Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 986 pubblicata da Paix Liturgique il 15 dicembre 2023, in cui – in risposta alla dichiarazione di mons. de Moulins d’Amieu, secondo il quale la Chiesa in Francia ha un problema con i fedeli tradizionalisti e «Cristo non è venuto a costruire nazioni cattoliche» – si ripropone la magistrale omelia pronunciata da don Claude Barthe in occasione della Santa Messa di chiusura del 10º Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum.
Don Claude Barthe richiama la lettera enciclica Quas primas sulla regalità di Cristo di Papa Pio XI e ricorda che le nazioni un tempo battezzate secondo l’ordine del Salvatore devono ristabilire la reggenza di Cristo su tutte le loro istituzioni, per poi analizzare il rapporto tra la Santa Messa tradizionale e la dottrina della regalità di Cristo sulle nazioni.
L.V.
Dal 1º al 3 dicembre 2023, seicento seminaristi di tutte le diocesi francesi si sono riuniti a Parigi. In occasione di questo incontro, mons. Éric Marie de Moulins d’Amieu de Beaufort, Arcivescovo metropolita di Reims e Presidente della Conferenza Episcopale di Francia, ha risposto alle domande che gli avevano liberamente posto. Uno di loro ha chiesto: «La Chiesa in Francia ha un problema con i tradizionalisti?». Mons. de Moulins-Beaufort ha risposto: «Sì, senza dubbio a causa della nostra storia turbolenta dopo la Rivoluzione. Se c’è una questione centrale, è quella della teologia politica e del nostro rapporto con il mondo. Il decreto del Vaticano II sulla libertà religiosa è molto chiaro. Cristo non è venuto a costruire nazioni cattoliche, ma a fondare la Chiesa. Non è la stessa cosa. A forza di nutrire nostalgia per uno Stato cattolico, perdiamo le nostre energie per l’evangelizzazione» (facebook.com e riposte-catholique.fr Le problème de l’épiscopat avec les tradis, c’est la royauté sociale du Christ).
Possiamo solo convenire che c’è disaccordo. Certamente riguarda, direttamente e molto concretamente, la purissima lex orandi rappresentata dalla liturgia tradizionale, alla cui difesa dedichiamo tutti i nostri sforzi, ma in definitiva tocca la lex credendi, soprattutto sulla questione della teologia politica.
Ma se siamo d’accordo con l’osservazione, siamo d’altra parte stupiti dall’evacuazione dell’idea di Cristianesimo da parte del Presidente della Conferenza episcopale: «Cristo non è venuto a costruire nazioni cattoliche, ma è venuto a fondare la Chiesa». Con una sola parola, consegna all’antiquariato la dottrina tradizionale del battesimo delle nazioni come obiettivo da perseguire, sancita dalla lettera enciclica Quas primas di Papa Pio XI sulla regalità di Cristo e ricordata ogni anno dalla celebrazione della festa di Cristo Re.
Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata a chiusura del Pellegrinaggio Summorum Pontificum, incentrata proprio su questo tema.
Omelia di don Claude Barthe, Cappellano del Pellegrinaggio Summorum Pontificum, per la Festa di Cristo Re, 31 ottobre 2021 a Roma, Parrocchia della Santissima Trinità dei Pellegrini
Reverendo Padre, cari fratelli e sorelle, cari pellegrini,
come ogni anno da dieci anni a questa parte, concludiamo il nostro Pellegrinaggio ad Petri Sedem in questa Parrocchia della Santissima Trinità dei Pellegrini, che ancora una volta ci ha accolto così fraternamente, alla maniera di San Filippo Neri.
Questo pellegrinaggio della Messa tradizionale si conclude con la celebrazione di Cristo Re, come richiesto da Papa Pio XI nell’enciclica Quas primas, per ricordarci che le nazioni un tempo battezzate secondo l’ordine del Salvatore devono ristabilire la reggenza di Cristo su tutte le loro istituzioni, affinché possano essere città propriamente cristiane: «I governanti delle nazioni ti onorino con il culto pubblico!», canta l’inno dei Vespri. Già allora questo richiamo non era al passo con gli sviluppi generali, ma lo è ancora di più oggi. La trasformazione della società odierna è spaventosa, apocalittica: individualismo esacerbato, legalizzazione di ciò che la ragione naturale definirebbe crimini, sottomissione ideologica dei cosiddetti individui «liberati». E nonostante tutto questo, dobbiamo continuare a nutrire la speranza nella Città cattolica: è una speranza cristiana nella misura in cui le istituzioni, buone o cattive, cristiane o apostate, contribuiscono alla salvezza di molti o, al contrario, alla loro dannazione.
Vorrei sottolineare il rapporto tra questa Messa, per la quale siamo presenti a Roma, e la dottrina della regalità di Cristo sulle nazioni.
Senza entrare in grandi considerazioni storiche, è importante innanzitutto ricordare che questa Messa si è formata nello stesso momento in cui l’Occidente stava diventando e costituendosi come cristiano. Per quanto riguarda la sua struttura, il grande periodo della creazione di questa liturgia si colloca tra l’epoca costantiniana e quella carolingia, quando le orazioni del Canone, vera regola della fede eucaristica, e le altre grandi orazioni sacerdotali, si svilupparono contemporaneamente alla forgiatura di questa specifica lingua latina che alcuni hanno definito canonica. Per quanto riguarda la carne di questa Messa, se così possiamo chiamare le molteplici preghiere di glossa all’Ingresso, all’Offertorio e alla Comunione, la sua piena fioritura è stata raggiunta al tempo della riforma gregoriana. La Messa romana è stata pienamente costituita quando l’ideale del Cristianesimo ha raggiunto la sua maturità. È una Messa del Cristianesimo.
Ma è particolarmente importante notare che, teologicamente, questa Messa, sacrificale nella sua essenza, è allo stesso tempo regale. È Cristo che fa il suo ingresso regale nei primi momenti della cerimonia, che si rivela in epifania all’Offertorio, che «attira tutti a sé» dall’alto della Croce gloriosa al momento del Canone, che invita gli amici al suo banchetto regale al momento della comunione. L’adorazione del Signore, che si manifesta in questo modo ai suoi fedeli, è stata espressa fin dai tempi delle cattedrali dall’Elevazione, che è una sorta di ostensione del Corpo del Re.
Naturalmente, la celebrazione della Messa non è sufficiente a porre una pietra nella ricostruzione del Cristianesimo. Sono necessarie altre battaglie. Ma il carattere antimoderno della nostra liturgia, al contrario di una liturgia che imita mode e linguaggi secolari, ci aiuta con forza a imprimere l’impronta sacerdotale e regale di Cristo a tutta la nostra vita personale, familiare e pubblica.
Certamente, la regalità di Cristo oggi assomiglia più che mai a quella che fu durante la Passione di Nostro Signore. È soprattutto meditando il racconto di San Giovanni che possiamo condividere i sentimenti di questo Re la cui regalità è provvidenzialmente proclamata e allo stesso tempo derisa: Cristo è vestito con la veste rossa dei re, ma è per deriderlo; è incoronato, ma con una corona di spine; il suo titolo regale è riconosciuto, ma è esposto su un patibolo infamante. «Non vogliamo che quest’uomo regni su di noi» (Lc 19,14), sono le parole degli Stati moderni fin dalla loro nascita, così come delle entità sovra- o para-nazionali, finanziarie e ideologiche che ci governano. Lo ripetono ogni giorno, soprattutto manifestando il loro odio per la legge iscritta da Dio nel cuore degli uomini.
E noi, che stiamo vivendo questo estremo abbattimento della regalità di Cristo, dobbiamo usare questo mondo apostata come se non lo usassimo, per dirla con San Paolo, vivendo e agendo in esso senza partecipare alle sue opere malvagie, il che non è facile, per la difficoltà di sapere cosa possiamo o non possiamo fare, e anche per le rinunce crocifiggenti che questo può comportare. Ognuno di noi ha dei doveri di azione e di astensione, a seconda dei casi, che possono variare a seconda dell’individuo, della sua condizione e delle sue capacità, ma per tutti c’è l’obbligo prioritario di fare in modo che ciò che abbiamo ricevuto sia trasmesso alle generazioni future.
«Gesù», disse il Buon Ladrone, «ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno». In altre parole, mentre Pietro rinnegava la sua fede e gli Apostoli, ad eccezione di San Giovanni, si nascondevano, fu questo uomo morente a fare la più straordinaria confessione della regalità di Cristo. E diventa il primo santo cristiano: «Questa notte stessa sarai con me in Paradiso. Questa confessione sia la nostra». Nel brano che fa da introduzione a questa Messa, l’Apocalisse dice: «Degno è l’Agnello che è stato ucciso di ricevere potenza, divinità, sapienza, forza e onore; a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli».
Pellegrini, ci rivediamo l’anno prossimo! E che Dio, in questo prossimo anno, sostenga i nostri sforzi e le nostre fatiche al servizio di una liturgia regale, che ha in qualche modo affidato a noi, fedeli, sacerdoti, domani vescovi. Maria Regina, Maria nostra Regina, non abbandonarci!
Piccoli passi. Piccoli passi, ma finalmente si riconosce che c’è un problema del tradizionalismo. Speriamo che si investighi bene, si guardino i frutti, si guardino le persone che ne fanno parte, le ideologie che vengono portate avanti e, soprattutto, i toni ed i metodi.
RispondiEliminaIl problema c’è, ed è enorme.
In Francia per tanti motivi (vicende storiche antiche e recenti, ruolo dello stato, consistenza numerica) la frattura tra il movimento tradizionalista e i vertici della Chiesa è particolarmente aspra. Benedetto XVI aveva abbozzato una strada per giungere alla riconciliazione, non perfetta certo ma amorosa e a suo modo coerente. Purtroppo entrambe le parti non sono state generose verso questo tentativo. Ora purtroppo quella strada si è interrotta e Francesco ha affrontato il problema con tutt'altro stile: in vari casi con durezza, a volte invece con concessioni sorprendenti. Vedremo l'esito di questo approccio.
RispondiElimina