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lunedì 25 dicembre 2023

Il coraggio è un dovere… e la religione del vero coraggio è proprio il Cristianesimo #religione #cristianesimo

Dedicato a noi cattolici di oggi, spesso mollicci e pavidi.
Luigi C.

Il Cammino dei Tre Sentieri, 19 NOVEMBRE 2023

Rubrica a cura di Corrado Gnerre

Scrive il primo libro di Samuele: “I deboli sono rivestiti di vigore./(…)/Dalla polvere egli solleva il misero./ Innalza il povero dalle immondizie,/ per farli sedere con i capi del popolo,/ e assegnar loro un seggio di gloria.”
Il coraggio solitamente fa parte del temperamento. Ci sono uomini a cui il coraggio viene fuori spontaneamente; ce ne sono altri in cui altrettanto spontaneamente vien fuori la paura. Questo nella natura ferita. Ora –si sa- la natura ha la sua importanza e si sa anche che la Grazia può perfezionare ma non certo annullare la natura stessa.
Ma, al di là della natura, come abbiamo letto, il Dio dell’Antico Testamento, ovvero il Dio cristiano (essendo quello dell’Antica Alleanza lo stesso della Nuova) promette che i deboli possano essere “rivestiti di vigore”. C’è però una condizione affinché questo avvenga: che si sia “poveri”. Il testo dice infatti: “Innalza il povero dalle immondizie.”

Cosa vuol dire essere povero nel linguaggio biblico? Non certamente non avere nulla o avere poco materialmente (anche questo, ma non solo), piuttosto capire che la ricchezza non è nel proprio essere, ma nell’appartenenza a Dio.

Mentre il “ricco” –biblicamente- è colui che si sente tanto “ricco” di sé da illudersi di non aver bisogno di Dio; il “povero” è invece chi si scopre limitato e capisce che deve chiedere aiuto, che non può vivere se non con Dio; che tutta la sua ricchezza è nell’appartenere a Dio. San Pio da Pietrelcina amava dire: “Chi ha Dio, ha tutto!”, il che –ovviamente- vuol dire che chi non ha Dio, non ha nulla.

Tornando però alla questione del coraggio, bisogna ben capire perché il bisogno di Dio sia capace di trasformare e di conferire il vero coraggio; e invece quando questo bisogno non c’è, si rischia seriamente di affogare nella viltà.

E’ presto detto. Vivere capendo della necessità di Dio, e quindi che senza Dio non si è nulla, apre a due prospettive importanti: da una parte la necessità di sostituire la propria volontà con quella di Dio; dall’altra la dimensione dell’offerta di sé e quindi il liberarsi da qualsiasi istinto egoistico.

Iniziamo con la prima: la necessità di sostituire la propria volontà con quella di Dio; ovvero agire come Dio vuole e non come vuole il proprio ‘io’.

Ai Galati san Paolo (2, 20) lo dice molto chiaramente: “Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me.” D’altronde c’è una logica: se non basto a me stesso, se mi scopro talmente “povero” da aver necessariamente bisogno di Dio, allora non può il mio pensiero divenire il criterio di giudizio della mia vita. Sarebbe assurdo se così fosse. Dovrò sempre scoprire in Dio e nella sua volontà i criteri per la mia vita. Ora, non c’è atto più coraggioso che decidere di dominare talmente se stesso da – liberamente – scegliere che il criterio di un altro (in questo caso di Dio) diventi il proprio criterio.

Gesù afferma che il Regno dei Cieli patisce violenza e solo i violenti potranno ereditarlo (Matteo 11,12). Cioè l’uomo potrà guadagnare il Paradiso nel momento in cui saprà “violentare” se stesso. Diciamocelo francamente: è molto più difficile (e anche più coraggioso) lottare contro se stessi che contro gli altri.

Veniamo alla seconda prospettiva aperta dalla consapevolezza della necessità di Dio. Ovvero: la dimensione dell’offerta di sé.

Il sacrificio di sé può essere l’esito di due convinzioni: o sacrificarsi per il gusto di sacrificarsi, ben sapendo che non sarà possibile alcuna ricompensa eterna; o invece sacrificarsi per un fine che trascende il sacrificio stesso: una ricompensa successiva o l’amore verso qualcuno.

Nel primo caso il sacrificio si connota come una vera e propria patologia, perché si configura come un atto che non ha nulla di umano. Sacrificarsi per il gusto di sacrificarsi sa di masochismo. In una situazione di questo tipo non ha senso parlare di coraggio, perché il coraggio può esserci nella valutazione del pericolo e nella constatazione che in un gesto si va a rischiare ciò a cui si deve tenere: la vita.

Nel secondo caso, invece, il sacrificio si manifesta come un gesto davvero umano. In questo caso il sacrificio non è amato di per sé; bensì per il suo significato e la sua finalizzazione. Ci si sacrifica per qualcosa che ancora non si possiede, ma che si ritiene indispensabile per la propria vita (una ricompensa successiva) e ci si sacrifica anche per l’amore verso qualcuno.

Solo in questa seconda prospettiva è possibile il coraggio, perché il sacrificio non presuppone la svalutazione (anzi) di ciò che si va a rischiare (per esempio la propria vita): si continua ad amare il bene che si rischia di perdere, ma lo si offre per un bene superiore. Il coraggio, infatti, si misura dalla capacità di rischiare ciò che si valuta importante.

Questa seconda possibilità si amplifica nel Cristianesimo, laddove l’amore per la propria vita ha un senso riconosciuto, e laddove ciò che si guadagna con il sacrificio ha proporzioni enormi: la conquista di una vita eternamente felice e l’amore a Dio, unica vera Fonte di questa felicità.

2 commenti:

  1. Signore donaci coraggio!
    Siamo di fronte alla terza "crisi ecclesiale epocale" dopo quella con Ario che ha portato in fin dei conti, dopo 3 secoli, alla nascita dell'Islam che non riconosce la divinità di Cristo... e a quella con Lutero, di una fede in Cristo senza Chiesa, Santità e Sacramenti, che ha sdoganato la modernità, l'individualismo, i totalitarismi atei, il nichilismo... o siamo all'apice di quest'ultima seconda crisi...
    Ma questa volta colpiti dal dentro... perchè il fumo di Satana è entrato nella Chiesa... dichiarazioni pluralista ambigue, statue di Lutero, pachamama, e avanti sempre così fino a pochi giorni fa... mi viene da chiamare questa crisi: "la grande apostasia cattolica".
    Signore abbiamo bisogno di Te! "Resta con noi"!!!

    Pur non essendo un sostenitore della Messa in latino oggi, non vedo il motivo di fare una caccia alle streghe con i cattolici che hanno questa sensibilità. Si potrebbero benissimo mantenere chiese/santuari nelle diocesi con questa attenzione e sensibilizzare comunque il clero in modo da vivere il novus ordo senza discontinuità. Vi ringrazio per le notizie di questi giorni riguardo all'opposizione di molti vescovi nel mondo alle benedizioni di coppie omosessuali.
    Ci aiutano a comprendere che non siamo soli nella difesa della dottrina bimillenaria ecclesiale.

    Buon Natale!

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  2. Nelle difficoltà della vita noi cristiani non siamo mai soli .

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