Luigi C.
Francesco, il papa argentino (ovvero peronista)
Le Cronache di Papa Francesco, 4-12-24
Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha volutamente dato segnali di discontinuità con il passato degli immediati predecessori non solo nell’applicazione del Vaticano II, ma persino nella stessa concezione del papato. Il Vescovo di Roma, titolo che egli predilige, non deve più apparire come un monarca, ma mostrarsi come un uomo del popolo, voluto dal popolo. Dal rifiuto d’indossare l’abito corale al cambiamento delle esequie pontificie, Francesco ha dimostrato come vuole che il suo pontificato — e la sua persona — venga ricordato, per segnare un punto di non ritorno nella Chiesa. Non dobbiamo dimenticare infatti che egli, oltre che un gesuita arruppiano, è un argentino dell’epoca peronista. Il dittatore argentino Peron è stato un uomo di sinistra che ha saputo riciclarsi a destra, affascinando le masse — il pueblo — col suo stile informale e anticonformista. In realtà, fu il più conformista dei “populisti“: voleva il potere e il potere tenne tutto per sé.
Il giovane Jorge Mario Bergoglio forse non ne condivideva le idee politiche, ma ne apprezzava l’idea e il talento di saper mostrarsi come un uomo qualunque diventato leader non per sua scelta ma per volere del popolo. Lo stile autocrate e personalista del governo di Francesco è macchiato anche del peronismo: il papato viene desacralizzato alla massima potenza, arrivando al culto della personalità dell’uomo. Francesco insiste che le sue “riforme” sono volute dal popolo — ispirate dallo “Spirito” con la sinodalità –, ma, in realtà egli sta svuotando il papato della sua autorità per concentrare su di sé tutto il potere che ne deriva, non curandosi non solo della Tradizione, ma persino dallo stesso post-Vaticano II. Tutto è ricominciato con il suo pontificato e tutto potrà continuare solo se, dopo di lui, si proseguirà sulla strada da lui indicata, anzi imposta, abusando del suo ruolo di Successore di Pietro. Non è questo il peggior clericalismo — e peronismo — di sempre? Per approfondire suggeriamo la lettura del seguente articolo del vaticanista Andrea Gagliarducci che pubblichiamo con una nostra traduzione.
di Andrea Gagliarducci (da Monday Vatican del 2 dicembre 2024)
Il nuovo rito funebre pontificio ha un particolare sorprendente: nella prima fase, quella in casa, il Papa defunto viene esposto con una semplice tonaca bianca. Ciò è particolarmente insolito. I sacerdoti sono composti nei loro paramenti perché un sacerdote è sacerdote per sempre. A maggior ragione per un vescovo, che è “sommo sacerdote” e possiede quella che nel linguaggio cattolico chiamiamo “pienezza del sacerdozio”. Tutto torna alla normalità quando l’esposizione è pubblica, nella seconda fase, e il Papa è vestito con paramenti rossi. Tuttavia, i dettagli dicono qualcosa.
L’idea sembra essere quella di rendere le esequie del Papa quelle di un pastore. Il Papa non è più Papa ma un uomo tra gli uomini, e quindi, in una semplice tonaca bianca. Se questa è la lettura, essa è problematica per diversi motivi.
In primo luogo, il papa è pur sempre un sacerdote e il sacramento dell’Ordine Sacro non è un segno di potere. Anche se la scelta di esporre il papa in una semplice tonaca all’inizio sembra essere guidata dal desiderio di sradicare e scartare ogni segno e simbolo di privilegio clericale, la sostanza del clericalismo, l’esposizione di un sacerdote nelle vesti di un sacerdote è un mero riconoscimento di una vocazione visibilmente operata tra gli uomini come uno chiamato a essere un ministro di Dio.
La scelta è quindi problematica perché rivela un approccio distorto all’intera simbologia papale (e forse ai simboli in generale).
Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco non ha voluto usare la mozzetta rossa, considerandola un esempio del potere temporale del Papa. Non ha mai voluto indossare le scarpe rosse, simbolo del martirio dei papi. Per quanto riguarda la sua preferenza per le scarpe da zoccolo su misura che sono le sue calzature, Francesco è registrato come preferente alla continuità personale e alla discontinuità ufficiale. Queste sono le scarpe che ha sempre indossato, già da ragazzo.
Francesco è quello che paga la camera d’albergo dove ha dormito prima del Conclave (un gesto più mediatico che reale, perché l’hotel è di proprietà della Santa Sede, e quindi il Papa si pagava da solo); è quello che fa venire a Santa Marta i funzionari dell’ambasciata argentina per rinnovargli il passaporto (ma il Papa non ha bisogno del visto, è lui che fa i passaporti); è quello che va dall’ottico a farsi cambiare gli occhiali, o dall’ortopedico o dal negozio di dischi.
Nella sua prima visita ufficiale al Presidente della Repubblica italiana al Quirinale (un tempo residenza papale), Francesco decise di evitare il protocollo che prevedeva la processione, sminuendo di fatto l’importanza dell’incontro, quasi come se si trattasse semplicemente di un altro visitatore.
Non che altri Papi non l’abbiano già fatto. Giovanni Paolo II era famoso per le sue incursioni fuori dal Vaticano, soprattutto all’inizio del suo pontificato, ma queste erano tenute nel più stretto riserbo. Giovanni XXIII era intollerante al Vaticano e usciva persino senza scorta. E si dice che persino Benedetto XVI, avendo a lungo mantenuto la sua casa e la sua biblioteca in Piazza della Città Leonina, ci andasse di tanto in tanto in privato, a volte anche visitando il suo vecchio vicino, il cardinale Virgilio Noé.
Ma c’è qualcosa di diverso nelle scelte di Papa Francesco, qualcosa di ostentato nella sua noncuranza. È l’idea di dover dare un segno a un mondo che, secondo lui, deve cambiare. È una forma di potere, in qualche modo mascherata, però, dall’idea di togliere ogni potere.
È, in sostanza, il paradigma di Juan Domingo Perón e dei descamisados (scamiciati) che erano i poveri lavoratori e il principale sostegno politico di Perón. All’inizio del suo pontificato, si è molto discusso sulla mentalità peronista di Papa Francesco. Lo stesso Francesco una volta ha spiegato che si definiva un populista, non capendo che la lettura del populismo in Occidente è diversa da quella argentina.
Essere perónista non significa necessariamente essere un seguace di Juan Domingo Perón in materia di politica. Significa, invece, essere imbevuti della mentalità argentina che era affascinata da Perón. E in che modo Perón li affascinò? Togliendosi la camicia con i descamisados e professandosi come uno di loro. Pochi capirono che, togliendosi la camicia, Perón stava dicendo esattamente l’opposto: che rappresentava il potere e stava “scendendo” al livello dei descamisados. I descamisados lo consideravano uno di loro.
Papa Francesco compie molti gesti “argentini”, e non potrebbe essere altrimenti. Egli è argentino; ha conosciuto solo l’esempio argentino. Fino a quando non è diventato pontefice, non ha nemmeno viaggiato molto, né ha avuto un interesse particolare per le cose del mondo. Tutte le sue scelte sono condizionate dalla sua esperienza in Argentina.
Oltre a spogliarsi dei segni del potere per garantire l’immortalità nella memoria degli uomini, esistono altri tipi di misure.
La nomina di un amministratore unico del Fondo Pensioni in Vaticano potrebbe avere alle spalle, ad esempio, l’incubo dell’esperienza argentina del corralito o del congelamento della liquidità. In un periodo di difficoltà economiche, Papa Francesco potrebbe anche adottare le misure del governo argentino, che ha sospeso anche il pagamento delle pensioni finché l’economia non avesse raggiunto livelli accettabili.
Tuttavia, in questi ultimi anni del suo pontificato è mancato qualcosa: il concetto di pueblo.
Nel 2016, il professor Loris Zanatta dell’Università di Bologna ha dedicato un saggio e poi un libro al populismo di Francesco. Studioso del peronismo argentino, Zanatta ha individuato i modelli che riteneva fossero in continuità e ha evidenziato che il concetto chiave di Papa Francesco era quello di pueblo, cioè popolo.
Negli ultimi quattro anni del suo pontificato, però, il tema del popolo è lentamente scomparso.
Non ci sono stati più incontri con i movimenti popolari, fatta eccezione per un messaggio per celebrare il decimo anniversario del movimento. D’altra parte, ci sono stati più interventi da parte del governo centrale, che non guarda al popolo ma prende decisioni per esso.
Lo si è visto in molti ambiti: nella “restringimento” della Messa tradizionale alla lettera con cui il Papa ha sottolineato che il documento finale del Sinodo è da considerarsi parte del magistero; nella reazione alle critiche sulla dichiarazione della Dottrina della fede, Fiducia Supplicans, sulla benedizione delle coppie irregolari, fino al caso dello sventurato don Ivan Rupnik, accusato di abusi seriali perpetrati nell’arco di tre decenni ai danni di donne per lo più religiose (in linea, in generale, con la gestione di altri casi di abusi che hanno coinvolto persone vicine a Papa Francesco).
In definitiva, papa Francesco ha sempre più accentrato il potere su di sé, allontanando – come si vede dalle scelte dei cardinali – coloro che avrebbero potuto esercitare il potere con lui dai centri di potere stessi. Nelle sue decisioni, Francesco è un papa arbitrario che non segue una logica retta ma vive di eccezioni. La diocesi di Roma sembrava destinata a rimanere senza ausiliari, ad esempio, e con vicari episcopali al posto dei vescovi ausiliari. Tuttavia, il settore meridionale ha ricevuto un nuovo ausiliare, Tarantelli Baccari, che il papa ha nominato vicegerente.
Il concetto di popolo rimane quando si parla di devozione popolare, ma si perde nei discorsi in cui il Papa attacca sempre più spesso il carrierismo e il clericalismo.
È per questo che il Papa non è mai tornato in Argentina? Un viaggio in Argentina chiarirebbe il suo modo di pensare e mostrerebbe come, una volta arrivato al potere, potrebbe anche staccarsi da quella mentalità. Un viaggio in Argentina potrebbe minare l’immagine di Papa Francesco?
È una domanda legittima, considerando che il Papa sottolinea nella sua biografia, quella pubblicata prima della sua elezione a Papa, di aver avuto così tanta nostalgia dell’Argentina in Germania che è andato all’aeroporto a guardare gli aerei in partenza per la sua patria. Perché non c’è più nostalgia da quando Francesco è diventato Papa?
Nel frattempo, Papa Francesco ha iniziato a eliminare i simboli, a usarne di nuovi e a sistemare le cose in modo diverso. Molti papi lo hanno fatto, ma persino Paolo VI non ha abolito la Casa Pontificia. L’ha riformata, mantenendo la continuità con il passato.
Papa Francesco vuole inviare un segnale diverso. Vuole far capire che il vecchio mondo del potere è finito.
Il punto è che non può esserlo. Viene sostituito da nuove forme di potere, con nuovi simboli che, tuttavia, hanno meno profondità, perché hanno meno storia.
Il risultato è una perdita di identità profonda. E, paradossalmente, in un pontificato che si dichiara estroverso e missionario, il ruolo stesso del sacerdote finisce per essere considerato in funzione del potere. Tutto è per il popolo, ma il popolo non c’è più.