(NB: il testo seguente è un estratto dagli ultimi tre capitoli della breve monografia del sottoscritto “Intorno a questo altare. Le insidie della concelebrazione diffusa”, Chorabooks, Hong Kong 2023, pp. 35-67. Nelle note a piè di pagina si trovano vari rimandi alle parti precedenti qui tralasciate. La versione italiana riprende e aggiorna leggermente l’articolo inglese “The Dogmatic Discussion on Concelebration from Sacrosanctum Concilium to the present”, in J.M. Cunningham [ed.], Sacrosanctum Concilium. Sacred Liturgy and the Second Vatican Council, Wells, Somerset [U.K.] 2015, 149-191).
1. La discussione dogmatica sui frutti sacramentali della concelebrazione dopo il Concilio Vaticano II
Diversi sono i problemi dogmatici legati alla
concelebrazione: in particolare la discussione sulla possibilità di una concelebrazione sacramentale senza che siano pronunciate le parole di Cristo nell’Ultima Cena, il dibattito specialistico tra i liturgisti concernente il significato dell’imposizione delle mani nella concelebrazione (indicazione o epiclesi) e la validità delle celebrazioni su larga scala, quando la distanza dall’altare è molto grande[1]. Il problema principale è, però, quello dei frutti sacramentali della concelebrazione se confrontata con la celebrazione individuale e con il caso della mera assistenza di un sacerdote. Concentreremo la nostra attenzione su questo argomento.Nella
discussione dogmatica successiva al Concilio Vaticano II sui frutti
sacramentali della concelebrazione possiamo individuare tre diverse correnti:
una prima corrente, introdotta da Karl Rahner nel 1949, non può valorizzare la
concelebrazione, perché non fa differenza per il sacerdote se egli concelebra
l’eucaristia o se partecipa tra i fedeli; una seconda corrente afferma il
distinto valore sacramentale di ogni Santa Messa, il quale rimane lo stesso
anche nella concelebrazione, sicché è meglio moltiplicare le celebrazioni
individuali; una terza corrente è convinta del fatto che i frutti sacramentali
del Sacrificio eucaristico dipendano dall’atto sacramentale di ogni celebrante
con la conseguenza che non c’è alcuna ragione dogmatica di limitare la
concelebrazione.
1.1 Le tesi di Karl Rahner SJ e i suoi
seguaci
Nel 1949 Karl Rahner (1904-1984) pubblicò un articolo intitolato Die vielen Messen und das eine Opfer
(Le molte Messe e l’unico sacrificio) che nel 1951 apparve, insieme a un
poscritto, anche in forma di monografia[2].
Ci furono molte reazioni, positive e negative[3].
Tra queste dobbiamo anche ricordare gli interventi magisteriali di Pio XII del
1954 e del 1956[4],
anche se il Santo Padre non fece alcun nome. Nel 1955 Rahner scrisse un breve articolo per difendersi
dalle critiche manifestate in particolare in seguito all’intervento di Pio XII
del 1954[5];
nello stesso anno trattò le stesse questioni in un secondo articolo intitolato Dogmatische Bemerkungen über die Frage der
Konzelebration (Osservazioni
dogmatiche sulla questione della concelebrazione) [6].
Nel 1966 apparve una seconda edizione di Die vielen Messen und das eine Opfer[7]:
essa fu adattata da un discepolo di Rahner, il padre benedettino Angelus Häussling che mantenne
«quanto più possibile» il testo precedente[8];
lo stesso Rahner
scrisse la prefazione che ripercorre la storia del suo studio[9].
Rahner osserva che la prassi attuale secondo cui
ogni (buon) sacerdote dovrebbe celebrare la Santa Messa ogni giorno è basata su
tre presupposti: 1) che ogni sacrificio
eucaristico contiene, in quanto sacrificio di Cristo, un infinito valore per la
glorificazione di Dio, indipendentemente dalla partecipazione soggettiva del
sacerdote; 2) che ogni sacrificio eucaristico ha un effetto limitato quanto
all’espiazione, alla soddisfazione e all’intercessione; questo effetto è almeno
in parte ex opere operato e può essere applicato dal celebrante; 3) ogni
sacerdote riceve un frutto speciale per lui come ministro di Cristo (fructus
specialissimus). Se il sacerdote non celebrasse la Messa,
la partecipazione a un’Eucaristia celebrata da un altro sacerdote lo priverebbe
di questo frutto speciale del Sacrificio eucaristico[10].
Rahner vuole cambiare la convinzione che ogni
Sacrificio eucaristico abbia un frutto specifico intrinsecamente legato
all’atto sacramentale. Citando il Concilio di Trento che definisce la Santa
Messa un «sacrificio visibile» (DH 1740), il gesuita tedesco afferma che il
carattere sacrificale della Messa sta nell’azione visibile di culto. Secondo
lui, ciò non significa che Gesù Cristo attui in ogni Messa un nuovo atto del
suo spirito sacrificale (Opfergesinnung) [11].
«Ciò che è posto come un nuovo atto sacrificale, ripetuto ogni volta, si
colloca soltanto a fianco della Chiesa»[12]. Secondo Rahner è sbagliato parlare di una «nuova porzione
di grazia» applicata da ogni Santa Messa[13]:
la «misura della grazia» è solamente «determinata dalla disposizione di colui
che riceve il sacramento»[14].
Ogni «concezione quantitativa della grazia» deve essere evitata[15].
La frequenza della Santa Messa dovrebbe dipendere soltanto dall’utilità di
favorire la fede e la devozione dei partecipanti[16].
«Un fructus specialissimus proprio del sacerdote celebrante … [distinto
dalla sua devozione soggettiva] non esiste»[17].
La
monografia di Rahner e di Häussling
non rileva la propria contraddizione con le esposizioni di Pio XII del 1954 e
del 1956; l’affermazione di Paolo VI, nella sua Enciclica Mysterium fidei (1965), secondo cui la celebrazione individuale del
sacerdote dà più grazia salvifica al sacerdote, al popolo partecipante e
all’intera Chiesa che la partecipazione del sacerdote solamente attraverso la
Santa Comunione, viene interpretata nel senso di una più grande devozione del
sacerdote[18].
Rahner
è stato severamente criticato da molti autori. Il suo presupposto che non
derivi «alcuna nuova porzione di grazia» dall’atto sacramentale del Sacrificio
eucaristico è in un rapporto di tensione con il Concilio di Trento che insegna
che il Sacrificio della Messa è la memoria, la rappresentazione e
l’applicazione (applicatio)
del Sacrificio della Croce per la remissione dei peccati commessi ogni giorno
(DH 1740). La dottrina, formulata fin dai tempi di Duns Scoto, dei “frutti
della Messa” implica che ogni Santa Messa ha un certo effetto ex opere operato per l’intera Chiesa, per i viventi e per le
anime del Purgatorio. Ci sono state varie distinzioni tra i “frutti”, ma in
ogni caso è stato generalmente riconosciuto un frutto per l’intera Chiesa (fructus
generalis), per l’intenzione applicata dal sacerdote, per i fedeli
partecipanti e per il sacerdote celebrante[19],
quand’anche la ricezione di questi frutti dipenda dalle singole disposizioni
individuali. Il dogmatico tedesco Johannes
Brinktrine, per esempio, ricorda (contro Rahner) che papa Pio VI condannò la proposizione
dello pseudo-Sinodo di Pistoia secondo la quale sarebbe impossibile applicare a
qualcuno un particolare frutto attraverso la celebrazione della Santa Messa (DH 2630)[20].
Poiché Rahner
non accetta i frutti sacramentali di ogni Santa Messa, Joseph de Sainte Marie e Rudolf Michael Schmitz
definiscono la sua teoria un «nominalismo sacramentale»[21],
mentre Paul Tirot
parla di «soggettivismo» e rileva contraddizioni interne quanto all’importanza
oggettiva dell’atto sacramentale ex opere operato[22].
Un
altro punto critico è la separazione tra l’azione di Cristo e l’azione della
Chiesa nel Sacrificio della Messa[23].
Sul piano sistematico non è molto chiaro in Rahner che il Sacrificio eucaristico è un atto di
Cristo Sommo Sacerdote operato dal sacerdote ordinato. Quando si afferma che
non può derivare alcuna «nuova porzione di grazia» dal Sacrificio eucaristico
stesso, si dimentica l’importanza della grazia creata, ossia l’effetto creato
della presenza del Dio uno e trino che dipende dalla volontà di Dio e dalla
disposizione dei fedeli[24].
La
teoria di Rahner,
secondo la quale, quanto ai frutti sacramentali, non c’è alcuna differenza
essenziale tra un sacerdote che celebra o concelebra la Santa Messa e un
sacerdote che vi partecipa in mezzo ai fedeli, è stata accettata e sviluppata
soprattutto dal teologo tedesco Gisbert
Greshake. Questi, in una raccolta miscellanea di scritti
in onore di Rahner[25],
ha osservato che la concelebrazione è problematica perché oscura la
rappresentazione dell’unico Cristo (da parte di un solo sacerdote)[26]
e perché distrugge, con l’intervento di più voci durante la preghiera
eucaristica, l’unità della proclamazione della parola di Dio[27].
In un ampio studio sul sacerdozio Greshake definisce la concelebrazione una
pratica propria del «clericalismo»[28], una «perversione» che nella forma attuale
non dovrebbe essere tollerata[29].
Alla sua raccomandazione che i sacerdoti (che non devono celebrare con i
fedeli) partecipino alla Messa alla maniera dei laici[30],
si oppone la constatazione storica del fatto che nell’antichità i sacerdoti
partecipavano al Sacrificio eucaristico nel loro specifico ruolo ministeriale[31]
(anche se non pronunciavano le parole di nostro Signore, come sarebbe
necessario per una vera concelebrazione sacramentale).
Questa
messa in discussione della concelebrazione è stata preparata da Rahner che aveva osservato che, sia che il
sacerdote celebri la Messa sia che vi partecipi, con la medesima devozione,
nello stesso modo dei laici, c’è lo stesso effetto (di grazia)[32]; la «concelebrazione può essere raccomandata
soltanto per eccezioni veramente straordinarie»[33].
1.2 La spiegazione tomistica di Joseph de
Sainte-Marie OCD e di Rudolf Michael Schmitz
Gisbert Greshake, nell’appena citata miscellanea tedesca
dedicata a Karl Rahner, osservava nel
1984: «stando alle mie conoscenze, contro gli studi di Rahner non ci sono oggi più obiezioni da
prendere sul serio»[34].
Questa speranzosa valutazione era un errore. La presentazione più dettagliata
della storia e della teologia della concelebrazione sino a oggi è reperibile in
vari articoli (1979-1984) del carmelitano Joseph de Sainte-Marie (1931-1985) che insegnò nella Facoltà Teologica dei
Carmelitani Scalzi a Roma. La maggior parte di questi articoli fu raccolta in
una monografia pubblicata nel 1982[35]. Nel 2015 apparse una traduzione inglese, con
il sostegno del famoso carmelitano François-Marie Lethel[36]
e con una prefazione del liturgista benedettino Alcuin Reid[37].
Nel
1981 la posizione del carmelitano fu ripresa soprattutto da Rudolf Michael Schmitz nella rivista
tedesca Theologisches[38], e, dal 1983, nel
grande manuale italiano sull’Eucaristia scritto da Antonio Piolanti (Università Lateranense)[39] e in alcuni contributi successivi (1991; 1995)[40].
Joseph de Sainte-Marie valorizza il
contributo di San Tommaso d’Aquino che afferma: «l’oblazione del sacrificio si
moltiplica in più messe, ed è quindi moltiplicato l’effetto del sacrificio e
del sacramento»[41]. San Tommaso
sottolinea questo principio in un articolo che sostiene gli effetti benefici
del sacrificio eucaristico anche per coloro che non ricevono il sacramento. Le
osservazioni di San Tommaso d’Aquino sulla concelebrazione comportano
formalmente che una Messa concelebrata è un unico sacrificio, cioè un unico
atto sacramentale[42].
Pio
XII, nel suo intervento del 1956, stabilisce che «l’azione del
sacerdote che consacra è la stessa azione di Cristo, Che agisce per mezzo del
Suo ministro»[43]. La questione
decisiva (per il nostro tema) non è il frutto della singola anima che partecipa
all’Eucaristia, ma la natura dell’atto operato dal sacerdote: se egli partecipa
oppure no al sacrificio di Cristo (nella concelebrazione) [44]. Una moltiplicazione
dell’effetto salvifico in ogni Sacrificio eucaristico è implicita
nell’insegnamento fondamentale del Concilio di Trento secondo cui il
«sacrificio visibile» della Messa è l’«applicazione» del Sacrificio della Croce
allo scopo della remissione dei nostri peccati commessi ogni giorno»[45].
Nella concelebrazione
è offerta a Dio soltanto una sola Messa. Ogni Messa, in quanto sacrificio di
Cristo, ha un valore infinito; e, con questo valore infinito, fa «scorrere
sulla Chiesa e sul mondo intero il sangue redentore di Cristo»[46]. Ogni Messa, in
quanto tale, ha un valore infinito, ma la disposizione dei fedeli a ricevere i
frutti è sempre imperfetta e, per questo motivo, limitata. Il numero delle
Messe è dunque importante al fine di «moltiplicare i frutti della salvezza»[47].
Joseph de Sainte-Marie apprezza la
possibilità della concelebrazione aperta dal Concilio con riguardo a
particolari occasioni, ma deplora la mancanza di chiarezza nelle esposizioni
dottrinali del Vaticano II, per esempio, l’assenza di una chiara affermazione
che nella concelebrazione è offerto a Dio solamente un unico sacrificio (anche
se ciò è affermato in alcuni documenti postconciliari). L’«espansione illimitata
della concelebrazione» dopo il Concilio rappresenta «una rottura e non
un’evoluzione omogenea della liturgia»[48]. «Poiché i frutti
della Redenzione sono diffusi nel mondo innanzitutto e principalmente
attraverso l’attuazione del Sacrificio della Croce nella Messa», è «necessario
moltiplicare le Messe per la salvezza delle anime e per l’unità della Chiesa
stessa. Se la concelebrazione manifesta quest’unità e ne sviluppa il
sentimento, la moltiplicazione delle Messe contribuisce ancor più a costruirla,
moltiplicando l’effusione della grazia di Cristo»[49].
Rudolf Michael Schmitz (* 1957), attualmente
Vicario Generale dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, sostiene di
«seguire l’ottimo studio» di Joseph de
Sainte-Marie[50] e fornisce una presentazione sintetica
dell’argomentazione sistematica nel rinomato manuale dogmatico di Antonio
Piolanti sul Mistero eucaristico. La prima parte della sua esposizione prende
in considerazione «l’unico sacrificio»[51] e la seconda
«i frutti del sacrificio»[52]. Egli cita i
testi magisteriali che implicano che la Messa concelebrata è un unico atto
sacramentale che opera un unico sacrificio; questa dottrina è essenzialmente
basata sull’insegnamento di San Tommaso d’Aquino.
Come Joseph de Sainte-Marie, l’autore
respinge l’esposizione di Joseph Kleiner (1979)
secondo il quale la concelebrazione comporterebbe «varie attuazioni
ministeriali dell’unico sacrificio»[53]. Non è possibile separare l’atto sacramentale
dal soggetto che lo opera[54], come avviene
in Suarez citato come un’autorità da Kleiner.
Schmitz
paragone la concelebrazione alla processione trinitaria dello Spirito Santo:
Egli procede dal Padre e dal Figlio, ma soltanto tramite un’unica spirazione[55]. In quanto
sacrificio di espiazione e di intercessione, la Santa Messa non può produrre
infiniti effetti nel popolo, anche se essa ha un valore infinito. È importante
sottolineare l’importanza della grazia creata comunicata dal Sacrificio
eucaristico “ex opere
operato”. Per questa
ragione, «un’illimitata diffusione della frequente concelebrazione … diminuisce
il benessere della Chiesa»[56].
In ambito
italofono troviamo una posizione simile a quella di Joseph de Sainte-Marie e
Rudolf Michael Schmitz nel teologo passionista Enrico Zoffoli (1915-1996) il
quale pubblicò una breve monografia sull’argomento nel 1991, ripubblicata nel
2021 con testi supplementari di Nicola Bux e Athanasius Schneider[57].
5.3 Le posizioni di Paul Tirot OSB e Paul Gouyaud
Il monaco benedettino Paul Tirot (* 1923), in due ampi articoli apparsi nelle Ephemerides
liturgicae (1987), fornisce un
resoconto storico e la valutazione teologica della concelebrazione. Egli
rifiuta la posizione di Rahner[58] e discute con attenzione critica anche le
esposizioni di Joseph de
Sainte-Marie[59]. Condivide
l’analisi e la conclusione, confermata dal Decreto Ecclesiae semper (1965), che la concelebrazione è un unico atto
sacramentale[60].
Dà, tuttavia,
una differente esplicazione della partecipazione dei concelebranti nell’unico
atto sacramentale. Tirot distingue due diverse correnti dalla Scolastica a oggi, anche se la
loro differenza sembra minima. «La prima (corrente) afferma che c’è una sola
offerta sacramentale, ma totalmente offerta da ogni sacerdote, e pertanto
virtualmente multipla, ossia che questa offerta possiede la virtù, l’efficacia
di un numero di offerte pari al numero dei concelebranti. La seconda (corrente)
afferma che ci sono diverse offerte sacramentali effettivamente multiple, ma
un’unica intenzione»[61]. Secondo Tirot, Domingo de Soto rappresenta la prima corrente, mentre Francisco Suarez la seconda[62]. «Comunque,
gli antichi scolastici non dicono esplicitamente che la Messa concelebrata
produce gli stessi ... frutti delle singole Messe»[63].
La tesi
centrale di Tirot è formulata
nell’edizione del 1924 del libro del gesuita Maurice de la Taille, Mysterium fidei: «l’oblazione è formalmente una sola, in quanto azione collettiva di un
unico collegium, ma è
virtualmente o equivalentemente multipla»[64]. Tirot non accetta, però, la tesi del gesuita francese secondo cui la crescita
dei frutti spirituali nella concelebrazione dipende soltanto dalla devozione
individuale dei sacerdoti[65].
Secondo Tirot, la moltiplicazione degli effetti sacramentali in proporzione al numero
dei celebranti può essere fatta risalire al Suarez che non si oppone a San
Tommaso. Una chiara affermazione di molteplici atti sacramentali nella
concelebrazione si trova comunque in Gabriel Vázquez (1549-1604) [66] e nel
Cardinal Juan de Lugo (1583-1666), gesuita di
Salamanca, citato dal futuro papa
Benedetto XIV che giustifica il fatto che anche i concelebranti possono
percepire un’offerta speciale: «Se due sacerdoti consacrano insieme un’ostia,
ci sono due oblazioni, ed entrambi possono applicare la Messa a diverse
(intenzioni)» [67]. Questa convinzione trova spazio nei maggiori
manuali di Diritto canonico e di Teologia morale, per esempio, nel trattato
sull’Eucaristia del Cardinal Gasparri[68] e nella Summa theologiae
moralis di Benoît H.
Merkelbach[69].
In questo modo, Tirot offre un’interpretazione gesuitica di San Tommaso, prendendo alcuni
elementi dalle dottrine di Francesco Suarez e di Maurice de la Taille. Da Joseph de Sainte-Marie differisce nella sua valutazione dell’atto
ministeriale. Egli domanda: se è vero, come è confermato anche dal teologo
carmelitano, che «ogni concelebrante opera per la sua parte l’intero atto del
Sacrificio»[70] - perché
questi rifiuta la conseguenza che c’è lo stesso «frutto speciale» per il
concelebrante, come se questi celebrasse la Messa individualmente[71]? È vero che
l’offerta sacramentale costituisce un’unità morale, «ma essa rimane
virtualmente multipla a cagione della molteplicità degli agenti e della loro
virtù speciale». In altre parole: la concelebrazione è «un’azione attualmente
unica e virtualmente multipla»[72]. Se Joseph de Sainte-Marie accetta un
certo «frutto speciale» anche per la concelebrazione, in modo tale che un’offerta
possa essere accettata da ogni concelebrante, perché rifiuta l’esistenza di un
«frutto generale» annesso alla concelebrazione? Spiegare i «frutti speciali»
dei concelebranti solamente con l’infinito valore della Messa, non significa
ricadere nel soggettivismo di Karl Rahner[73]? Se davvero
la concelebrazione comporta per la Chiesa una gravissima diminuzione della
grazia, questa tesi non significa che il rito della concelebrazione è, in
quanto tale, un errore compiuto dalla Chiesa[74]? Se si
ritiene la molteplicità virtuale del Sacrificio eucaristico, appare corretto
dire che nella concelebrazione ci sono tante azioni di Cristo quanti sono i
sacerdoti concelebranti “in persona Christi”[75].
Le tesi di Tirot hanno ricevuto molti consensi[76], ma anche
critiche severe specialmente da parte di Rudolf Michael Schmitz: separare l’offerta ministeriale dall’unico
atto sacramentale visibile comporta una spiritualizzazione dell’azione
sacramentale che non prende sul serio la realtà dell’Incarnazione[77]. Anche se ci
fosse una molteplicità virtuale dell’azione di Cristo, come potrebbe
un’applicazione soggettiva della grazia moltiplicare il «frutto generale» oggettivo
(fructus generalis) del Sacrificio? Quale sarebbe l’effetto di una
mera virtualità[78]?
Questa critica
è accettata da Christian Gouyaud (* 1959)[79], un sacerdote della Diocesi di Strasburgo, nel
suo studio sulla Chiesa come causa strumentale di salvezza[80]. Gouyaud sottolinea il fatto che Cristo è l’unica
causa efficiente principale che agisce attualmente attraverso le varie azioni
strumentali principali dei ministri concelebranti. Secondo questo studioso,
nell’ordine sostanziale, c’è in una Messa concelebrata una sola consacrazione,
ma, nell’ordine operativo, ci sono varie azioni sacrificali, ossia vari
Sacrifici eucaristici[81]. Questa
proposta appare, tuttavia, problematica: è possibile collegare vari
Sacrifici eucaristici a un unico atto sacramentale di consacrazione?
L’essenza del Sacrificio eucaristico deve, dunque, essere riferita alla
consacrazione[82].
2. Valutazione sistematica
Dopo avere passato in rassegna i principali
contributi sull’efficacia sacramentale della concelebrazione, dobbiamo tentare una
valutazione sistematica.
2.1 L’unicità del Sacrificio eucaristico
nella concelebrazione
Il primo punto cruciale riguarda l’evento
sacramentale della concelebrazione: si tratta di un unico atto sacramentale nel
quale è rappresentato il Sacrificio della Croce oppure soltanto di una
sincronizzazione di varie celebrazioni individuali?
Joseph
Kleiner, in un articolo pubblicato nel 1980, fece l’esempio di un
pellegrinaggio a Lourdes nel 1946: c’erano un vescovo e diciassette sacerdoti;
ciascuno di loro celebrò contemporaneamente la Santa Messa su un proprio
altare; l’altare del vescovo era al centro. Ci furono così diciotto Messe
sincronizzate. Oggi a Lourdes, secondo Kleiner, diciotto sacerdoti
concelebrerebbero, e ci sarebbero «diciotto Messe concelebrate. Solo il rito è
differente, … ma i segni in quanto tali e la loro efficacia non differirebbero»[83].
Un’analoga
presentazione della concelebrazione era stata data nello studio di Rahner-Häussling (ma non nei
precedenti studi di Rahner): «Da un
punto di vista strettamente dogmatico, la concelebrazione è propriamente una
celebrazione sincronizzata...»[84]. Kleiner
basava la sua tesi sul principio scolastico, formulato, per esempio, da San
Tommaso d’Aquino: «actiones sunt suppositorum», ovverosia: ogni azione di una natura
individuale deve essere attribuita al soggetto agente, alla persona che agisce[85]. Per questo motivo, diversi sacerdoti
concelebranti operano diversi atti sacramentali, «diverse consacrazioni»[86].
Joseph de Sainte-Marie rispose a
questo argomento distinguendo tra l’azione inerente al soggetto operante e
l’azione che si rivolge all’esterno[87]. L’actus
immanens è di certo tipico di ogni sacerdote concelebrante, ma nell’actus
transiens i sacerdoti operano congiuntamente. Ciò è vero, almeno per la
presentazione della concelebrazione in Tommaso d’Aquino, ma non in Suarez sul
quale è fondata l’argomentazione di Kleiner[88].
Effettivamente la presentazione della concelebrazione, soprattutto in Pio XII e
nel Decreto Ecclesiae semper, presuppone un unico atto sacramentale, come
descritto da San Tommaso.
Una
dissertazione dottorale spagnola, che esamina attentamente la discussione
successiva alla proposta di Kleiner, è giunta alla conclusione che Kleiner
confonde la natura sacramentale del Sacrificio eucaristico con la sua oblazione
da parte del sacerdote e separa l’azione ministeriale dei concelebranti dalla
virtù divina che opera l’effetto di quest’azione: i concelebranti sono uniti in
Cristo che consacra e offre ogni Sacrificio eucaristico[89]. Sembra che,
nel frattempo, questo risultato sia stato quasi generalmente accettato tra gli
specialisti che trattano questo argomento[90].
Una
presentazione modificata dell’argomento di Kleiner è stata, tuttavia, proposta
da Paul Tirot: sulle tracce di Maurice de la Taille, egli riconosce
(contro Kleiner) che c’è un unico atto sacramentale, ma sottolinea che esso è
virtualmente multiplo[91]. Ritorneremo
su questo argomento, al momento di trattare i frutti sacramentali della
concelebrazione.
Sembra che
tutti gli approcci filosofici tradizionali nella teologia sistematica possano
sostenere il principio di Sant’Agostino secondo cui un evento sacramentale
origina dalla congiunzione della parola e dell’elemento materiale, che non
possono essere separati l’uno dall’altro[92]. Il cardinale
Charles Journet propone, a
proposito del nostro tema, un confronto illuminante con il Battesimo:
«Permettetemi
di dire una parola sulla concelebrazione. Immaginiamo più persone che si
riuniscano per battezzare simultaneamente un bambino. Ci sarebbero diversi battezzatori
ma soltanto una sola azione battesimale, plures baptizantes, una baptizatio. Allo stesso
modo, si trovano nella concelebrazione più “consacratori”, plures ex aequo
consecrantes, ma soltanto un’azione di consacrazione, una consecratio»[93].
Quanto
all’atto sacramentale, è chiaro che Cristo stesso è il Sommo Sacerdote che
rappresenta il suo Sacrificio sulla Croce. Secondo Rahner, nella Santa Messa non c’è alcun atto
sacrificale attuale di Cristo (sacrificio che è avvenuto sulla Croce), ma solamente
un’offerta virtuale per il fatto che Gesù Cristo ha istituito il Sacrificio
eucaristico nell’Ultima Cena. Questo è un argomento aperto a ulteriori
discussioni. Il Concilio di Trento illustra, a proposito della relazione tra la
Croce e la Santa Messa, l’identità di sacerdote e vittima (Cristo che offre se
stesso) (DH 1743). Non afferma
però espressamente l’identità dell’atto del sacrificio[94]. Ed è per questa ragione che, in seguito,
molti teologi parlarono di un nuovo atto sacrificale di Cristo dal cielo per
ogni Santa Messa, mentre altri osservarono che è sufficiente parlare della
forza divina fondata nell’oblazione del Salvatore sulla Croce. Réginald Garrigou-Lagrange sottolinea il
fatto che Gesù offre se stesso nell’Eucaristia non soltanto virtualmente ma
attualmente, giacché egli mantiene interiormente l’atto dell’offerta e nella
sua visione beatifica sulla terra già conobbe i Sacrifici eucaristici nella
storia[95].
La teologia
contemporanea è solita parlare dell’unità numerica dell’atto sacrificale di Cristo
sulla Croce e nella Santa Messa[96]. D’altro
canto, l’azione sacramentale non può essere separata dalla distinta operazione
di Cristo, tanto che nel 1954 Pio XII osservava che «per quanto
riguarda l’offerta del sacrificio eucaristico, ci sono tante azioni di Cristo
sommo sacerdote quanti sono i sacerdoti celebranti...»[97]. Due anni più
tardi, nel 1956, egli ribadì per una seconda volta questo punto[98] contro la tesi formulata da Karl Rahner nel
1949 secondo la quale l’azione specifica della Messa è il sacrificio della
Chiesa (e non il sacrificio di Cristo).
L’unicità del
Sacrificio eucaristico, in ogni caso, può essere conservata anche nella teoria
di un’azione virtuale di Cristo, anche se la teoria di un distinto atto
sacrificale può essere la spiegazione migliore anche per una distinta
importanza di ogni Santa Messa. Ciò è manifesto anche nell’affermazione di Karl
Rahner del 1955 (e
del 1966): per quanto riguarda gli atti sacrificali di Cristo, una o cento
Messe non sono la stessa cosa[99].
2.2 I frutti delle Messe concelebrate
Un secondo importante punto per una
valutazione sistematica è quello dei frutti delle Messe concelebrate. In primo
luogo, si deve riconoscere che ci sono specifici frutti di ogni Sacrificio
eucaristico. Ciò è molto chiaro quando San Tommaso afferma che una
moltiplicazione della causa, ossia della rappresentazione del Sacrificio di
Cristo, comporta anche una moltiplicazione degli effetti[100]. Questo
aspetto è anche implicito nel Concilio di Trento che definisce la Santa Messa
un’«applicazione» del Sacrificio della Croce (DH 1740). Ogni Santa Messa, per questa ragione, ha
certi effetti operati sacramentalmente, ex
opere operato. Questo punto fu negato da Karl Rahner, anche se non insistette su questa negazione
in un breve articolo apparso un anno dopo il pronunciamento di Pio XII nel 1954[101].
Certamente non
è possibile fornire una spiegazione quasi “matematica” di un evento salvifico
della grazia[102], anche se il
distinto evento sacramentale di ogni Santa Messa e la realtà della grazia
creata devono essere presi sul serio. C’è, in ogni caso, una fusione tra
l’efficacia ex opere operato e l’efficacia ex opere operantis. Rahner, nel 1955, orientò l’attenzione dei suoi
lettori a una nota di Pio XII nel suo intervento del 1954: «Considerando questa
questione [i.e. la celebrazione della Santa Messa da parte del sacerdote nella
sua differenza rispetto alla partecipazione dei fedeli], il tema non è tanto
quello di misurare il frutto che si trae dalla celebrazione o
dall’ascolto della Messa – può essere vero che qualcuno derivi un maggior
frutto da una Messa ascoltata con devozione piuttosto che da una Messa
celebrata in maniera superficiale e negligente -, ma quello di affermare la natura
dell’atto che consiste nell’ascolto o nella celebrazione della Messa, da
cui scaturiscono gli altri frutti del sacrificio…»[103]. Rahner conclude: in effetti, può darsi che i frutti
siano maggiori quando cento sacerdoti assistono alla Messa durante un convegno
liturgico che quando la Messa è da loro celebrata individualmente in modo
rapido e negligente. Non è pertanto certo che cento Messe celebrate diano più
frutti della Messa di un solo sacerdote alla quale assistono novantanove
sacerdoti[104].
Queste osservazioni,
tuttavia, non dovrebbero portare a negare l’importanza della singola Messa, se
questa è celebrata in circostanze convenienti che permettono la devozione dei
partecipanti. Bisognerebbe anche riconoscere che ogni Santa Messa è celebrata
per tutta la Chiesa, per tutti i vivi e tutti i morti; c’è un «frutto generale»
collegato all’evento sacramentale in quanto tale[105]. In quanto
Sacrificio, la Santa Messa è offerta non soltanto per coloro che vi
partecipano, ma anche per l’intera umanità destinata a essere parte della
Chiesa.
Per quel che
concerne il Sacrificio eucaristico[106], la teologia
classica distingue tra la glorificazione di Dio (nell’adorazione e nel
ringraziamento) e il beneficio per l’umanità (nell’espiazione e
nell’intercessione). Il Concilio di Trento menziona l’effetto espiatorio della
Santa Messa per i nostri peccati quotidiani (cf. DH 1740). Ogni Santa Messa, in quanto tale, in actu primo, ha un valore
infinito, poiché è la rappresentazione del Sacrificio della Croce. Nel suo
effetto, in actu secundo, i frutti possono egualmente essere definiti
“infiniti”, in quanto la Messa è Sacrificio di adorazione e di ringraziamento.
L’applicazione
dei frutti è limitata, per esempio, dall’intenzione per la quale la Santa Messa
è celebrata, e dalla volontà di Cristo, oppure è illimitata, dal momento che
dipende soltanto dalla disposizione dei partecipanti? La prima tesi è
rinvenibile, per esempio, in Bonaventura e in Scoto, mentre la seconda è
difesa, per esempio, da Gaetano e da Suarez. Entrambe le correnti citano
Tommaso d’Aquino. Albert Michel, che offre una panoramica storica, propende,
pur ammettendo che entrambe le posizioni comportano delle difficoltà, per la
seconda corrente secondo cui soltanto dalla mancanza di disposizioni risulta un
limite[107].
Personalmente, sottolineerei, come “misura” per l’applicazione, la volontà di
Cristo e le disposizioni dei partecipanti. Tutti, comunque, raccomandano la
devozione più grande possibile per ricevere i frutti del Sacrificio
eucaristico.
Considerando i
frutti specifici legati a ciascun Sacrificio eucaristico, dovrebbe essere
preferita in molte situazioni la celebrazione individuale della Santa Messa. Se
per il sacerdote è possibile scegliere soltanto tra la concelebrazione e
l’assistenza alla Messa, è da preferire la concelebrazione: anche se il
concelebrante non opera un distinto atto sacramentale, ma partecipa interamente
all’unica consacrazione operata da tutti i sacerdoti celebranti nella virtù di
Cristo, attualizza in ogni caso il potere operante, fondato nel carattere
sacramentale, del suo sacerdozio, e basa l’intenzione della sua offerta
sull’evento sacramentale. È così possibile anche per una Messa concelebrata
accettare un’offerta.
2.3 La questione dell’offerta (stipendio)
Secondo il Codice di Diritto Canonico del
1983, ogni concelebrante può accettare un’offerta per la Santa Messa, com’è
possibile per il Sacrificio eucaristico individuale[108]. Ciò fu già
affermato, nel XVIII secolo, dal famoso canonista Prosper Lambertini che in
seguito sarebbe diventato papa Benedetto XIV. Egli pose l’accento su questo
punto contro un teologo del XV secolo (Jean Heylin) che aveva negato il diritto
dei sacerdoti appena ordinati a ricevere l’offerta per la loro prima Messa
concelebrata con il vescovo[109]. Questa
pratica mostra certamente che il sacerdote concelebrante opera realmente l’atto
sacramentale[110]. Può anche
essere un argomento per sostenere l’identità dei frutti sacramentali di una
Santa Messa celebrata individualmente e di quelli di una Santa Messa celebrata
concelebrando. Questa conclusione, tuttavia, sarebbe troppo affrettata. Joseph de Sainte-Marie ha osservato
che ogni Santa Messa, come un’azione di Cristo attraverso i suoi ministri, ha
un infinito valore, sicché ogni sacerdote concelebrante può ricevere la sua
offerta[111].
Né è di per sé
evidente che ogni concelebrante ottenga uno speciale stipendio o un’offerta
identica a quella di una Messa celebrata individualmente. Il testo conciliare Sacrosanctum
Concilium non indica alcunché sull’offerta nella
concelebrazione. Nei dibattiti conciliari questo tema fu toccato raramente[112]; uno dei
padri propose che il beneficio per una Messa concelebrata corrispondesse
soltanto alla metà della normale offerta[113]. Il rito
della concelebrazione pubblicato nel 1965 stabiliva che ogni concelebrante
potesse ricevere un’offerta[114]. Nel 1966,
tuttavia, la Congregazione dei Riti, rispondendo a una domanda sull’offerta per
un concelebrante in una Missa cantata, stabilì che «l’offerta appartiene
soltanto al celebrante principale e non agli altri celebranti»; se la persona
che ha offerto lo stipendio non ha fornito esplicitamente indicazioni
contrarie, l’offerta per la Missa cantata si riferisce alla sua
celebrazione individuale[115].
Nel diritto ecclesiale orientale è «lecito
anche, se corrisponde alla consuetudine legittima, accettare offerte per la
liturgia dei presantificati e per le commemorazioni nella divina liturgia»[116].
In altre parole: la possibilità di ricevere
un’offerta per la concelebrazione non risolve il dibattito sistematico sul
frutto sacramentale di una Messa concelebrata.
3. Conseguenze pratiche
La discussione
sulla concelebrazione nelle ultime decadi mostra l’importanza dell’unità
vissuta manifestata dalla concelebrazione, ma anche la necessità di
sottolineare l’evento sacramentale di ogni Santa Messa. La concelebrazione è
raccomandata per alcune occasioni speciali, ma non dovrebbe essere praticata
indiscriminatamente. Il Diritto canonico difende il diritto di ogni sacerdote
di celebrare individualmente, e a questa facoltà si dovrebbe ricorrere per
offrire ai fedeli un’ampia possibilità di partecipare ogni giorno alla
celebrazione dell’Eucaristia.
Arriva una sfida per la teologia,
quando si presentano delle misure pratiche che limitano drasticamente la
possibilità della Santa Messa celebrata individualmente, come avvenne nella
Basilica di San Pietro a Roma nel 2021. Non entriamo qui nelle particolarità
speciali della situazione locale, ma sembra opportuno segnalare una presa di
posizione del Cardinale Robert Sarah, dal 2014 al 2021 Prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il prefetto
emerito pubblicò una presa di posizione in cui il porporato riferisce
brevemente l’importanza della discussione riferita nella nostra investigazione:
«A livello teologico,
esistono almeno due posizioni attualmente mantenute dagli esperti, riguardo
alla moltiplicazione del frutto di grazia dovuto alla celebrazione della Messa.
Secondo un’opinione che si
è sviluppata nella seconda metà del Novecento, che dieci sacerdoti concelebrino
la stessa Messa, oppure che celebrino individualmente dieci Messe, non fa
alcuna differenza quanto al dono di grazia che viene da Dio offerto alla Chiesa
ed al mondo [sembra che il Cardinale pensa alla tesi di Karl Rahner, ma di
fatto si tratta dell’opinione di P. Paul Tirot OSB e altri riferita sopra].
L’altra opinione, che si
basa tra gli altri sulla teologia di san Tommaso d’Aquino e sul magistero
particolarmente di Pio XII, sostiene al contrario che concelebrando una sola
Messa si riduce il dono di grazia, perché “in più Messe si moltiplica
l’oblazione del sacrificio e quindi si moltiplica l’effetto del sacrificio e
del sacramento” (Summa Theologiae, III, q. 79, a. 7 ad 3; cf. q. 82, a. 2; cf.
anche Pio XII, “Mediator Dei”, parte II; Allocuzione del 2.11.1954; Allocuzione
del 22.9.1956) [Pio XII non tratta esplicitamente la distinzione tra le Messe
concelebrate e quelle celebrate individualmente, ma senz’altro il riferimento a
Tommaso d’Aquino corrisponde alla interpretazione riportata sopra di Joseph di
Sainte Marie OCD e altri].
Non intendo dirimere qui la
questione di quale delle due tesi sia più credibile. La seconda tesi ha
comunque dalla sua parte parecchie ragioni favorevoli e non dovrebbe essere
ignorata. Va tenuto presente che vi è come minimo la seria possibilità che,
costringendo i sacerdoti a concelebrare e quindi riducendo il numero di Messe celebrate,
si verifichi una diminuzione del dono di grazia fatto alla Chiesa e al mondo.
Se così fosse, il danno spirituale sarebbe incalcolabile»[117].
Secondo il cardinale Cañizares (Prefetto
della Congregazione per il Culto Divino dal 2008 al 2014), una «riforma della riforma liturgica» dovrebbe contemplare le
intenzioni di Sacrosanctum Concilium e Ritus servandus (1965) di Paolo VI. Egli raccomanda di limitare la frequenza delle
concelebrazioni e propone (specialmente per gli ordini religiosi) l’esempio dei
Certosini: ogni giorno la Messa conventuale è celebrata dall’ebdomadario,
mentre i monaci (anche i sacerdoti) assistono e si comunicano, e poi ogni
sacerdote celebra la Messa individualmente. La domenica e nelle altre feste c’è
però soltanto la Messa conventuale celebrata da tutti i monaci[118].
Durante il Sinodo episcopale a Roma
sull’Eucaristia (2005) fu trattato anche il tema spinoso della concelebrazione
di numerosi sacerdoti per grandi eventi. Il frutto delle discussioni fu una
certa limitazione di tali eventi:
«L’Assemblea sinodale si è soffermata a
considerare la qualità della partecipazione nelle grandi celebrazioni che
avvengono in circostanze particolari, in cui vi sono, oltre ad un grande numero
di fedeli, anche molti sacerdoti concelebranti. Da una parte, è facile
riconoscere il valore di questi momenti, specialmente quando presiede il
Vescovo attorniato dal suo presbiterio e dai diaconi. Dall’altra, in tali
circostanze possono verificarsi problemi quanto all’espressione sensibile dell’unità
del presbiterio, specialmente nella preghiera eucaristica, e quanto alla
distribuzione della santa Comunione. Si deve evitare che tali grandi
concelebrazioni creino dispersione. A ciò si provveda con strumenti adeguati di
coordinamento e sistemando il luogo di culto in modo da consentire ai
presbiteri e ai fedeli la piena e reale partecipazione. Comunque, occorre tener
presente che si tratta di concelebrazioni d’indole eccezionale e limitate a
situazioni straordinarie»[119].
In seguito a queste disposizioni della Lettera
apostolica Sacramentum
caritatis (2007), la
Congregazione per il Culto Divino fu incaricato di elaborare delle linee guida
per grandi celebrazioni, un testo pubblicato nel pontificato di Papa Francesco
nel 2014. Tra le premesse, il testo sottolinea:
«La celebrazione della Messa suppone ed esige che
quanti si radunano nel nome del Signore possano sentirsi parte di una concreta
assemblea orante e i sacerdoti concelebranti esprimere il necessario vincolo
con l’altare.
Per questo, in alcune occasioni è conveniente
valutare l’opportunità della Messa o se non sia preferibile, date le
condizioni, optare per altra celebrazione liturgica o preghiera. Raduni di
risonanza nazionale e internazionale possono trovare idonea espressione di
preghiera anche nella Liturgia delle Ore, in una Celebrazione della Parola di
Dio, nella solenne processione, esposizione e benedizione con il Santissimo
Sacramento, in una veglia di preghiera come avviene in celebri santuari,
specialmente se non è un giorno di precetto»[120].
«Spesso
l’elevato numero di concelebranti non permette di assegnare ad essi un posto
nelle vicinanze dell’altare, rendendoli tanto distanti da destare perplessità
la relazione con esso». Quando si sceglie una Messa concelebrata, si raccomanda
di limitare il numero dei concelebranti[121].
Il
Sinodo episcopale del 2005 ha portato anche una raccomandazione della
celebrazione individuale del sacrificio eucaristico, come nota Papa Benedetto
XVI:
«La
forma eucaristica dell’esistenza cristiana si manifesta indubbiamente in modo
particolare nello stato di vita sacerdotale. La spiritualità sacerdotale è
intrinsecamente eucaristica. … Egli [il sacerdote] è chiamato a essere
continuamente un autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino
alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa gli permetterà di
entrare più profondamente in comunione con il Signore e l’aiuterà a lasciarsi
possedere dall’amore di Dio, divenendone testimone in ogni circostanza anche
difficile e buia. A tale scopo, insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai
sacerdoti “la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci
fosse partecipazione di fedeli”. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto
con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae
poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con
attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del
termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella
sua vocazione»[122].
[1] Il primo problema è stato
toccato in occasione dell’anafora di Addai e Mari: si vedano ad esempio i vari
contributi in U.M. Lang (ed.), Die Anaphora von Addai und Mari. Studien
zu Eucharistie und Einsetzungsworten, Bonn 2007;
Derville (2011) 72-75; A. Santogrossi, Anaphoras
without Institution Narrative: Historical and Dogmatic Considerations, in Nova et Vetera 10 (1/2012) 27-59 (un’ottima
sintesi); C. Giraudo (ed.), The Anaphoral Genesis of
the Institution Narrative in Light of the Anaphora of Addai e Mari (OCA
295), Roma 2013; D. Heringer, Die Anaphora der
Apostel Addai und Mari. Ausdrucksform
einer eucharistischen Ekklesiologie, Göttingen 2013.
La seconda questione, con una
bibliografia più specialistica, è rintracciabile in B. Gherardini,
Sulla concelebrazione, in Divinitas 56 (1/2013) 65-86 (67s); cf. anche
Meyer (1989) 497; Commission épiscopale de liturgie, La concelebration. Repères théologiques pour
une pratique renouvelée, Ottava 1992, 30s (anche in: Notitiae 29 [1993]
187-243); Giampietro (2011) 104-106; Derville (2011) 86; Tymister (2018)
291-303.
Per il terzo tema, vedi K. Gamber, Die alte
Messe, immer noch? Überlegungen zu Volksaltar, Konzelebration und
Massengottesdiensten im Freien, Regensburg
1982; M. Gurtner, Konzelebration
und Messen als Massenveranstaltungen, in Una Voce Korrespondenz 39 (2009) 134-163;
Derville (2011) 83-89.
[3] Si vedano soprattutto (prima del Vaticano II) J. Brinktrine, Zur
Lehre von den sogenannten Messopferfrüchten, in Theologie und Glaube 41
(1951) 260-265 (contro la dottrina di Rahner sui “frutti” della Messa); B.
Neunheuser, Archiv für Liturgiewissenschaft 3 (1/1953) n. 171, 188-191 =
Catholica 9 (1953) 151-153; F. Vandenbroucke, La concélébration, acte liturgique communautaire, in La Maison-Dieu
35 (1953) 45-55; Idem, Fonctionnalité de la liturgie, in Questions
liturgiques et paroissiales 37 (1956) 81-90; J.M. Granero, Novum Pascha,
in Estudios ecclesiasticos 28 (1954) 211-237; J. Putz, Community Mass and Concelebration,
in Clergy Monthly 19 (1955) 41-53; V. Rassa, Sul criterio circa il numero
delle messe, in Rivista liturgica 42 (1955) 217-222; G. Frénaud, Théologie
du sacrifice eucharistique et pratique des messes communautaires, in Revue
grégorienne 34 (1955) 74-80; A. Michel, Valeur du sacrifice de la messe,
in L’Ami du Clergé 66 (1956) 593-602;
H.F. Davis, The Pope and Private Masses, in Clergy Review 42 (1957) 2-14;
M. Nicolau, La concelebración eucaristica, in Salmanticensis 3 (1961)
269-294; si veda anche il nome “Rahner” nella bibliografia commentata di Joseph
de Sainte-Marie (1982) 145-147; (2015) 168-171.
[4] Vedi sopra, 1.3. Per una
panoramica del dibattito dal 1954 (Pio XII, Magnificate Dominum) al 1963
(Sacrosanctum Concilium) si veda
Rheinbay (1988) 131-244 (bibliografia 294-298).
[5] K.
Rahner, Die vielen Messen als die vielen Opfer Christi, in Zeitschrift
für katholische Theologie 77 (1955) 94-101.
[6] K. Rahner, Dogmatische Bemerkungen über die Frage der
Konzelebration, in Münchener theologische Zeitschrift 6 (1955) 81-106. È apparsa anche
una traduzione in francese: Dogmatique de la concélébration, in Les
questions liturgiques et paroissiales 36 (1955) 119-135. Si veda anche il breve
articolo di dizionario: K. Rahner, Konzelebration II. Dogmatisch, in Lexikon für
Theologie und Kirche2 6 (1961) 525. Nello stesso anno Rahner rispose
ad alcuni dei suoi critici (in particolare a Putz [1955] e Michel [1956]):
Idem, Thesen über das Gebet “im Namen der Kirche”, in Zeitschrift für
katholische Theologie 83 (1961) 307-324.
[7] K. Rahner – A. Häussling, Die vielen Messen und das eine Opfer (Quaestiones disputatae 31), Freiburg
i.Br. 19662.
[8]
Rahner – Häussling (1966) 7 (prefazione dell’adattatore).
[9] Cf. Rahner – Häussling (1966) 5-6 (prefazione dell’autore).
Citiamo
qui il testo definitivo del 1966, notando però alcune differenze rispetto ai
testi precedenti. Le pubblicazioni di Rahner sul tema, intanto, sono raccolte
anche in K. Rahner, Leiblichkeit der Gnade. Schriften zur Sakramentenlehre
(Sämtliche Werke, 18), Freiburg i.Br. 2003.
Sulla dottrina
della concelebrazione di Rahner, cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 96s; 115; (2015)
110s; 133; Schmitz (1983) 511-518; P. Tirot, La
concelebration et la tradition de l’Église, in Ephemerides Liturgicae 101
(1987) 33-59; 182-214 (193-203); Rheinbay (1988) 131-244; C. Gouyaud, L’Église
instrument du salut (Croire et savoir, 41), Paris 2005, 377-381;
Gherardini (2013) 73-75. Le recensioni sul contributo di Rahner sono citate in
Rahner – Häussling (1966) 5s; vedi anche sopra, nota 124.
[10]
Rahner – Häussling (1966) 12-13. Vedi, per esempio, L. Ott,
Grundriss der Dogmatik, Freiburg
i.Br. 1952, 473s. (Bonn 200511, 563); J. Pohle
– J. Gummersbach, Dogmatik III, Paderborn
19379; reprint 1960, 377s; F. Diekamp –
K. Jüssen, Katholische Dogmatik nach den
Grundsätzen des heiligen Thomas III, Münster 196213, 221-224 (ristampa
Wil, 2013, 987-991).
[11]
Ibidem, 29-30: «Ebensowenig gilt, … dass Christus gar selbst in jeder Messe
einen neuen Akt seiner Opfergesinnung vollziehe». Cf. ibidem, 34s; 38; Idem, Die
vielen Messen (1955), 98; 100.
[12]
Ibidem, 37: «Was an neuem, jeweils wiederholten Opferakt gesetzt wird im
Messopfer, liegt auf seiten der Kirche».
[13]
Ibidem, 75: «die Gnade wird … ‘tiefer’ …
aufgenommen …, nicht aber dadurch, dass gewissermaßen eine neue Portion von
Gnade gegeben wird».
[14]
Ibidem, 83: «So ist … das Maß der Gnade auch im Sakrament einzig normiert an
der Disposition des Empfängers …».
[15]
Ibidem, 83: «Eine gegenteilige Auffassung setzt eine letztlich unvollziehbare
quantitative Auffassung von Gnade voraus …».
[16] Cf.
ibidem, 107: «so oft soll die Messe gefeiert werden, als die Häufigkeit der
Feier die fides und devotio der Feiernden mehrt». Cf. ibidem, 109.
[17]
Ibidem, 98.
[18] Cf.
ibidem, 121, nota 15; Paolo VI, Mysterium
fidei (1965): AAS 57 (1965) 761.
[19] Cf.
N. Gihr, Das
heilige Messopfer dogmatisch, liturgisch und aszetisch erklärt, Freiburg
i.Br. 1919, 147-159; A. Michel, La Messe chez
les théologiens postérieurs au Concile de Trente. Essence
et efficacité, in Dictionnaire de théologie
catholique 10 (1928) 1143-1316 (1291-1304);
Brinktrine (1951); A. García Ibañez, L’Eucaristia, dono e mistero. Trattato
storico-dogmatico sul mistero eucaristico, Roma 2006, 548-550; Ott
(2005) 563; Diekamp (2013) 988-991.
[20] Cf. Brinktrine (1951) 265;
Rahner (1949) 286 che cerca di interpretare l’evidente riferimento
all’intenzione ministeriale del sacerdote nel senso dell’intenzione di
qualsiasi partecipante all'Eucaristia.
[21]
Joseph de Sainte-Marie (1982) 96; (2015) 110; Schmitz (1983) 514.
[22]
Cf. Tirot (1987) 193-203; vedi anche Gouyaud (2005) 380s.
[23] Cf.
Michel (1956) 595; Schmitz (1983) 515; Gouyaud (2005) 380s.
[24] Cf. Schmitz (1983) 518. Per
quanto riguarda l’importanza della grazia creata (anche contro l’interpretazione
di Rahner) cf. L. Scheffczyk, Die Heilsverwirklichung in der Gnade. Gnadenlehre (Katholische Dogmatik VI), Aachen 1998, 265-275; it. La
realizzazione della salvezza nella grazia. Dottrina sulla Grazia (Dogmatica
cattolica, 6), Città del Vaticano 2019, 232-239.
[25]
Cf. G. Greshake, Konzelebration der Priester. Kritische
Analyse und Vorschläge zu einer problematischen Erneuerung des II.
Vatikanischen Konzils, in E. Klinger – K. Wittstadt (edd.), Glaube im Prozess. Christsein nach dem II.
Vatikanum, Freiburg i.Br. 1984, 258-288. Queste esposizioni sono riassunte
più avanti in Idem, Frag-würdige Konzelebration,
Heiliger Dienst 61 (2007) 238-248.
[26]
Cf. Greshake (1984) 267; 271; (2007) 240-242.
[27]
Cf. Greshake (1984) 275s; (2007) 242-244.
[28] Cf.
G. Greshake, Priestersein
in dieser Zeit, Würzburg 20053, 345-353 (“Klerikalistische
Konzelebration?”) [it.
Essere preti in questo tempo, Brescia 2008];
Cf. Idem (1984) 286; (2007) 248.
[29] Greshake (2005) 352. Egli
afferma che la concelebrazione potrebbe essere accettata, in casi straordinari,
solo in futuro dopo un cambiamento delle sue condizioni liturgiche, eliminando
la partecipazione dei concelebranti che pronunciano le parole di nostro Signore
(sic); ibidem, pp. 348-350.
[30] Cf.
Greshake (1984) 282-285; (2007) 247s.
[31] Cf.
A. Wollbold, Als
Priester leben. Ein Leitfaden, Regensburg 2010, 158-160.
[32] Cf.
Rahner – Häussling (1966) 98s.
[33]
Rahner, Konzelebration (1955) 88: «…
Konzelebration nur für wirklich außergewöhnliche Sonderfälle zu empfehlen wäre».
[34] Greshake (1984) 263.
[35] Joseph de Sainte-Marie (1982);
dopo questa data, troviamo ancora due studi storici sul diritto canonico (1983)
(cf. sopra, nota 115) e sulla riforma liturgica (1984) (cf. supra, nota 101),
completati da una risposta a Jean Galot che aveva dato un'esposizione simile
alla posizione di Paul Tirot (cf. infra punto 5.3): “Valeur
de la concélébration”. Réponse au R.P. J. Galot, S.J., in La Pensée
catholique n. 212 (1984) 64-65. Su Joseph de Sainte-Marie, si vedano anche
i trattati critici di Tirot (1987) 203-213; Gouyaud (2005) 381-386.
[36]
Joseph de Sainte-Marie (2015) (II).
[39] Schmitz (1983).
[40] R.M. Schmitz, La concélébration eucharistique: un unique sacrifice,
in Sedes Sapientiae n. 36 (1991) 25-39; La concélébration et les fruits
du sacrifice de la Messe, in Sedes Sapientiae n. 38 (1991) 25-36 (corrisponde
alla pubblicazione italiana del 1983); Incarnation, histoire et sacrifice de
la messe. Les
problèmes de la concélébration fréquente, in AA.VV., La
Liturgie Trésor de l’Église. Actes du premier colloque d’études historiques,
théologiques et canoniques sur le rite catholique romain, Paris 1995, 119-139 (versione tedesca: Inkarnation,
Geschichte und Messopfer. Die
Problematik der häufigen Konzelebration, in Una Voce Korrespondenz 26 [1996] 335-352).
[41] Tommaso d’Aquino, STh III q. 79 a. 7 ad 3. Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982)
73; (2015) 81.
[42] Cf. Joseph de Sainte-Marie
(1982) 13; (2015) 5, con riferimento a STh III q. 82 a. 2 (la consacrazione non
si ripete perché i sacerdoti concelebranti sono diretti allo stesso istante
della consacrazione guidata dal vescovo nella Messa di ordinazione).
[43] AAS 48 (1956) 717.
[44] Ibidem; cf. Joseph de
Sainte-Marie (1982) 15-16; (2015) 8-10.
[45] Cf. Joseph de Sainte-Marie
(1982) 92; (2015) 106; DH 1740.
[46] Ibidem, 457; (2015) 553.
[47] Ibidem, 458; (2015) 553.
[48] Ibidem, 101; (2015) 117.
[49] Ibidem, 460s; (2015) 556s.
[50] Schmitz (1983) 501, nota.
[51]
Schmitz (1983) 501-512.
[52]
Ibidem, 512-520.
[53]
Kleiner (1979) 675; cf. Schmitz (1983) 506-510; Joseph de Sainte-Marie (1982) 31-60;
(2015) 31-65; vedi anche Kleiner (1980) contrastato da Joseph de Sainte-Marie
(1982) 60-71; (2015) 65-79.
[54]
Schmitz (1983) 207.
[55] Schmitz (1983) 509, con
riferimento a STh I q. 36 a. 4 ad 7.
[56] Schmitz (1983) 519.
[57] E. Zoffoli, La Messa unico tesoro e la sua concelebrazione,
Roma 1991; Idem, In persona Christi: La Messa unico tesoro e la sua
concelebrazione. A cura di Aurelio Porfirio. Con testi di S.E. Mons.
Athanasius Schneider e Mons. Nicola Bux, Chorabooks, Hongkong 2021. Vedi
anche il video della discussione (del 29 luglio 2021) sul blog “Ritorno a
Itaca” in https://www.youtube.com/watch?v=wRnF0N9yQ2A
(cons. 24.4.2023).
[58] Cf. Tirot (1987) 193-203.
[59] Cf. ibidem, 203-213. Su Tirot, vedi
in particolare Schmitz (1995); Gouyaud (2005), 390-392.
[60] Cf. ibidem, 204. Questa analisi
e l’opposizione alla presentazione di Joseph Kleiner è condivisa dalla più
breve esposizione di J. Galot, Valeur de la
concélébration, Esprit et Vie nn. 21-22 (1984) 305-309; inserita ora in J.
Galot, L’Eucharistie, amour plein de vie,
Saint-Maur 2000, 109-122.
[61] Tirot (1987) 56.
[62] Cf. ibidem, 56-58.
[63] Ibidem, 58.
[64] M. de la
Taille, Mysterium fidei, Paris 1924,
354s, citato in Tirot (1987) 183.
[65] Cf. Tirot (1987) 184.
[66] Cf. Tirot (1987) 189, con
riferimento a G. Vasquez, In III P., q. 22, disp. 218, Lyon 1638, vol. VII,
377.
[67] Cf. Tirot (1987) 189; cf. J. De
Lugo, Tractatus de venerabili
Eucharistiae sacramento, disp. 19, sec. 12, n. 252: J.-P. Migne, Theologiae cursus
completus, vol. 23 (De
eucharistia. De sacrificio missae), Paris 1840, 801; Benedetto XIV, De sacrosanctae Missae sacrificio,
III,16,10: Migne, op. cit., 1185.
[68]
P. Gasparri, Tractatus
canonicus de SS. Eucharistiae,
I, Paris - Lyon 1897,
57; 396, citato in Tirot (1987) 190.
[69] B. Merkelbach,
Summa theologiae moralis, III, Paris
1933, 279, citato in Tirot (1987) 190.
[70] Michel (1928) 1295, citato da
Joseph de Sainte-Marie (1982) 28; (2015) 25s e da Tirot (1987) 204.
[71] Questa è la convinzione di
Michel (1928) 1295, condivisa da Tirot (1987) 204, ma confutata da Joseph de
Sainte-Marie (1982) 28; (2018) 25s.
[72] Tirot (1987) 205. Una posizione
simile, senza la terminologia di Maurice de la Taille, si trova in Galot (1984)
308; (2000) 118: «L’offrande du Sauveur est objectivement appropriée à l’Église
par le ministère du prêtre. Or cette appropriation est plus large dans la
concélébration …».
[73]
Cf. Tirot (1987) 207.
[74] Cf. ibidem.
[75] Cf. Tirot (1987) 214.
[76] Cf. Schmitz (1995) 120 (senza
condividere questa posizione), e V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della
Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica (Bibliotheca
“Ephemerides liturgicae”, subsidia, 100), Roma 1998, 754 [20032,
ristampa 2011, 944] che definisce la teoria del Tirot (una sola Messa, ma
virtualmente multipla nella concelebrazione) «la valutazione teologica che
sembra più accreditata e fondata».
[77] Cf.
Schmitz (1995) 136s.
[78] Cf.
Schmitz (1995) 130.
[79]
Cf. Gouyaud (2005) 392.
[80]
Cf. Gouyaud (2005) 323-399.
[81]
Cf. Gouyaud (2005) 397.
[82]
Cf. Van Havre (1992) 211-220; M. Hauke, What is the
Holy Mass? The Systematic Discussion on the “Essence” of Eucharistic Sacrifice,
in G. Deighan (ed.), Celebrating the
Eucharist: Sacrifice and Communion, Wells (U.K.) 2014, 108-134; Was ist die
Heilige Messe? Die
systematische Diskussion über das „Wesen“ des eucharistischen Opfers, in Forum Katholische Theologie 30 (2014) 6-29.
[83]
Kleiner (1980) 552.
[84]
Rahner – Häussling (1966) 127, nota 23. Lo
stesso Rahner insiste sul fatto che la consacrazione è solo un’azione
sacrificale: Rahner, Konzelebration (1955) 91; 93s; 103.
[85] Cf. Kleiner (1979) 677; (1980) 551.
In Tommaso d’Aquino vedi, per esempio, STh I q. 40 a. 1 ad 3; Margelidon –
Floucat (2011) 9.
[86] Cf. Kleiner (1979) 675.
[87] Cf. Joseph de Sainte-Marie
(1982) 36s; (2015) 35s, con riferimento a Tommaso d’Aquino, STh I q. 54 a. 2. Vedi
anche D. van Havre, Unicidad o pluralidad del sacrificio eucarístico en la
Eucaristía concelebrada, in Excerpta e dissertationibus in Sacra Theologia
XXI, Pamplona 1992, 195-255 (217; 235s).
[88] Cf. Joseph de Sainte-Marie
(1982) 45-48; (2015) 47-51.
[89] Cf. D. van Havre (1992) 237-240;
García Ibañez (2006) 481.
[90] Vedi, per esempio, Schmitz
(1983) 501-512; Tirot (1987) 206; Raffa (1998) 754 (= 2011, p. 963); Galot
(2000) 114-116; Augé (2001) 484; García Ibañez (2006) 480s; Derville (2011) 32s;
Gherardini (2013) 69-71. Gouyaud (2005) 397, tuttavia, come abbiamo
criticamente accennato sopra, parla di un’unica azione sacramentale con una pluralità
di sacrifici.
[91] Cf. Tirot (1987) 183; 203-214.
[92] Cf. Agostino, Comm. in Jo., LXXX, 3 (CCL 36, 529; PL 35, 1840); Catechismo
della Chiesa cattolica, 1228.
[94] Vedi i riferimenti specifici in M. Hauke, What is the Holy Mass?
The Systematical Discussion on the “Essence” of Eucharistic Sacrifice (punto
4.).
[95] Cf. R. Garrigou-Lagrange,
De Eucharistia, Torino – Paris 1943,
290-298, seguito, per esempio, da Piolanti (1983) 489s.
[96] Cf. B. Neunheuser,
Die numerische Identität von Kreuzesopfer und Messopfer, in Idem (ed.), Opfer Christi und Opfer der Kirche, Düsseldorf
1960, 139-151; K. Rahner – A.
Häussling, Die vielen Messen und das eine
Opfer (Quaestiones disputatae 31), Freiburg i.Br. 19662, 34-40; una
differenza numerica, tuttavia, è indicata, per esempio, da J.A. de Aldama e altri, Sacrae Theologiae Summa IV, Madrid 1953, 353s; Piolanti (1983) 432s. García Ibánez (2006) 377-380
nota che la Croce e la Messa contengono «lo stesso atto di offerta
sacrificale», citando un messaggio di Giovanni Paolo II
al Congresso Eucaristico di Lourdes, il 21 luglio 1981: Nuntius televisificus
iis cui XLII Eucharistico ex omnibus Nationibus Concentui interfuere missus, n.
2: AAS 73 (1981) 551; nella versione francese letta dal cardinale Gantin: «Vous
le savez fort bien, chers Frères et Sœurs, cette célébration eucharistique ne
fait pas nombre avec le Sacrifice de la Croix; elle ne s'y ajoute pas et ne le
multiplie pas. La Messe et la Croix ne sont qu’un seul et même sacrifice (cf.
Dominicae coenae, n. 9). Néanmoins la fraction eucharistique du pain a une
fonction essentielle, celle de mettre à notre disposition l’offrande
primordiale de la Croix. Elle la rend actuelle aujourd’hui pour notre
génération. En rendant réellement présents le Corps et le Sang du Christ sous
les espèces du pain et du vin, elle rend — du même coup — actuel et accessible
à notre génération le Sacrifice de la Croix, qui demeure, dans son unicité, le
pivot de l’histoire du salut, l’articulation essentielle entre le temps et l’éternité».
[97] Pio XII, Allocuzione Magnificate
Dominum, 2 novembre 1954: AAS 46 (1954) 669.
[98] Cf. Pio XII, Allocuzione “Vous
Nous avez demandé” al Congresso Internazionale di Liturgia Pastorale, settembre
1956: AAS 48 (1956) 711-725 (716-718).
[99]
Rahner, Die vielen Messen (1955) 100s; Rahner – Häussling (1966) 134,
nota 33.
[100]
Cf. STh III q. 79 a. 7 ad 3.
[101]
Cf. Rahner, Die vielen Messen (1955)
100: «È stato chiaramente affermato [da Rahner nel 1949/1951] ... che, per
quanto riguarda l’atto sacrificale di Cristo, una Messa e cento Messe non
possono essere “la stessa cosa”» (!). Rahner – Häussling (1966), tuttavia, non
rispettano la precisazione pontificia e parlano solo dell’importanza della
disposizione soggettiva.
[102]
Cf. Derville (2011) 25s, nota 69.
[103]
AAS 46 (1954) 669.
[104] Cf.
Rahner, Die vielen Messen (1955) 96s.
[105] Cf. Granero (1954) 236; Michel
(1956) 596s (criticamente rispetto alla risposta di Rahner). Si veda anche
Tommaso d’Aquino, Suppl. q. 71 a. 9 resp.
[106] Cf. Michel (1928) 1289-1316;
Pohle – Gummersbach III (1960) 370s; García Ibañez (2006) 548-550; Diekamp
(2013) 988-991.
[107]
Cf. Michel (1928) 1295-1298.
[108]
Cf. CIC/1983, can. 945 § 1. Sul
significato dell'offerta (stipendium), che non è solo un riconoscimento dei
frutti sacramentali della Santa Messa, si veda Meyer (1989) 239 (bibliografia);
244-247.
[109] Cf. Tirot (1987) 189; 210, con
riferimento a Benedetto XIV, De sacrosanctae Missae sacrificio, lib. III,
cap. 16, in J.-P. Migne, Theologiae cursus
theologicus , vol. 23 (De eucharistia. De sacrificio missae), Paris 1840,
1181; 1186. La
Commissione “de sacra Liturgia”, preparando il Vaticano II, ha rilevato che la
norma del CIC/1917, can. 824, dovrebbe essere valida anche per ogni
concelebrante, in relazione all’approvazione di un sinodo maronita del 1732 da
parte di Benedetto XIV (Mansi 38, 125s): AD II,III,II, 36. Si fa anche
riferimento a M. de la Taille, Mysterium
fidei, Paris 1921, 354-356.
[110]
Cf. Kleiner (1979) 678.
[111]
Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 28; 94s; (2015) 26; 107-110.
[112]
Cf. AS I,II, 11, 215, 273. Si
veda anche l’intervento un po’ cinico del cardinale Ottaviani che abbiamo già
citato: AD I,II, 20.
[113] Cf. Acta synodalia I,II, 215 (vescovo
A. Couderc).
[114] Cf. Giampietro (2011) 114.
[115] Congregazione dei Riti, Responsa
ad dubia, 18 aprile 1966, citato in Kaczynski, Enchiridion, 125, nota a; Giampietro (2011) 114.
[116] CCEO can. 715 § 2. Cf. Tymister
(2018) 188.
[117] R.
Cardinale Sarah, Osservazioni sulle nuove norme per le Messe in San Pietro,
n. 2, in Esclusivo. Il cardinale Sarah chiede al papa di ritirare il divieto
delle messe “individuali” in San Pietro, 29 marzo 2019, in http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/03/29/esclusivo-il-cardinale-sarah-chiede-al-papa-di-ritirare-il-divieto-delle-messe-%e2%80%9cindividuali%e2%80%9d-in-san-pietro/
(cons. 24.04.2023) (nota del 10.12.2023: temporaneamente, i testi italiani del
blog sono stati trasferiti sul sito francese www.diakonos.be).
[118] Cf. A. Cardinale Cañizares
Llovera, Presentazione, in Giampietro (2011) 5-9 (8).
[119] Benedetto
XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 61. Cf. Lang
(2017) 187-189.
[121] Ibidem,
9.
[122] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 80.
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