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giovedì 25 luglio 2024

Dante Alighieri, nostro padre – Intervista a Marcello Veneziani

Il grande nostro Maestro Dante Alighieri.
Luigi C.

Mauro Faverzani , Schola Palatina, 6 Dicembre 2023

Ha cercato e ritrovato la personalità di Dante Alighieri e la sua concezione del mondo, evidenziandone i temi a lui cari quali l’amore, la Patria, la sapienza, la lingua e la politica: Marcello Veneziani, 66 anni, noto giornalista e scrittore, propone nel suo libro Dante, nostro padre, uscito l’anno scorso, un’antologia critica delle migliori pagine in prosa scritte dal grande autore fiorentino. Che, a settecento anni dalla sua morte, ha ancora molto da dire al mondo politico, anche contemporaneo, a quello culturale ed alla Chiesa.

Per capire cosa, esattamente, abbiamo intervistato Marcello Veneziani.

Dante è universale, si rivolge all’uomo in rapporto col divino e non a singoli mondi, ambiti o categorie. Ai politici contemporanei insegna l’onore, la fierezza, la coerenza, categorie del tutto obsolete nel nostro tempo e forse in ogni tempo. Insegna che non esiste potere senza carisma, non esiste dominio benefico che non abbia una legittimazione sacra e, per amore delle proprie convinzioni, idee e scelte, si è disposti anche a percorrere la via dell’esilio. Alla cultura insegna che il coraggio delle proprie idee vale almeno quanto le idee stesse, anzi quel che si è disposti a rischiare mostra la grandezza e lo spessore non solo di chi le professa ma a volte di quel che si professa. E insegna che “l’impegno civile” ha senso se è posto a guardia di una visione del mondo, di un orizzonte trascendente, di qualcosa che vada ben oltre l’umano, lo storico e il sociale. Alla Chiesa, infine, Dante ricorda che religioso non coincide con clericale, la fede non è pura sottomissione ad un potere e che la legittimazione spirituale della potestas politica, nella forma più alta dell’Impero non deriva dalla Chiesa, ma direttamente da Dio.

E cos’ha da dire, in generale, Dante all’uomo contemporaneo?

Non ho mai amato la riduzione dei grandi classici, che sfidano ogni tempo, a quel che dicono ai contemporanei. Quel che dice Dante oggi lo dice ai suoi e lo dice nei secoli. La sostanza del suo dire, poetare e pensare non è affidata ad una generazione, ad un momento storico, ad un tempo anziché ad un altro. Posta questa premessa, Dante apre al nostro oggi, chiuso nella dimensione piccina e narcisistica del presente, la grandezza di altri scenari, altre appartenenze, che risalgono all’antico, al passato, al futuro, alla profezia, all’eterno. Dante ci libera, per dirla con un poeta dantesco come Eliot, dal «provincialismo del nostro tempo». E ci riporta a considerare la dimensione spirituale della nostra vita, pur incarnata nel reale. Ci apre alla potenza dei simboli e delle allegorie, alle immagini sacre e al ruolo liturgico della parola. Dante insegna a liberarci dal feticismo dell’attualità e ad intraprendere un cammino, che ci libera dai pregiudizi del nostro presente e dalle sue schiavitù utilitaristiche, economicistiche, puramente tecniche. La grandezza dei classici del resto è quella di portarci oltre l’attualità, le sue miserie e i suoi ristretti orizzonti.

Chi fu realmente Dante Alighieri? Quale la sua personalità?

Di Dante, alla fine, sappiamo poco e le ampie biografie a lui dedicate ruotano intorno a pochi fatti conosciuti, molte congetture e molta descrizione del suo tempo, delle circostanze storiche che accompagnano la sua vita. E intrecciano i poveri elementi biografici di cui disponiamo con la sua ricca produzione letteraria, cercando così di ricavare l’uomo dall’opera. La personalità di Dante, invece, traspare da alcuni suoi giudizi, da pochi fatti e da scarni giudizi di contemporanei come spiccata, forte, orgogliosa e polemica, ma capace anche d’ironia beffarda e sarcasmo, soprattutto in gioventù. Con uno spiccato senso dell’amicizia e delle affinità elettive. Dante fu un carattere spigoloso, come il suo volto, un temperamento molto fiero e orgoglioso. Villani lo descrive come un caratteraccio presuntuoso e, conoscendo la parabola del suo lungo esilio, gli scontri avuti in vita e i giudizi taglienti su molti suoi contemporanei, non abbiamo difficoltà a crederlo. Sarà vero il suo carattere «isdegnoso» e litigioso, ma a patto di considerare che chi ha carattere di solito è accusato di averlo brutto; e, se Dante fu molto orgoglioso e presuntuoso, con un’altissima considerazione di sé, forse non aveva tutti i torti…

Nel titolo del Suo libro Lei definisce Dante «nostro padre»: in che senso «padre»?

Dante è nostro padre per due motivi intrecciati. Il primo, storico e terreno, indica il ruolo di fondatore che Dante ha avuto nei confronti dell’Italia a cui ha dato una lingua, un carattere e una missione, riconoscendole per padre l’impero romano e per madre la civiltà cristiana. Sulla linea dei classici, tra appelli accorati, esortazioni e invocazioni ai suoi contemporanei, Dante fonda l’Italia come nazione culturale e letteraria, prima che politica; fondata cioè sulla civiltà, sulla lingua, sulla geografia poetica e non su uno Stato, una dinastia, un’impresa militare, come è accaduto alle altre nazioni. Ma Dante è nostro padre anche in senso spirituale, perché ci conduce lungo un itinerario di formazione e trasformazione spirituale; leggere Dante significa trasformarsi, non essere più sé stessi, aprirsi ad una dimensione profetica, escatologica e metafisica, fare i conti con la propria vita in relazione alla propria morte e alla propria condotta. Come un vero Pater, Dante ci porta a visitare i cieli e gli abissi, per indicarci un cammino di salvezza.

Che ruolo ha, in Dante, la dimensione dell’emozione?

Emozionare è un leit motiv dei nostri tempi e lo si applica a tutto, anche nella forma degli emoticon o in relazione ad un prodotto, ad un’esperienza di vita, ad una canzone. Tutto deve emozionare… Ma nel caso dantesco si può parlare in senso etimologico della sua capacità di emozionare: genera turbamento dell’anima e del cuore, fa rifluire il sangue nelle vene. La bellezza dei suoi versi, lo spalancarsi audace delle sue visioni, la potenza della sua parola e la capacità sintetica di condensare in un’espressione un modo di essere, una teoria, una complessa situazione, uno stato psicologico intricato, inducono all’emozione. Dante parla al nostro sangue, al nostro cuore e alla nostra mente. E va letto con questa disponibilità a lasciarsi sorprendere e sconvolgere, non in modo accademico e scolastico. Questa è la ragione per cui nel mio libro parlo della prima esperienza deludente di Dante a scuola. Un Dante banalizzato, ridotto a formule stereotipate o, peggio, costretto ad attualizzarsi per parlare “ai giovani d’oggi” allontana da lui; io scoprii Dante fuori dalla scuola, all’insaputa dei docenti, al mare, leggendolo e gustandolo, senza la coazione a ripetere e la somministrazione obbligata in dosi scolastiche. Fu un’altra cosa. Quello fu il Dante che ti può emozionare, anzi meglio, che t’innamora.

Una riscoperta, che varrebbe davvero la pena tentare…