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mercoledì 7 agosto 2024

Lettera di Francesco sulla letteratura: qualche autore cattolico no?

QUI il documento della Santa Sede:

Questo pontificato ci ha abituato a sentire e leggere spesso, nei discorsi ufficiali, citazioni degli autori più vari, da Borges (citatissimo) a Dostoevskij, da Léon Bloy a Neruda, delineando una biblioteca dai confini geografici e culturali assai (forse troppo) ampi. Una biblioteca che anche nell’ultimo documento chiama a rapporto ben pochi autori cattolici, eccezion fatta per T.S. Eliot e per il cripto-romano C.S. Lewis, mentre le assenze ingombranti non si contano.
Ci pare, salva reverentia, un documento più adatto per la rubrica letteraria de “La Repubblica” che uno sprone all’ecumene cattolico.
Lo scorso 4 agosto, Papa Francesco ha pubblicato una lettera indirizzata alla formazione non solo dei sacerdoti, ma anche “di tutti gli agenti pastorali, come pure di qualsiasi cristiano” riguardante il ruolo della letteratura nella formazione personale.

Se, da un lato, la lettera porta valide intuizioni riguardanti la bontà intrinseca della lettura come esercizio meditativo e di contemplazione (ponendosi in coda ad una lunga schiera di santi e pensatori cristiani che ne hanno promosso e coltivato la pratica) non si sbarazza tuttavia di un rumore di fondo presente fin dalla prima riga, che muove il lettore a chiedersi: ma quale letteratura?

Si può certamente condividere la considerazione del Pontefice riguardo il ritrovare un ritmo lento, una attività che favorisca la riflessione, la lettura come antidoto parziale alla frenesia della modernità che, attraverso la capillarizzazione della comunicazione tecnologica, non lascia spazio né al silenzio né all’ascolto. D’altra parte sembra confondersi tra lettura e letteratura, dove è chiaro che la pratica sana e utile della prima è grandemente influenzata dalla qualità e dalla verità presenti nella seconda. È proprio, cioè, di ogni pratica umana dipendere nel suo risultato, dalla bontà e dai fini a cui essa tende.

Se è vero che l’enorme capacità della letteratura sta nello “svelare gli abissi che abitano l’uomo” e che “In direzione di questi abissi, la letteratura è dunque una “via d’accesso”, che aiuta il pastore a entrare in un fecondo dialogo con la cultura del suo tempo”, va comunque sottolineato come l’accedere a tali abissi non costituisca per tutti, a prescindere, una via prudente di conoscenza, soprattutto se coloro a cui è affidato il compito di mostrare come “la rivelazione, e poi la teologia, li assumono [gli abissi] per dimostrare come Cristo giunge ad attraversarli e a illuminarli”, spesso e volentieri lasciano i fedeli nella confusione di un cattolicesimo verboso e indefinito.

Ancora, se diamo per scontato che la letteratura permetta di entrare nella carne dell’uomo e quindi, auspicabilmente, che ciò permetta una più vera comprensione della carnalità di Cristo, è altrettanto vero che, di fronte alla carne, l’uomo ben presto dimentica quella parte spirituale che lo può rendere santo.

L’accostamento rahneriano tra sacerdote e poeta sul finale del documento, calcando ancora una volta sul concetto di ascolto e di condivisione emotiva che accomunerebbe le due figure, è un refrain già sentito, nel quale la suggestione dell’immagine rischia di oscurare il suo fondamento oggettivo: ovvero che se il sacerdote e il poeta, dunque la preghiera e la poesia, trovano un punto di congiunzione, esso sta nel servizio che entrambi prestano alla verità.

Il mistico italiano Don Divo Barsotti spese grande parte della sua vita coltivando la lettura e lo studio della letteratura, le sue riflessioni su Leopardi e Dostoevskij restano ancora oggi contributi importanti della critica spirituale di quegli autori. Ma più in generale emerge dalle sue riflessioni uno sguardo attento e veramente efficace sulla letteratura.

Arriverà a sostenere che “ogni letteratura è sacra”, e ancora “che ogni poesia se è parola vera dell’uomo è anche parola di Dio” poiché “egli [l’uomo] è sempre testimone di Dio, anche quando lo nega”. Questo è il “dramma di tutta la letteratura”: facendoci conoscere l’uomo ad immagine di Dio, ci fa conoscere in qualche modo anche Dio”[1].

La letteratura ha sì il potere di essere un lungo discorso umano che parte dall’alba dei tempi e giunge fino ad oggi, che consente agli uomini di poter dialogare fra loro lontani nel tempo e nello spazio, ma del resto il suo potere rivelatore risulta annichilito ogni qualvolta l’uomo e la società di cui fa parte tendono a mistificare il reale.

È certo che San Paolo potesse affidarsi “imprudentemente” alla citazione di due antichi poeti pagani come Arato di Silo ed Epimenide [2] e lo stesso si potrebbe dire per le grandiose pagine pedagogiche della Filotea di San Francesco di Sales che a piene mani attingono da una letteratura ed una aneddotica classica regalando al lettore accostamenti di senso ed immagini degni di un grande scrittore. Se ciò è stato possibile ed ha prodotto frutti è perché due grandi santi, cioè due uomini di fede e dottrina profonda si sono accostati ad autori che volente o nolente non potevano sottrarsi alla verità del reale, figli come erano di una cultura pagana imperfetta ma ben più vicina al senso delle cose rispetto alla modernità.

Oggi risulta sempre più difficile pensare che la letteratura possa essere strumento di conoscenza dell’uomo e quindi di Dio in seconda battuta. Dove l’uomo è sfigurato difficile è cogliere i tratti della sua bellezza, difficile è trovare calore tra le rovine di una civiltà e assai faticoso è trovare la verità ben nascosta tra le menzogne.

Solo uno sguardo veicolato dalla Fede riesce a sanare la ferita e fare luce sull’oscurità del Padrone del Mondo. Solo una mente illuminata dallo sguardo di Dio riesce davvero a cogliere le grida di aiuto che emergono dalla letteratura di ogni tempo.

Per i sacerdoti e i cristiani dovrebbe essere dunque un dovere e una priorità quello di guarire la letteratura prima ancora di cercare guarigione attraverso di essa.

Ben venga la letteratura, ben vengano nuovi lettori nei seminari e nelle case dei cattolici, si spalanchino le porte delle biblioteche e si lascino le librerie aperte fino a tarda sera, si lasci che tutti ritrovino il denso piacere della lettura, ma soprattutto si insegni agli intrepidi naviganti a cercare i fari nella notte, e non i fuochi fatui di anime morte.

Costantino Benassi

[1] Appunti, La presenza donata (12 settembre 1979), Nel Figlio al Padre (26 ottobre 1983)

[2] At 17,28

1 commento:

  1. In relazione ad alcune perplessità sul cattolicesimo di Eliot:

    https://www.gresham.ac.uk/sites/default/files/2018-06-13_LordHarries_TSEliot-T.pdf

    La critica considera Eliot più frequentemente un cattolico che un anglicano in senso stretto. Questo si spiega in relazione alla sua sensibilità, alla sua visione del mondo, alla sua mentalità e nell'orientamento del suo cuore, sebbene non pare aver abbracciato almeno ufficialmente la Chiesa di Roma.
    Eliot dopo la sua conversione fu sempre sbilanciato verso Roma, la sua tradizione e la filosofia tomista.

    Possiamo collocarlo a metà strada tra un completo anglicano come C.S. Lewis e un cattolico romano “certo” come G. K. Chesterton.
    Definirlo un autore “cattolico” non mi pare sbagliato.

    https://www.ncregister.com/blog/t-s-eliot-and-his-age?amp

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