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martedì 13 febbraio 2024

L’arte e la decadenza dei tempi

Bella analisi sull'arte moderna e sul grande storico dell'arte Hans Sedlmayr (QUI i suoi capolavori librari e QUI MiL sul Nostro)).
Luigi C.


È possibile che la storia dell’arte sappia rintracciare con maggior chiarezza e spregiudicatezza della storiografia, di stampo liberale o marxista, l’itinerario decadente che la modernità ha percorso e denunciarlo per ciò che è, ovvero un male e un male in primo luogo spirituale? Uno storico dell’arte, Hans Sedlmayr, appartenente ad una delle più importanti scuole critico-artistiche moderne, la scuola di Vienna, lo ha fatto. In varie opere, ma soprattutto ne La perdita del centro.

La decadenza dei tempi: senza Dio l’uomo si annienta

La tesi: l’uomo moderno ha detronizzato Dio per usurparne il posto. E il risultato è l’autodistruzione. La perdita di dignità della figura umana in pittura e la corruzione-decadenza delle arti in generale avvengono di pari passo e per le medesime ragioni spirituali: la perdita del centro, Dio. Basta paragonare l’arte antica e medioevale con le sue bellezze ideali (si pensi ai marmi greci) e gli sfondi bianchi o dorati, indicanti speranza e Paradiso (ricordiamo le pitture paleocristiane o le icone, i mosaici parietali di Torcello o Palermo, fino alle celle dei frati predicatori del convento di San Marco a Firenze, opera del beato Angelico).

Sedlmayr prende le mosse dalla fine del Settecento: esordisce con Goya. Poi illustra passo passo il cammino, per gradi, della contemporaneità sempre più fosca e mostruosa nella pittura, razionalista e gelida in architettura. Una divaricazione evidente se ai mostri irrazionali del pittore spagnolo affianca i progetti illuministi e iperrazionalistici di C.N. Ledouxe E.L. Bouleé. Concentriamoci solo sulla pittura: a partire dal volgere del secolo XVIII, i demoni di Goya, le solitudini disperate dei paesaggi di C.D. Friedrich, le caricature e le figure in metamorfosi di Grandville, popolano sempre più le tele, le tavole e le pareti, di mostri, ombre deformi, irrazionalità oniriche che paiono i sogni inquieti di un febbricitante.
Raffronto col Medioevo

I mostri semiumani nel Medioevo, eccettuato il caso di Bosch che richiede un discorso a parte, non mancavano affatto. Le caricature e le assurdità grottesche però erano relegate alle descrizioni dell’inferno, ai manigoldi che usano violenza ai santi e al Cristo o, al massimo, restavano esercizi di stile o divertimenti: mostruosità del tutto sensate, poiché inserite in un tessuto culturale, sociale espirituale univoco, condiviso e chiaro in quanto cattolico. Quelle immagini erano poste dagli artisti in un contesto didattico-religioso; anzi, anche in quei contesti erano a malapena tollerabili per alcuni (si pensi per esempio agli strali di san Bernardo contro le mostruose deformità delle decorazioni scultoree dei capitelli dei monasteri).

Ora invece quei mostri fanno il loro ingresso nel mondo della pittura come protagonisti, figure a sé stanti: rappresentano non più le brutture morali del peccato o le bassezze infernali, bensì l’umanità in quanto tale, l’io profondo del pittore, che, d’improvviso, diviene preda dei propri incubi. Una parte recondita prende il sopravvento, l’eroismo classicista idealista e naturalista si indebolisce e, così, l’uomo, “centro del mondo”, lentamente perde la percezione rinascimentale, chiaramente artefatta, illuminista e moderna, della propria dignità quasi divina. E decade nel sub-umano. Come nei dipinti di Ensor.

Farne tesoro contro gli abominii

Insomma la grande arte, in special modo la pittura, ritrova quello che certa filosofia illuminista volle negare: il peccato originale, ma, alla maniera protestante, lo esaspera. Secondo Hans Sedlmayr, ciò porterà, come una marea sempre più limacciosa, al disfacimento contemporaneo. Il surrealismo, cioè l’assurdo irrazionale portato all’estremo, sarà in pittura il picco della mutazione. Sedlmayr scrisse questo testo nel 1948, le avanguardie postbelliche confermeranno in pieno la tesi dell’autore, morto nel 1984.

Oggi la sua stessa linea, politicamente scorretta, è però condivisa, sotto certi aspetti, anche da altri studiosi come per esempio Giuseppe di Giacomo o Jean Clair, tra i più importanti: secondo il primo, docente all’università “La Sapienza”, il segnale inequivocabile del decadimento attuale è la mercantilizzazione selvaggia di certa arte contemporanea. Le quotazioni esorbitanti delle opere di autori quali DamienHirst e Jeff Koons ne sono un esempio. Possano le gerarchie postconciliari, committenti forsennate di abominii figurativi, saper leggere i tempi con la stessa acutezza di certi artisti e la spregiudicatezza di certi critici: saprebbero arrestare la marea nera invece di favorirla.




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