Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 1066 pubblicata da Paix Liturgique il 16 luglio, in cui il prof. Paolo Pasqualucci, ordinario di Filosofia del diritto, analizza la continuità tra la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963) e la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes (16 luglio 2021).
In particolare l’autore mette in luce come la nuova lex orandi voluta dal Concilio Vaticano II abbia creato una nuova lex credendi, attraverso una nuova concezione di Chiesa già condannata dal venerabile Papa Pio XII.
L.V.
L’urgenza di un vero dibattito sul Concilio Vaticano II del prof. Paolo Pasqualucci
Il prof. Paolo Pasqualucci è un filosofo del diritto e delle idee politiche. È stato professore di Filosofia del diritto all’Università degli Studi di Perugia. Ha insegnato anche nelle università di Roma, Napoli e Teramo sulla Storia delle dottrine politiche.
- in filosofia del diritto: Rousseau e Kant (due volumi, Guiffrè, 1974 e 1976) e Commento al Levienthan (Margiacchi, 1994);
- in metafisica: Introduzione alla metafisica dell’uno (Antonio Pellicani, 1996) e Metafisica del Soggetto (Fondazione G. Capograssi, Roma 2010 e 2013);
- in teologia e filosofia della religione, concentrandosi sull’analisi critica del Concilio Vaticano II, dal punto di vista della Tradizione della Chiesa:
- attraverso diversi libri: Giovanni XXIII e il Concilio Ecumenico Vaticano II (Ichthys, 2008), L’ambigua cristologia della redenzione universale (Ichthys, 2009) e Il Concilio parallelo (Fede e Cultura, 2014);
- in convegni: Pour une critique de l’herméneutique du point de vue philosophique [Per una critica dell’ermeneutica da un punto di vista filosofico] (8º congresso teologico del Courrier de Rome - Si Si No No, sul tema L’Église aujourd’hui: continuité ou rupture? [La Chiesa oggi: continuità o rottura?], 2009);
- ma anche in numerosi articoli: Pour la recherche des erreurs de Vatican II (Le Sel de la Terre, n. 43 Inverno 2002-2003), L’hérésie luthérienne du Pape François (La Porte Latine, 29 ottobre 2017) e Jean XXIII et le millénarisme (Catholica, 1 gennaio 2009).
Per questo abbiamo ritenuto opportuno chiedere il parere di questo eminente specialista, che conosce a fondo l’attuale situazione della Chiesa.
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L’attuale gerarchia cattolica, a partire dal Papa, fa spesso riferimento al Concilio Vaticano II (1962-1965) come base per le «riforme» che continua a realizzare nella costituzione della Chiesa (con la sinodalità), nella dottrina (con il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune di Abu Dhabi), nella morale cristiana (con inedite concessioni – liturgiche e non – alle coppie irregolari di ogni tipo) e per giustificare la sua costante lotta contro il rito antico della Santa Messa, detto anche «Santa Messa tradizionale», di cui ovviamente vuole la totale scomparsa, viste le numerose restrizioni e proibizioni oggi applicate alla sua celebrazione.
Infatti, la presa di possesso di questa Santa Messa da parte di papa Francesco, con la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 del 16 luglio 2021, viene giustificata invocando «i decreti del Concilio Vaticano II»: «I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano» (TC, art. 1).
Come ha spiegato in un’intervista pubblicata il 24 febbraio 2022 dal settimanale cattolico inglese The Tablet [QUI: N.d.T.] (ripresa da Jeanne Smits sul suo blog il 26 febbraio 2022) [QUI: N.d.T.], il card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, ha affermato che la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes intendeva attuare la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium.
L’intenzione di papa Francesco era quindi quella di «promuovere l’unità» nella Chiesa, ponendo fine all’idea che non ci fossero due Chiese diverse con due liturgie diverse. Non si trattava di due forme diverse («ordinaria» e «straordinaria») dello stesso rito, secondo la tesi sviluppata da Papa Benedetto XVI, ma di due riti diversi emanati da due Chiese diverse, cioè due riti che esprimevano due diverse leges credendi.
Questa intenzione rendeva quindi impossibile la loro coesistenza. Ma dobbiamo chiederci: come si è potuti arrivare a una situazione del genere? Una situazione che implica la proibizione dell’antico rito romano della Messa, celebrato per molti secoli dai Papi come un rito il cui Canone, secondo un’opinione da loro piamente sostenuta, risaliva ai tempi apostolici, addirittura a San Pietro stesso? La Santa Messa cattolica per eccellenza, perfetta espressione della lex credendi, era ora vietata proprio a causa delle riforme promosse da un Concilio ecumenico della Santa Chiesa?
Una situazione a dir poco paradossale e, a ben vedere, insostenibile, che già di per sé spiega perché dal Concilio Vaticano II in poi il Cattolicesimo si sia dibattuto in una crisi spaventosa: alla base di tutta l’operazione di riforma liturgica c’era proprio il Concilio stesso che, diceva espressamente il card. Arthur Roche, aveva creato una nuova concezione della Chiesa e quindi una nuova lex credendi.
Era quindi necessario trarre le dovute conclusioni in merito alla lex orandi. Ma qual era la nuova concezione della Chiesa sviluppata dal Concilio Vaticano II? Come poteva un Concilio ecumenico puramente pastorale, come si era definito il Concilio Vaticano II, creare una nuova concezione della Chiesa, non conforme alla Tradizione perché espressamente «aggiornata» secondo il modo di pensare del secolo?
Qual è dunque, secondo il card. Arthur Roche, il nuovo modo di concepire la Chiesa sviluppato dal Concilio Vaticano II? Spiega che la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (che non definisce alcun dogma né condanna alcun errore, ed è chiamata «dogmatica» per qualche motivo), si è allontanata dal modello della Chiesa come «società perfetta» (un concetto basato sulla metafisica aristotelico-tomista) verso la nozione scritturale della Chiesa come «popolo di Dio» in movimento. Nel primo modello, dice il card. Arthur Roche, era il sacerdote a «rappresentare le intenzioni del popolo» e a trasmetterle a Dio nella liturgia. Il Concilio Vaticano II ha cambiato le cose. «Grazie alla comprensione del sacerdozio di tutti i battezzati, non è più solo il sacerdote a celebrare l’Eucaristia, ma tutti i battezzati che celebrano con lui».
Jeanne Smit commenta: «È dunque la concezione del sacerdozio e del sacrificio eucaristico che è in discussione nella prospettiva della lettera apostolica in forma di “motu proprio” Traditionis custodes, e l’obiettivo primario non è quello di evidenziare la “continuità” del Concilio Vaticano II rispetto alla Tradizione della Chiesa, ma ciò che il Concilio Vaticano II ha “cambiato”». La questione è quindi dottrinale. Il rifiuto del modello di «società perfetta» per la Chiesa, modello definito in passato da eminenti canonisti come, ad esempio, il card. Alfredo Ottaviani, Prefetto del Sant’Uffizio fino al Concilio Vaticano II compreso, implica la rinuncia all’idea di una Chiesa gerarchicamente e organicamente strutturata, secondo norme giuridiche e sulla base di valori ben definiti di origine soprannaturale. La Chiesa è diventata invece un’entità fluida e indefinibile (una «comunione», una «sinodalità», un «popolo [di Dio]»), in continuo mutamento e quindi aperta a ogni tipo di trasformazione e ibridazione: lo dimostra ampiamente la fallimentare esperienza post-conciliare, che dura ormai da più di sessant’anni, con una Chiesa «visibile» ormai in via di estinzione sociale in molti Paesi a causa non solo dell’inaridimento delle vocazioni, ma anche del disinteresse dei fedeli nei suoi confronti e della sua nuova liturgia.
Per questo è urgente un dibattito aperto e una valutazione obiettiva del Concilio Vaticano II, se vogliamo che tutti vedano le cose con maggiore chiarezza e che si ponga fine a tutto questo fumo negli occhi.
In quanto battezzati, i membri del «popolo di Dio» (cioè i fedeli in quanto membri del Corpo mistico di Cristo) sono anche sacerdoti, ma in senso del tutto spirituale, come il venerabile Papa Pio XII ha chiarito nella lettera enciclica Mediator Dei sulla sacra liturgia del 20 novembre 1947. D’altra parte, il Concilio Vaticano II li esalta come «popolo di Dio» dotato di effettivi poteri sacerdotali, modificando il senso del famoso elogio di San Pietro ai cristiani come «popolo di Dio» e «sacerdozio regale», al posto dei Giudei che negavano il Messia ed erano quindi indegni dei loro titoli d’onore (1 Pt 2, 5; 9-10). Da questa glorificazione simbolica, il card. Arthur Roche traeva l’indebita conseguenza che i battezzati, in quanto «sacerdoti», partecipassero alla celebrazione eucaristica simpliciter, «concelebrando» con l’officiante, e non più in posizione subordinata, «in desiderio», in voto, solo e diversa ratione, a diverso titolo, come aveva specificato il venerabile Papa Pio XII nella lettera enciclica Mediator Dei.
Le parole del card. Arthur Roche sono inequivocabili: i battezzati celebrano allo stesso modo dei sacerdoti. E questa innovazione, di enorme e sovversivo significato dottrinale, è stata introdotta dal Concilio Vaticano II, ci assicurano le massime autorità ecclesiastiche, fornendoci così l’interpretazione autentica del Concilio Vaticano II su questo tema vitale e delicato.
Ma dove dice il Concilio Vaticano II che «tutti i battezzati celebrano con lui», con l’officiante? Lo dice negli articoli 10 e 11 della costituzione dogmatica Lumen gentium e ancor più chiaramente nell’articolo 48 della costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, citando con una significativa modifica il passo della lettera enciclica Mediator Dei. La costituzione liturgia Sacrosanctum Concilium n. 48 afferma che: «offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi» [«sed etiam una cum ipso offerentes»]. La lettera enciclica Mediator Dei in realtà diceva: «essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui» [«sed etiam una cum ipso quodammodo Sacrificium offerunt»]. Il passo sembra identico, ma eliminando l’avverbio «in certo modo», cambia significato. Infatti, secondo la dottrina abituale, l’offerta eucaristica dei fedeli può avvenire una cum, «insieme» a quella del sacerdote, ma solo «in certo modo» insieme, poiché essi, non essendo sacerdoti e quindi non avendo il potere di consacrare le sacre specie, offrono solo «in desiderio», in voto, spiritualmente e simbolicamente – offrono i loro voti di espiazione, impetrazione, ringraziamento e lode. L’avverbio «in certo modo» (quodammodo) è stato spiegato più avanti nella lettera enciclica Mediator Dei, che illustra con precisione in che senso l’offerta dei fedeli debba essere intesa solo come «in forma di voto». Il Concilio Vaticano II ha invece abbandonato, a parte l’avverbio, tutte le chiarissime spiegazioni del venerabile Papa Pio XII sul carattere puramente spirituale e non sacramentale dell’offerta eucaristica dei fedeli.
La variazione dottrinale era già penetrata nel magistero ufficiale della Chiesa prima della fine del Concilio Vaticano II. Pochi mesi prima della sua chiusura, San Paolo VI, di fronte al crescente disordine liturgico generale e alle interpretazioni eretiche del significato della transustanziazione che cominciavano a circolare (il famoso teologo belga Edward Cornelis Florentius Alfonsus Schillebeeckx, seguace della fenomenologia, si prodigava in elogi per la «transignificazione», riducendo il cambiamento a un cambiamento di significato), dovette promulgare la lettera enciclica Mysterium fidei sulla dottrina e il culto della Santissima Eucarestia, del 3 settembre 1965. Nella prefazione scrisse: «Difatti i Padri del Concilio [Vaticano II], trattando della restaurazione della Sacra Liturgia [de instauranda Sacra Liturgia agentes], per la loro sollecitudine a favore della Chiesa universale niente hanno avuto più a cuore che esortare i fedeli affinché con integra fede e somma pietà partecipino attivamente alla celebrazione di questo Sacrosanto Mistero, offrendolo unitamente al sacerdote [una cum sacerdote offerrent] come sacrificio a Dio per la salvezza propria e di tutto il mondo e nutrendosi di esso come spirituale alimento» (MF, n. 2).
Grazie al Concilio Vaticano II, quello che era un «capzioso errore» per la lettera enciclica Mediator Dei del venerabile Papa Pio XII era incredibilmente diventato una dottrina ufficiale della Chiesa: una falsa dottrina ribadita oggi dal card. Arthur Roche, che sostiene di pensare e agire all’unisono con papa Francesco.
se l'emerito Professore, rifiuta il Concilio Vaticano II si mette fuori dalla comunione ecclesiale. Nulla salus sine ecclesia cum Petro et sub Petro.
RispondiEliminaIo questa interpretazione degli articolo 10 e 11 di Lumen Gentium e 48 di Sacrosanctum Concilium, non la leggo né nel testo latino né nel stato spagnolo.
RispondiEliminaConcilio pastorale NON dogmatico.
RispondiEliminaPastorale quanto si vuole, ma l'autorità del Concilio, rafforzata dal Santo Padre, vale molto più di un blog
RispondiElimina...non capisco buona parte del mondo "tradizionalista" (di cui faccio parte) che parla in continuazione di "divieto" della Messa antica "quasi" come se questa gente davvero lo desiderasse...della serie: "tanto tuonò che piovve!"...e invece, a dispetto di tutto e tutti, il sole continua a splendere nel cielo terso e non è (ancora) arrivato nessun "tragico" divieto...! AVANTI...!!!
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