ il ristabilimento di tutto. E’ la perfetta concordanza del reale con la volontà di Dio. E’ il far sì che la realtà possa perfettamente “combaciare” con il suo destino, mutuando le parole di Pavese.
Il liturgista dom Gérard Calvet (1927-2008) scrisse: “Non sorprende che quando l’azione liturgica, soprannaturale o sacramentale, colpisce la vista e l’udito, vi percepiamo il segreto del nostro destino e che un ‘sacro trasalire’ s’impadronisca di tutto il nostro essere, come fu per Giovanni il Battista alla voce di Maria.” Calvet unisce due concetti, il destino e ciò che lui indica come il “sacro trasalire” che vuol dire appunto la gioia. Destino e gioia, dunque, si accompagnano. E il destino, ovviamente, non è da intendersi come puro fatalismo, bensì come ineludibile orientamento, come l’approdo che deve essere necessariamente perseguito pena il non realizzare se stessi.
La gioia non scaturisce solo quando viene donato qualcosa di nuovo, ma anche quando ciò che si ha e si rischiava di perdere viene ri-donato. Nietzsche (1844-1900) dice: “Il fanciullo è innocenza e dimenticanza, un ricominciare, un gioco…” Prescindendo della filosofia dissolutoria di Nietzsche su cui non concordiamo, in queste parole c’è una grande verità, ovvero che un tratto tipico della fanciullezza è quella di non annoiarsi a ripetere sempre le stesse cose; anzi, proprio in questa ripetizione, c’è una gioia nel ricominciare. Si tratta di quel “ricominciare” che si fonda sulla convinzione che è giusto e bello così; che oltre questo, nulla vale la pena.
Il rito della Messa Cattolica, in quanto rinnovazione del Calvario, è da un certo punto di vista proprio questo “ricominciare”, è un rinnovare continuamente, ovunque e in ogni tempo, quel preciso Luogo (il Calvario) e quel preciso Momento (la Redenzione) in cui si è giocato e si gioca il destino di ognuno…e se ci si orienta verso questo Destino, c’è davvero la gioia!
Luigi... In realtà ALCUNE messe per niente.
RispondiEliminaMi è capitato di assistere a una messa dove un domenicano belga ci sciorinò il concetto che Dio è così buono e pieno di misericordia che l'inferno è vuoto perché assenza di Dio!
Stavo per alzarmi e chiedere spiegazioni ma, forse stupidamente, ho resistito a questo impulso e rimandato a un confronto vis a vis dopo la messa, ricordandomi che l'ammonizione fraterna è in primis privata.
Del resto la platea non aveva colto il concetto, sonnecchiante nella messa vespertina del sabato pomeriggio.
Il frate in sagrestia mi confermò il suo concetto e alla mia domanda se anche chi dirige il luogo, l'inferno, non vi fosse mi rispose pacatamente di SÌ!
E allora gli dissi quanto fosse fortunato. "io, e perché?" "Perché la sua vita è molto più facile della mia!"
Scacco matto. E mento sul pavimento del neo qualcosa domenicano.
Che pena però dover affrontare il S Sacrificio con l'orecchio teso e le pulsazioni alte.... Una S Croce anche per noi che dobbiamo offrire a ns Signore.
Sia lodato Gesú Cristo,
Lorenzo Bozzoli