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martedì 25 giugno 2024

Prosegue il dibattito col Prof. Grillo, tra latinorum e grilli parlanti

Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, disse: "[..] Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!" (At. 5, 34-39)

 

Il Prof. Andrea GRILLO, inveterato ed influente avversario del rito antico, ci ha fatto cortesemente avere un addendum (già apparso nel suo blog personale e che trovate riportato qui in fondo) all'intervista che ci aveva concesso e che ha trovato molta eco anche internazionale (QUI in inglese, QUI in tedesco).

Lo ringraziamo dunque per l’opportunità del dibattito, un’esperienza sempre arricchente che consente o di rivedere le proprie convinzioni, quando la critica appare fondata, oppure di confermarle con maggiore discernimento. Apprezziamo inoltre nel Prof. Grillo la brutale franchezza degli argomenti con cui, senza moine clericali, motiva le sue idee sul tradizionalismo, che si possono riassumere nel comandamento dei mitici Dalek del Doctor Who: Exterminate, Annihilate, Destroy!

Questa è quindi la nostra replica 'redazionale' alle sue affermazioni e, per seguire l’insegnamento di S. Giovanni XXIII, vogliamo prima cercare le cose che ci uniscono, anziché quelle che dividono (cosa non facile, con la visione ecclesiale del Prof. Grillo); partiamo dunque dalle sue ultime considerazioni che pubblichiamo di seguito e che, sorprendentemente, ci trovano d'accordo su un’osservazione di partenza.

Ebbene: anche se il nuovo post accusa noi di messainlatino di avere un “programma non semplicemente “liturgico”, ma “ecclesiale” di traslocazione della tradizione in un museo”, aggiunge poi: “C’è però un vantaggio che oggi il latino guadagna obiettivamente e che ci deve far pensare. Il latino, proprio perché fuori uso comune, e perciò non chiaro, non limpido, o forse oscuro o addirittura, incomprensibile per molti di quelli che lo domandano o lo pretendono, anche con violenza, proiettando sulla “messainlatino” tutta la loro domanda di salvezza, lascia però il resto della percezione umana molto più attento”.

Inaspettatamente, anche il Prof. Grillo scopre che la liturgia vernacolare, con la sua pretesa di farsi interamente comprendere, in realtà non trasmette bene il messaggio: ossia, lo banalizza e lascia pensare di averlo inteso, mentre esso resta ad un livello superficiale e poco interiorizzato. Una statistica apparsa in Francia alcuni anni fa prova l'assunto: la fede nella Presenza Reale di Gesù nell'Eucarestia è più diffusa tra quelli che si dicono cattolici non praticanti e meno tra quelli che

invece a Messa ci vanno. Ossia: sentire i tre usuali predicozzi della nuova Messa (tipicamente all'inizio, all'omelia vera e propria e all'allocuzione finale prima del liberatorio e ormai liturgizzato 'buona domenica e buona settimana a tutti'), così come ascoltare la preghiera eucaristica a voce alta e tutta in lingua corrente, più che trasmettere il messaggio essenziale della Messa, lo offusca nella mente dei (pochi) praticanti francesi.

Il latino può essere considerato un orpello (Grillo lo associa alle cappe magne…), roba da esteti decadenti ed estenuati, e lo stesso si può dire del magnifico tesoro armonico che la millenaria musica occidentale ha creato sui testi latini, da Guido d’Arezzo in avanti. Ma, ecco, lo stesso Prof. Grillo riconosce a sorpresa che senza il latino alla nuova Messa manca qualcosa. Noi che, pur non avendo cattedre a Santa Giustina, abbiamo la presunzione di capirne sul punto più di lui (tipica presunzione degl’ignoranti, quella fondata sul semplice buon senso), osserviamo che ci sarà un motivo se pressoché tutte le religioni del mondo utilizzano lingue morte nei loro riti: l’arabico classico per gli islamici, lo slavonico per gli ortodossi est-europei, il greco antico per i Greci, il copto per i monofisiti egiziani, il geez per gli Etiopi, il sanscrito per buddisti e indù, perfino l’ebraico per gli Ebrei (l’ebraico è ‘risorto’ solo nel Novecento per dare un idioma nazionale al neonato Stato di Israele, ma era lingua morta già ai tempi di Nostro Signore: pure Lui, che parlava aramaico, in sinagoga e nel Tempio ricorreva ad una lingua da museo). E perfino il nostro latino è diventato lingua sacra solo quando cominciava a ‘morire’, sul finire dell’Impero d'Occidente: i primi cristiani a Roma si ostinavano, a quanto pare, a pregare in greco.

Utilizzare nel culto un registro espressivo nobile ed aulico, magari oscuro o poco compreso al primo acchito, produce, per paradosso solo apparente, un più incisivo effetto mistagogico: obbliga cioè, anzi induce e incuriosisce, verso un maggiore sforzo di comprensione e di approfondimento. Invece usare la stessa lingua con cui si chiede a tavola di passarci il sale o si discorre di sport, ci illude che non ci sia null’altro da capire di quel che plana superficialmente nelle nostre orecchie distratte.

Ma se il Prof. Grillo riconosce che senza il latino ‘manca qualcosa’ alla Messa, il suo post desinit in piscem, ossia finisce per proporre un rimedio che è pura fuffa: “si alimenteranno ancora le domande scomposte e confuse di “ritorno al passato”, finché non si darà ai nuovi riti la figura personale ed ecclesiale, individuale e comunitaria, di iniziazioni alla preghiera, come linguaggio primordiale, di iniziazione all’ascolto della parola, che rivela e converte, e di iniziazione all’incontro con ogni altro, per scoprirne e onorarne la infinita dignità”.

Sfidiamo chiunque a spiegarci che cosa significhi questa “figura personale ed ecclesiale, individuale e comunitaria, di iniziazioni alla preghiera” e questa “iniziazione all’ascolto con ogni altro per scoprirne e onorarne la infinita dignità” (=c’entrano qualcosa sul punto migranti, accoglienza, periferie esistenziali o altri triti mantra del più zelante bergoglismo?). Ma dietro l’aria fritta si intuisce un programma assai più pericoloso, ossia il solito impeto creativo del liturgista engagé e un po' narcisista che dal nulla (e non da uno sviluppo organico, popolare e graduale), tira fuori una simbologia che parla solo a chi la crea, non alla comunità: il Nostro sembra sostenere che ci si debba inventare di sana pianta qualcosa di ancor più eversivo e creativo nella nuova Messa per toccare, come dice lui,‘tutti i registri non verbali’ rimasti orfani del latino. Basterebbe restaurare quest’ultimo, si dirà: ma anathema sit!

Danze, pantomime, bonghi e cartelloni, sperimentati negli ultimi decenni, non sono evidentemente bastati a supplire alla perdita del latino. Forse qualche liturgista, seguendo l’indicazione del Prof. Grillo, suggerirà un giorno di titillare quei ‘registri non verbali’ con impulsi olfattivi (incenso escluso, naturalmente, perché anticonciliare) o perfino tattili (eccettuati gli inginocchiamenti, retaggio passatista) o, chissà, con visori 3D e virtual reality...

Ma accantoniamo ora la questione del latino perché, per quanto importante, è solo un aspetto del problema essenziale, che è la querelle sulla perdurante legittimità canonica della Messa di sempre. Gli argomenti contrari svolti dal Prof. Grillo nella sua intervista si possono riassumere in questi termini:

  • un’unica forma rituale è condizione necessaria per la comunione con Roma; i singoli riti locali possono forse giustificarsi appunto perché locali e particolari, ma non così il vetus ordo che ha pretese universalistiche tanto quanto il novus.

  • La presenza e vitalità dei gruppi tradizionali è irrilevante, trattandosi di nulla più di una setta.

  • I frutti negativi della riforma liturgica sono di scarsa significanza (“ragionate solo di numeri”) e magari transitori (“la ‘carestia di seminaristi’ e ‘fuga dei giovani’ non è solo un dato negativo: è il segno di un travaglio necessario all’intera Chiesa”); in ogni caso collegare tali effetti con il Concilio è un post hoc ergo propter hoc, perché le cause della crisi sono ben antecedenti.

  • Le “cappe magne” o le “lingue morte” rafforzano solo forme di fondamentalismo e di intransigentismo”.

  • La frase di Benedetto XVI “ciò che è stato sacro per le generazioni passate, non può non essere sacro anche per quelle attuali” è un principio errato, che viene “non dalla teologia, ma dalla emozione nostalgica verso il passato”

Queste affermazioni ci colpiscono non tanto per la loro spietatezza ma, non ce ne voglia il nostro illustre Contraddittore, per la loro povertà argomentativa e per l’inconsistenza logica.

Iniziamo da quest’ultimo punto: negare validità all’affermazione di puro buon senso di Ratzinger, secondo cui non si può vietare oggi quel ch’era sacro ieri, è una fallacia logica perché lede il principio di non contraddizione. Il che è esiziale per un’istituzione, la Chiesa, che non ha (più) i mezzi per costringere, ma deve invece persuadere per poter essere creduta. Come osservava appunto Ratzinger nella sua autobiografia, come potrebbe la Chiesa convincermi della bontà e veridicità di quanto oggi afferma, dopo avere ripudiato quanto propugnava ieri? Quel che dice oggi, infatti, potrebbe non valere più domani. La liturgia (purtroppo per Grillo che al momento avrebbe l’orecchio del Legislatore) non può soggiacere al positivismo giuridico, secondo cui conta solo il comando della legge attualmente in vigore, pur se contrario a regole di natura di perenne e universale validità: e questa osservazione antilegalistica lasciatevela fare proprio da un aderente professionale al ‘club di avvocati e notai’, come ci sfotte Grillo (touché).

Infatti, per la nota correlazione tra la liturgia (lex orandi) e fede (lex credendi), vietare, anzi perfino svilire la Messa celebrata dalla Chiesa d’Occidente e dai suoi Papi per secoli se non millenni, non è molto diverso dal negare la validità di un dogma; è un po’ come revocare la definizione dell’Immacolata Concezione o il divieto, espressamente definito infallibile da S. Giovanni Paolo II, di ordinazione femminile. Contraddicendo il passato, si inficia anche tutto quanto si pretende di insegnare nel presente e, per dirla chiara, si sega il tronco sul cui ramo si è costruito il nido.

Del pari è contraddittorio sostenere, da un lato, che sarebbe meglio “lavorare ‘su un unico tavolo’, perché tutti potessero contribuire ad arricchire ‘l’unica forma rituale vigente’” ma subito dopo aggiungere, sempre in critica a Benedetto XVI, che “La scommessa di un miglioramento reciproco tra NO e VO è stata una strategia e una teologia del tutto inadeguata, alimentata da una astrattezza ideologica”. Ma allora, da dove dovrebbe mai venire quel lavoro di arricchimento alla forma rituale vigente? E perché mai il programma ratzingeriano di reciproco arricchimento tra i due riti sarebbe un’astrattezza ideologica? E’ infatti ben noto che i sacerdoti che hanno sperimentato l’antico rito trasfondono, anche nel nuovo, un’accuratezza ed un’attenzione ai gesti rituali purtroppo non più comuni: e questa non è 'astrattezza ideologica', è concretezza pratica. Se c’è qui un ideologo che ragiona ‘di pancia’ e per irrazionale amore delle proprie idee, senza curarsi dei fatti e senza alcun suggerimento concreto che vada oltre divieti e persecuzioni, quello non è certo Benedetto XVI, ultimo grande Dottore della Chiesa.

L’ideologia, nel senso marxiano del termine (per Marx l’ideologia è appunto il travisamento della realtà, surrettiziamente sostituita da mistificazioni concettuali e da idee o preferenze personali), è proprio la costante sottesa alle labili argomentazioni del Prof. Grillo: ciò traspare, evidentissimo, in quei passaggi in cui, come abbiamo visto, da un lato svilisce come irrilevanti i fatti oggettivi e statistici (la crisi nelle chiese e nei seminari conciliari, a petto della vitalità del Tradizionalismo; eppure dai frutti si giudica l’albero, insegnava Qualcuno); dall’altro lato esibisce cieca intolleranza verso il pluralismo liturgico - e verso il bene delle anime che di quel pluralismo potrebbero beneficare – al punto da rivelarsi assai più settario e intransigente di quelli che dice di voler combattere perché, nella sua testa, ‘setta non in comunione con Roma’.

Chi è dunque ‘setta’? Il proprium della setta è l'esclusione, recidere le radici, cambiare tutto e rigettare il retaggio familiare. Ossia l’attitudine che il Prof. Grillo sceglie per sé e vorrebbe imporre a tutti. Così come settario è non arrendersi all’evidenza fattuale e in questo il Prof. Grillo fa propria la boutade hegeliana: se i fatti non si accordano con la sua teoria, tanto peggio per i fatti! Se dunque i frutti del Concilio non sono quelli promessi, minimizziamo, ignoriamo e parliamo d'altro. Nella mente di quelli come lui, la Messa di sempre è così aborrita proprio perché evidenzia a contrario il fallimento di quella moderna e rende per opposizione più visibili quei fatti antipatici (chiese vuote e sciatteria liturgica) che si vorrebbero invece nascondere.

E’ infatti evidente che le ragioni sostanziali della lotta di cui sono bersaglio i tradizionalisti non risiedono nel fatto che essi siano malvagi, o violenti, o pericolosi, od insubordinati a Roma, o quant’altro - cioè non risiedono in ciò che essi fanno - e nemmeno in ciò che essi pensano: erano forse riottosi o perversi i Francescani dell’Immacolata?

Le ragioni di tanto astio risiedono nel mero fatto di esistere perché, esistendo, sono - siamo - la concreta smentita dell’efficacia della sbandierata rivoluzione liturgica e dottrinale, ossia siamo, per speculum ma non in aenigmate, la testimonianza tangibile del suo fallimento. E come Pinocchio lancia il martello al Grillo Parlante che lo mette di fronte alle sue contraddizioni, così gli araldi del nuovo pensiero unico liturgistico vogliono lanciare il loro martello su chi ha l’ardire di non seguirli. Con la significativa differenza che i tradizionalisti, a differenza del Grillo Parlante, in genere non cercano nemmeno di far la morale ai novatori, ma si accontenterebbero di vivere in pace la loro fede, una cum Papa nostro.

E se pur mai i tradizionalisti fossero davvero pecorelle smarrite, piacerebbe loro esser trattati come ha fatto Gesù (Lc 15,4-6); o meglio ancora, ricevere incontri e visite papali, con onori e lavande e baci dei piedi e quant'altro si riserva ai ‘lontani’ e ai nemici della Chiesa.

Infine, chiudiamo il nostro commento come l’abbiamo iniziato, su una nota irenica e di concordanza, se non con lo spirito, almeno con la lettera di un passo dell’intervista del Prof. Grillo. Il quale afferma: “La tradizione non è passato, ma futuro”. Sottoscriviamo, con due sole aggiunte (una maiuscola ed un avverbio): la Tradizione non è solo passato, ma futuro.

Il che del resto corrobora il motto oraziano di questo sito: multa renascentur quae iam cecidere (rinasceranno molte cose che caddero un tempo). Motto che abbiamo il conforto, anno dopo anno, di veder realizzarsi, a dispetto di grilli e pinocchi.

Enrico


Il latino e il non verbale: la sfida della e alla Riforma Liturgica

 

Persino nel nome il blog “messainlatino” evoca l’orizzonte di una identità legandolo ad una lingua. Ad una lingua che ha mediato la cultura, anche la cultura ecclesiale, per molti secoli, in occidente e non solo in occidente. Uno dei passaggi epocali favoriti dalla Riforma Liturgica, quello forse simbolicamente più forte, è stato di aprire una fase storica in cui il cattolicesimo ha assunto il compito, certo gravoso, ma anche meraviglioso, di ascoltare e celebrare, di annunciare e riflettere, facendo uso delle lingue parlate. Questo ha certamente contribuito a mettere in moto fenomeni del tutto incontrollabili. Ogni lingua essendo una cultura, una forma mentis e una “forma di vita”, la assunzione delle numerose lingue parlate nel corpo dell’unica chiesa ha sollevato, in modo più aspro di prima, il problema della unità. Non perché il latino risolvesse tutti i problemi. Ormai da secoli il latino dei francesi, quello dei tedeschi e quello degli italiani non era la stessa lingua. A maggior ragione non lo è oggi. Siccome il latino non è più la lingua della vita di nessuno, il suo uso “ecclesiastico” subisce la pressione fortissima delle lingue parlate, che lo “de-formano” e lo “ri-formano”. Non si vive secondo la grammatica e la sintassi, ma sono le grammatiche e le sintassi che rispecchiano gli “usi” esistenziali, nel mondo e nelle chiese. Un latino “fuori uso” (nelle case, nelle scuole, nelle biblioteche o nei negozi) perde la relazione alla vita e chiede continue integrazioni dalle lingue del tutto vive.

Per questo “messainlatino” è il programma non semplicemente “liturgico”, ma “ecclesiale” di traslocazione della tradizione in un museo. C’è però un vantaggio che oggi il latino guadagna obiettivamente e che ci deve far pensare. Il latino, proprio perché fuori uso comune, e perciò non chiaro, non limpido, o forse oscuro o addirittura, incomprensibile per molti di quelli che lo domandano o lo pretendono, anche con violenza, proiettando sulla “messainlatino” tutta la loro domanda di salvezza,  lascia però il resto della percezione umana molto più attento. Non è un paradosso il fatto che l’orecchio, proprio perché non capisce, diventa (oggi molto più di ieri) attento a tutti i registri non verbali. La domanda di “messainlatino” può essere legittima nella misura in cui è una domanda (mascherata) di “altri registri comunicativi”.

Ecco allora la sfida che oggi la Chiesa cattolica è chiamata, soprattutto grazie ai due passi fondamentali compiuti da papa Francesco. Chiudere la esperienza disastrosa del “parallelismo rituale” (con Traditionis Custodes) e invitare la chiesa, riunificata nella sua “lex orandi”, a riscoprire la forza iniziatica e spirituale dei suoi riti (con Desiderio desideravi), significa riferirsi a liturgie che parlano non solo le “lingue del popolo”, ma che usano “tutti i registri non verbali”. Qui la Riforma Liturgica è sfidata dalla storia recente. Aver pensato che il “rito antico” potesse guarire il “rito nuovo” dai suoi limiti è stato un errore di valutazione assai grave. Ma i limiti del “nuovo rito” restano. Non sul piano dei contenuti e delle forme rituali, ma del modo con cui vengono posti e percepiti.  Il rito, con tutte le sue provvidenziali novità di struttura e di parole, resta una “forma”, che vive molto più di “non parole” che di “parole”. Questo solleva la questione decisiva, che formulo in questi termini. La riforma liturgica è un passaggio “necessario”, ma “non sufficiente”. La necessità dice che non ci sono possibilità di celebrare come se la riforma non ci fosse mai stata. In questo è stato un errore dare questa facoltà, che ha illuso diversi soggetti di potersi ricostruire una Chiesa come se il Concilio Vaticano II non ci fosse mai stato. Ma è errato pensare che la domanda di “messainlatino” non riguardi anche la forma nuova del rito romano. Sapere che la riforma, con tutta la sua necessità, resta “insufficiente” significa capire che si alimenteranno ancora le domande scomposte e confuse di “ritorno al passato”, finché non si darà ai nuovi riti la figura personale ed ecclesiale, individuale e comunitaria, di iniziazioni alla preghiera, come linguaggio primordiale, di iniziazione all’ascolto della parola, che rivela e converte, e di iniziazione all’incontro con ogni altro, per scoprirne e onorarne la infinita dignità. Questo punto diventa oggi decisivo e può accomunare tutti nel lavoro differenziato sull’unico rito vigente, senza risentimento alcuno e con tutta franchezza del caso.

 

11 commenti:

  1. D'accordissimo con i cinque punti: settarismo e fondamentalismo (anche politico) sono l'emblema del tradizionalismo deviato, che si fa scudo di una pretesa aderenza ad un rito per veicolare tutt'altro.

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  2. La Messa è il sacrificio di Cristo. Grillo ha un’altra concezione. Tutto qui.

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    1. Ma il grillo sproloquiante non ci crede.

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  3. Complimenti ad Enrico (non inserisce il cognome) per il lucido, logico e conseguente commento a quanto scritto dal prof.Grillo. Anch'io avevo notato, oltre ad una buona razione di fuffa incomprensibile (la nostra lingua italiana consente di scrivere pagine e pagine usando parole e toni altisonanti senza esprimere un solo concetto...), evidenti incongruenze logiche (proprio dal punto di vista della logica aristotelica: bene fa Enrico a richiamare il principio di non contraddizione). Resta la mia personale meraviglia nel constatare chi siano oggi i "teologi" che vanno per la maggiore. E si permettono di contraddire Ratzinger... Bravo Enrico!

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  4. Il professore è troppo intelligente per illudersi che questo andazzo possa continuare all'infinito.Si dice che la speranza è l'ultima a morire ma arriva il momento che bisogna essere realisti.Se io in montagna prendo un sentiero che via via diventa sempre più impervio prima o poi dovrò fermarmi e tornare indietro se non voglio finire in uno strapiombo.

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  5. Mi domando come mai si continui a dare spazio a questo signore e alle chitarronate che pronuncia; i suoi sproloqui non vanno in cerca di un contraddittorio adulto e maturo: lui è offensivo con chi non si beve le sue pozioni velenose e sputa su coloro che credono in Cristo e professano la fede cattolica trasmessa dagli apostoli. Le sue “lezioni” sono (quantomeno 13 anni fa erano) un guazzabuglio di sue teorie con vaghi cenno alla dottrina cattolica con arrampicamenti sugli specchi per sostenere le sue teorie bislacche. Le sue battaglie per la ordinazione delle donne sono nauseabonde è solo molto recentemente FORSE ha smesso di mettere in dubbio la definitività di Ordinatio sacerdotalis di San Giovanni Paolo II. Mi fa pena.

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  6. I neo-modernisti, d'altronde, usano due pesi e due misure; nei loro argomenti non si troverà mai logica, essendo ideologici. La loro "ragione" si lega al potere non alla Verità.

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    1. Esattamente come fanno i neo-tradizionalisti.

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    2. From Montreal, Quebec, Canada … could I suggest a competition to replace Prof. A. Grillo’s unwieldy, dull and unlovely phrase “Tradition is not past, but future” with one authentically Catholic radiating Beauty, Truth and Goodness? All suggestions and the winning one could then be forwarded to Prof. Grillo for his kind consideration.

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  7. Il fatto che Grillo parli di comunione con Roma ecc. , ci dice una cosa : al tempo precedente Francesco lorsignori non erano in Comunione con Roma. Lorsignori hanno il vezzo di rovesciare sempre la Piramide prima contestando e poi imponendo con autorità.

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    1. Ma veramente lei sta dicendo queste parole ignorando i decenni di ipocrisie, rovesciamenti di fronte e riottosità dei tradizionalisti?
      Ma veramente lei è un prete cattolico?

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