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venerdì 1 marzo 2024

Echi tridentini (musica): "Shomér ma mi-llailah", di F. Guccini (1983)

La settimana scorsa avevamo pubblicato il nostro post su un'eco tridentina di 40 anni fa: "A che punto è la notte" (di Fruttero e Lucentini) il cui titolo riprende una delle vette liriche del profesta Isaia.  
Oggi proponiamo questa canzone di Francesco Guccini, il cui titolo riprende, al pari del libro, il verso di Isaia (21, 11-12) "Shomér ma mi-llailah" che tradotto sarebbe "Sentinella, a che punto è la notte?". 

Si tratta di una traccia dell'album GUCCINI  del 1983 (qui sito ufficiale; qui wikipedia, qui il testo, sotto il video da Youtube) in cui l'autore (che di sè ebbe a dire di non credere nell’esistenza dell’anima) esprime un fondo di infinitezza, di immortalità, di divinità, di ricerca.
Non è la prima volta che il cantautore modenese attinge dalla Bibbia: nel 1973 aveva composto la geniale e "impegnata, anzi impegnatissima (cit)  "Genesi" (album "Opera buffa"). 
Come molti altri testi di Guccini, anche questo è molto autobiografico e figlio del proprio tempo, pregno di attese e di novità culturali e politiche. 
A tal proposito proponiamo un bel commento (sotto, un estratto) che Raimondo Giustozzi scrisse nel 2013 e con cui contestualizzò meglio la canzone.
Qui gli altri nostri post sugli echi tridentini in musica.
Roberto

Shomér ma mi-llailah. 
Un verso di Isaia (21,11- 12), Shomèr ma mi-llailah è alla base di una delle canzoni più famose di Francesco Guccini. Il verso è misterioso. Tradotto, vuol dire: Sentinella, a quanto della notte, a che punto è la notte? Isaia, uno di quei profeti che minacciano in continuazione e lanciano fuoco e fiamme, all’improvviso si lascia andare in questo verso bellissimo e altamente poetico, ad una grande speranza.

La sentinella risponde: La notte sta per finire ma l’alba non è ancora arrivata. Tornate, domandate, insistete. [...]
Guccini con le sue canzoni è stato sempre vicino ad una generazione che non le bastava essere giovane e ribelle ma che tentava davvero di volare e di credere in un mondo diverso. Il cantautore bolognese, agli inizi della sua carriera, era uno dei pochi che parlava di sé, delle sue esperienze con la vita, della sua ricerca sincera, del rapporto con le cose e la gente. A proposito delle sue canzoni diceva: “Sono storie personali di un mio pezzo di mondo e di storia, nei quali si riflettono quegli degli altri; nasce, credo un confronto e un confrontarsi fra queste cose, ma nasce suprattutto un cercare di sapere cosa siamo, cosa facciamo e perché, a livello esistenziale”.

Chi nel mondo cattolico ha attraversato, prima da giovane, poi da adulto, tutta la seconda metà del secolo scorso, dagli anni sessanta in poi, chiedeva indifferentemente, a don Lorenzo Milani, a don Primo Mazzolari, a Giorgio La Pira, a don Giuseppe Dossetti, a padre Davide Maria Turoldo, a padre Ernesto Balducci, a don Tonino Bello, a che punto era la notte. Sì, per me e per quelli della mia generazione, sono stati un po’ i nostri profeti di cui leggevamo i loro libri, conosciuti anche direttamente i loro volti e ascoltata la loro voce. Chiedevamo a loro quanto tempo dovevamo aspettare per vedere l’alba di giorni nuovi in campo politico, sociale e culturale, nella Chiesa e nella società civile in genere. Venuti a mancare, sembrava, quasi ogni volta, di restare orfani di chi ci aveva aiutato a crescere in tutti i campi, dalla scuola, alla politica. “Il disoccupato e l’operaio d’oggi dovranno uscire dal cinema con la certezza che Gesù è vissuto in un mondo triste come il loro che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore” (Da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana).

(continua qui).

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La Redazione