Pubblichiamo di seguito l'intervista a Francesco Filipazzi, di Campari & de Maistre, curatore del volume "Benedetto XVI. L'ultimo europeo", che abbiamo recensito QUI.
QUI un'altra intervista sul volume.
Luigi
Nazione Futura, 4-10-23, Maria Alessandra Varone
Il titolo del testo, “Benedetto XVI Ultimo Europeo”, colpisce molto. Ci si aspetterebbe, infatti, qualcosa come “l’ultimo tradizionalista”, “l’ultimo conservatore”. Invece no, qualcosa di più ampio respiro: europeo. Come mai questa scelta?
Benedetto XVI, prima e durante il suo emeritato, è stato definito da molti l’ultimo papa europeo. Ed era stato anche pubblicato un libro, dal titolo “L’ultimo papa europeo”. Noi invece diciamo “l’ultimo europeo”, in senso più largo, perché vogliamo mettere l’accento sul fatto che è stato l’ultimo rappresentante di una cultura europea, che ha dato non solo al cristianesimo, ma proprio al valore della cultura europea nella sua interezza – arte, musica, filosofia – un posto principale nel proprio pensiero. È stato l’ultimo grande intellettuale a concepire il ruolo dell’Europa nella storia del mondo e del pensiero, esaltandola, e non denigrandola, come tende a fare il vento della storia oggi. Che tende a fare del passato d’Europa un disvalore di cui vergognarsi, quando si tratta di un portato che è forse il più fulgido e luminoso esempio di quanto possa proporre l’intelletto umano. Benedetto XVI, per esempio, è stato un grandissimo esperto di musica classica. Questo è solo un esempio delle principali manifestazioni di questo grande valore che egli ha dato alla cultura europea. Che, ovviamente, si è trasmesso nel suo insegnamento teologico e magisteriale.
Come valuti questo forte intellettualismo che ha connotato tutto il pontificato di Benedetto XVI? La grande attenzione verso un continuo confronto con laici ed atei, da alcuni considerata, forse, eccessiva?
Questo approccio molto profondo, molto intellettuale, molto colto, in realtà ha permesso al cattolicesimo, sia durante il pontificato, ma anche in precedenza, sotto quello di Giovanni Paolo II, in cui lui comunque aveva un ruolo centrale, di dialogare con mondi e con realtà spesso ostili. E molti, in questo sforzo culturale e dialogico del papa, rimanevano anche affascinati da questo intelletto, da questa persona. Ciò ha fatto crescere il cattolicesimo in un modo inaspettato, non con l’idea di abbassare il livello del dialogo, ma di elevarlo. Già da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Ratzinger, infatti, giocava a rialzo.
Pensi che Benedetto XVI, il papa intellettuale, abbia risentito, negli esiti del pontificato, dell’essersi trovato tra Giovanni Paolo II, il grande il carismatico, e l’idea, che andava diffondendosi, di un papa nuovo, che fosse “il papa popolare”, come Francesco?
Molti vedono il pontificato di Benedetto XVI come una continuazione di quello di Giovanni Paolo II. In parte è vero, soprattutto per quanto riguarda i grandi temi morali. Va anche detto che, in effetti, comunicativamente Benedetto XVI si mostra diverso, molto meno d’impatto rispetto al predecessore. Ma nonostante questo, comunque riesce a conquistare una buona fetta del cattolicesimo, infatti molti movimenti sono poi cresciuti sotto il suo pontificato.
Il fascino intellettuale di Benedetto XVI è innegabile, infatti si potrebbe parlare, in questi ultimi anni, quasi di un “ritorno a Raztinger”. Si ha quasi l’idea di un papa difficile da abbandonare, da lasciare indietro, a cui rinunciare. Che ne dici?
Certo. Anche perché è stato un personaggio centrale dal Concilio Vaticano II. Quindi è difficile parlare della teologia moderna e del suo sviluppo negli ultimi sessant’anni senza parlare di lui. Però, effettivamente, anche in occasione della sua morte ci siamo accorti che gli orfani di Benedetto XVI sono tantissimi, sia all’interno del clero, molti sacerdoti che sono stati ordinati sotto il suo pontificato, che fuori, hanno perso un importante punto di riferimento. Ricordiamoci che, anche se a noi non piace parlare in termini di numeri e sondaggi, sotto il pontificato di Benedetto XVI, le vocazioni sono state molte, mettendo in luce cose che forse non ci si aspettava.
La teologia di Ratzinger è moderna, ma non per questo modernista. Tu che ne pensi?
Sono d’accordo. È uno dei punti chiave e c’è un capitolo su Ratzinger al Concilio che consiglio di leggere con attenzione. Da una parte, infatti, si cerca di legarlo al tradizionalismo, ma dall’altro, non era tradizionalista, nel senso in cui viene comunemente inteso. Tuttavia, non era neanche modernista, perché non ha cercato di insegnare qualcosa di nuovo, non c’è un sistema di pensiero di Ratzinger. È stato moderno nel prendere l’insegnamento della Chiesa e nel riproporlo. Per esempio, è stato il primo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede a fare delle esternazioni pubbliche come quelle contenute in “Rapporto sulla fede”. Quindi, nei metodi, è stato sicuramente moderno. Ma, appunto, assolutamente non modernista. È rimasto sempre fedele alla dottrina, infatti vi è un capitolo sul Concilio Vaticano II che va ricordato. La sua presenza ed il suo ruolo sono stati equivocati. Alcuni lo ascrivevano ai modernisti, ma egli si distaccò immediatamente quando si è accorto che la questione non era esattamente quel che lui intendeva: i modernisti volevano rivoluzionarie la Chiesa, lui no.
Vorrei chiudere con una domanda un po’pungente. Sei d’accordo nel definire, come alcuni, Benedetto XVI l’ultimo papa?
No. La Chiesa va avanti fino alla venuta di Cristo. Qualunque sia il papa, è papa. Con tutti i limiti umani che un pontefice può avere, la promessa di Gesù Cristo è che la Chiesa ci sarà fino al ritorno di Cristo, e così il papa.