Alcune
perplessità sulla conferenza stampa del Papa del 13 settembre. I Viaggi di
Francesco negli ultimi anni e la loro metamorfosi, nonché il popewashing.
- La
performance del Papa: superficiale e stantia.
- Seconda
volta di un Inviato della stampa cinese sull’aereo del Papa.
- Il format
delle trasferte papali sono logori ed esauriti.
- Il
cosiddetto "giornalismo di riporto" e i vaticanisti di una volta.
Al netto delle domande pilotate, e sempre con l’esclusione di alcune vicende sulle quali non si possono porre quesiti (es. card. Becciu, M. Rupnik, Sinodo d’ottobre …), questa volta la conferenza stampa del Papa (Vatican News) rientrando dal suo 45.mo viaggio all’estero, ha offerto alcuni spunti interessanti per capire meglio, in particolare il modo di ragionare del Pontefice e il come, dopo 11 anni di pontificato e 87 anni di età, affronta questioni importanti e complesse.
Non c'era
sull'aereo un giornalista della Papua Nuova Guinea (Paese troppo povero). C’era
una giornalista italiana ma corrispondente di una testata cattolica cinese
online. Non è la prima volta.
Sono state fatte al Santo Padre diverse domande e
con alcuni giornalisti il Papa ha avuto scambi piuttosto non frequenti, in
particolare con Pei Ting Wong (The Straits Times, Singapore). Lo stesso
direttore della Sala stampa, Matteo Bruni, ha posto a Francesco una domanda
speciale, del tutto inattesa, dicendo: "Santità, la stampa della Papua Nuova Guinea ha seguito con grande
interesse il Suo viaggio, però purtroppo non le è stato possibile avere un
giornalista su questo volo. Allora colgo l’occasione io per chiederLe se c’è
qualcosa che vuole raccontarci della Papua Nuova Guinea, in particolare anche
di Vanimo, che è un posto dove mi sembra che Lei abbia voluto andare
personalmente".
[La risposta del Papa si può leggere nel supplemento
con stralci della conferenza stampa – Google drive].
(Supplemento N° 35/a – Principali domande e risposte del Papa) Google Drive |
Papa Bergoglio evidenzia di ignorare assolutamente
quanto accade in Papua Nuova Guinea nel campo delle miniere sfruttate da
capitali stranieri. La risposta del Pontefice lo rivela in modo clamoroso.
Pochi giorni dopo la visita di Francesco in Papua
Nuova Guinea si sono riaccese le violenze legate allo sfruttamento di miniere
d'oro. La questione non è mai stata toccata dal Pontefice. Media cattolici per scansare
critiche scrivono che il Santo Padre aveva chiesto "la fine della violenza tribale e l'equa distribuzione della ricchezza
derivante dalle risorse naturali". La questione era attualissima tanto
che dopo la partenza di Francesco le violenze sono riprese con oltre 20 morti. (AsiaNews).
Il Pontefice ignorò tutto forse per non
imbarazzare il Governo locale e l’Indonesia che sta dietro allo sfruttamento
delle miniere?
Inviati
speciali di testate cinesi nel volo del Papa
Singolare anche la presenza dell'italiana Stefania
Falasca, giornalista dell'Avvenire, che però ha posto al Pontefice una domanda
per conto di una testata cattolica cinese online (Tianou Zhiku) offrendo a Papa Francesco una "finestra"
per parlare sulla Cina (cosa che si aspettava avrebbe fatto a Singapore), ma
soprattutto – senza un bisogno tattico immediato – per profilare un Paese
modello da ammirare. Nella confusione della risposta, Francesco non distingue
tra popolo e governo, analisi fa sempre con altri Paesi per non mettere sullo
stesso piano il governo e la popolazione. In questo caso Francesco fa
affermazioni incomprensibili o confuse, come per esempio i Il riferimento al
card. Zuppi e il rapporto Cina-Vaticano.
Ad ogni modo la Cina è una dittatura e resta una
dittatura e non ci sono motivi per elogiare una simile situazione. Papa
Francesco, che visse sotto una feroce dittatura (1976 - 1983), non dovrebbe mai
dimenticare una tale realtà. L’errore del Pontefice in questa questione è
quello di credere che per risolvere i rapporti ‘Chiesa cattolica – Governo di
Pechino’ sia necessario e opportuno fare, periodicamente, degli spottoni a
favore della nomenklatura cinese.
Il “santo fedele Popolo di Dio” pellegrino in Cina
è diverso da quello che si vede dalla finestra del Palazzo Apostolico. Se non
si vuole criticare il governo di Pechino siano evitati almeno gli elogi non
richiesti.
Una presenza giornalistica cinese nei viaggi del
Papa non è nuova. Già nel viaggio di Francesco in Iraq, 5 - 8 marzo 2021, tra i
giornalisti accreditati c'era il primo operatore di una testata cinese. Si
trattava di un giornalista italiano (Salvatore Cernuzio), attualmente assunto
presso Vatican News, finanziato direttamente dall'editore di "Tianou
Zhiku" rappresentato in questo ultimo viaggio del Pontefice da Stefania
Falasca. Il sito cinese, che ovviamente opera con l’autorizzazione della cosiddetta
“Chiesa patriottica”, da qualche anno è citato dai media vaticani e
dall’Agenzia Fides.
Viaggi
papali: format esaurito
La performance
di Francesco non è stata fra le migliori e nelle mancanze di approfondimenti si
è evidenziata una sua forte stanchezza. In diversi momenti ha dato l’impressione
di non voler andare oltre per non allungare i tempi nonché smarrito. Nel caso
della domanda di Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group, Indonesia) sugli
investimenti minerari stranieri in Papua Nuova Guinea è palese che il Santo
Padre non aveva afferrato bene la domanda. In altre risposte si può costatare
qualcosa di simile con - in più - una marcata tendenza a divagare, come nella
riposta sulla Cina nella quale si capisce subito che era stata concordata proprio
per avere l’opportunità di elogiare, in modo smisurato e non necessario, la
Cina, evitando però qualsiasi riferimento ai tanti problemi esistenti tra
Pechino e il Vaticano.
Forse c’era la solita ragion di stato: la
probabile firma, fra pochi giorni, dell’Accordo permanente per la nomina dei
vescovi.
Insomma, una conferenza stampa non felice. Le
testate presenti (con circa 70 giornalisti accreditati) non hanno potuto
ricavare un granché. Neanche quanto Papa Francesco ha detto sulle candidature
di Harris e Trump ha avuto un rilievo sostanzioso. Negli USA le parole del Papa
sono state ignorate.
Come è stato già segnalato da esperti in questioni
vaticane, così come il Papa ha dimostrato che occorre riformare l’esercizio del
Papato, ora, ormai dopo 45 viaggi apostolici internazionali, dimostra anche che
il format di queste trasferte - così come lui ha voluto interpretarli - ha
esaurito le sue potenzialità soprattutto perché si sono trasformate in un
appendice o rito, logoro e stanco di papolatria e di popewashing
Il Direttore emerito dell'Osservatore Romano,
Giovanni Maria Vian, su "Domani", lo scorso 31 agosto ha scritto:
"Ma la formula appare ormai ripetitiva – comprese le conferenze stampa
durante il ritorno che finiscono per oscurare mediaticamente i viaggi stessi –
e sembra giunta l’ora di ripensare anche questo modo di esercizio del
papato".
I costi
folli dei viaggi papali, insostenibili da qualche anno per i media deboli e
poveri.
Questi Pellegrinaggi papali all’estero sono
arrivati ad avere costi sempre più insostenibili: migliaia di dollari che
oramai si possono permettere soltanto i vettori stampa mondiali (tipo Agenzie
come per esempio Ap, Afp, Reuters, Ansa, Efe) o alcune testate italiane ma per
ragioni di scambio politico di benevolenza e convenienza con il Vaticano.
Al contempo, gradualmente, sono stati espulsi dal
circuito “viaggi papali” i media più deboli o senza possibilità di spendere
grandi risorse in cambio di poco o niente. Soprattutto dopo il viaggio in Cile
(2018), si è registrata una forte caduta dell’interesse globale per le
trasferte all’estero di Papa Francesco. L’interesse (l’incantesimo) si è
concentrato sostanzialmente sulle conferenze stampa del Pontefice, le quali
presto diventarono un rito ripetitivo.
In non pochi viaggi anche la rappresentanza
linguistica è calata al punto, per esempio, che si sono già registrati viaggi
senza neanche un solo giornalista latinoamericano (nemmeno argentino). Questa questione
dei costi fu motivo di una lettera dei vaticanisti all’allora Sostituto, oggi
card. Becciu. Il problema era delicato e la lettera venne ridimensionata al
punto che alcuni ne negarono l’esistenza, ma la lettera fatta circolare dagli
autori era verissima. L’argomento venne rapidamente seppellito.
D’allora le proteste sono state sempre
riservatissime. Il problema però esiste anche oggi poiché alle testate mandare
un Inviato speciale per conto proprio costerebbe la metà se si usa un circuito
diverso al “volo papale”.
Essere nel volo papale, pagando però alti costi,
dà però alcuni privilegi importantissimi: brevi secondi di incontri con il Papa
sull’aereo, presenza alla conferenza stampa di ritorno e acceso alle sale
stampe allestite dagli Organizzatori e dal Vaticano dove i giornalisti lavorano
a contatto con le “voci” vaticane ufficiali o semi-ufficiali e dove possono
seguire lo svolgersi della visita nella la Tv di stato e, infine, ricevere il
materiale giornalistico.
E perché il
Papa dal 1964 compie “Viaggi apostolici”?
Qualcuno ha parlato, ricordando molte altre
situazioni simili, che spesso le allocuzioni del Papa durante i suoi viaggi
internazionali si adeguano alle esigenze degli anfitrioni (con i cosiddetti
“aggiustamenti ragionevoli”). Così facendo, ormai da tempo, i discorsi del Papa
sono diventati sempre meno profetici e sempre più burocratici. Le denunce di
Francesco sono diventante un ribadire monotono di un elenco di urgenze
socio-politiche o socio-economiche, - tutte giustissime - ma in astratto, senza
indicare per così dire con “nome e cognome”, i responsabili. Non poche volte si
ha l’impressione che l’importante è l’iconografia del Pontefice “progressista”,
il Pontefice “riformatore” ---
Tra i principali responsabili e colpevoli delle
situazioni orrende che il Papa denuncia coraggiosamente ci sono tutte le più
importanti multinazionali che hanno rapporti speciali con lui. Si ricordino al
riguardo almeno due allocuzioni: il discorso del Santo Padre agli Imprenditori
partecipanti al "Fortune-Time Global
Forum" il 3 dicembre 2016. (Discorso) oppure quello dell'11
novembre 2019, al Consiglio per un capitalismo inclusivo (Discorso).
Il medesimo formulario del parlare-genericamente si
ripete negli incontri con la gerarchia cattolica, con i preti, suore e
seminaristi, a maggior ragione con i giovani, che sono quasi sempre l’occasione
per raccontare per l’ennesima volta quelli diventati ormai i cavalli di
battaglia del Pontefice.
La
metamorfosi dei viaggi e il popewashing
La ragione dei viaggi, con parole diverse l'hanno
data e spiegata quattro Papi: Il mandato conferito a Pietro fino alla fine dei
tempi è quello di essere testimone del Cristo risorto per confermare e tenere
uniti i fratelli nella fede (Benedetto XVI, 7 maggio 2005). Questi Viaggi, dal
primo di Paolo VI all'ultimo di Francesco, sono ormai 182.
I Pellegrinaggi del Pontefice non hanno nessun
altro scopo che non sia quello che abbiamo ricordato con parole di Benedetto
XVI, identiche a quelle di san Giovanni Paolo II e Papa san Paolo VI.
Negli ultimi anni però, con Papa Francesco si sta
registrando un qualcosa di particolare, e cioè: all’interno dei viaggi
l’incontro di “Pietro con i suoi fratelli
nella fede” è marginale o secondario e quindi la parte, giusta e necessaria
svolta in quanto doverosa per cortesia diplomatica (nei confronti dello Stato
anfitrione), ha preso il sopravvento mediatico nonché la centralità. E’ così gradualmente
il profilo religioso, eucaristico, si è andato offuscando. Il Papa viaggia e
visita chiese particolari per celebrare l’Eucaristia ed è questa la ragion
d’essere ultima di un pellegrinaggio papale.
In numerose circostanze, seppure il Pontefice sia principalmente
ospite della Chiesa locale - perché Vescovo di Roma, Successore di Pietro – lo
è anche nel contempo del Stato e del Governo. In realtà, oggi, il viaggio papale
sembrerebbe rispondere marcatamente ad un invito statale intorno al quale il
governante (presidente o sovrano) organizza un suo evento, sovente di natura
interreligiosa o pro-pace, per creare così una cornice adeguata all’ospite.
In questo modo, e con questo meccanismo, le classi
dirigenti locali approfittano di trarre beneficio dalla Visita del Papa. Un’operazione
di “popetswashing”.
Tutto bene e corretto, forse con i tempi che
corrono si potrebbe dire anche necessario, ma poi, vengono fuori diverse
domanda critiche che restano senza risposte: quale rilevanza hanno le
dichiarazioni che si firmano tra il Pontefice e i Governanti ma che però
ricorda solo il Papa, come per esempio la Dichiarazione sulla Fratellanza o
quella del Kazakistan? Non si conosce nessun firmatario di queste dichiarazioni
che abbia difeso i cristiani massacrati in Bangladesh, Pakistan, India o
perseguitati in Venezuela e Nicaragua.
Nel sottolineare queste realtà c’è da porsi alcune
domande sulla Dichiarazione Comune tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill,
firmata a Cuba il 12 febbraio 2016, che contiene 4 paragrafi specifici
sull’Ucraina, oggi aggredita dalla Russia di Putin con il consenso entusiasta
del Patriarca ortodosso?
Quanto e come le minoranze cattoliche in questi
Paesi traggano poi benefici per la loro libertà di fede e di culto? Oppure
quanto diminuiscono o ammorbidiscono le restrizioni burocratiche e
amministrative per vivere e praticare la fede cattolica? Quanto e dove sono
aumentati i luoghi di culto per i cattolici in questi Paesi dove il Papa è
stato illustre ospite?
Il
cosiddetto "giornalismo di riporto" e i vaticanisti di una volta
Anche i media al seguito del Papa, progressivamente,
hanno snaturato il proprio lavoro limitandosi, per autocensura o per ostacoli
oggettivi, al ruolo di una cosiddetta "stampa di riporto": prendere,
copiare e incollare, con qualche nota di cronaca per addobbare le circostanze. Gli
stessi titoli si restringono alle frasi papali più eclatanti, progressiste o
polemiche, soprattutto nei confronti dei settori critici di Francesco.
Anche nel caso di questa dimensione si applica il
medesimo formulario che dopo si evidenzia nelle domande poste nelle conferenze
stampe al rientro; eventi rigidamente e severamente regimentati e disciplinati.
Quasi mai una domanda critica, un commento analitico o un racconto al di fuori
del copione.
Ciò succede anche perché i media al seguito informano
sul viaggio, come già detto, sistemati in postazioni fornite dagli
organizzatori del viaggio con connessioni alla rete, telefoni satellitari, PC o
Tablet, computer e altre buone condizioni di lavoro. Questi operatori di norma
non si spostano con il Pontefice. La maggioranza resta nella sala stampa e
sostanzialmente fa il medesimo lavoro che si potrebbe fare seduti a Roma con
una connessione con circuiti Tv internazionali.
I "vaticanisti" di una volta oggi sono
giornalisti di riporto. Hanno sfumato, sempre di più, l'analisi critica, la
lettura giornalistica dei fatti e del linguaggio (del Papa e del Vaticano);
hanno rinunciato al ruolo di ‘interpreti’ in quanto capaci di tradurre al
grande pubblico, come inviati speciali, gli eventi del viaggio i il loro
contesto, la complessità delle sfide, il volto dei popoli visitati …
Insomma, da parecchio tempo, su questi viaggi del
Papa mancano nella grande stampa - con alcune eccezioni illustri - delle vere e
accattivanti narrazioni giornalistiche, dei reportage o interviste di contesto,
di voci plurali dei Paesi visitati, ecc.
Oramai tutto, dall’inizio alla fine, gira attorno
alle allocuzioni del Pontefice proposte con la solita formula: Francesco “ha
detto, ha osservato, ha aggiunto, ha precisato, ha concluso …”.
Questo tipo di giornalismo, che piace molto al
Vaticano, ha fatto e fa un grande male alla leadership pastorale del Vescovo di
Roma.