Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 969 pubblicata da Paix Liturgique il 24 ottobre, in cui il giornalista Rémi Fontaine (nella foto con San Giovanni Paolo II) ripercorre la II Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi sul «XX anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II» (25 novembre - 8 dicembre 1985), che seguì come inviato speciale del quotidiano cattolico tradizionalista Présent.
Si tratta di alcune note inedite che riassumono i suoi resoconti al quotidiano dell’epoca. Un «giornale», soprattutto, d’atmosfera, il cui contenuto rivela quanto l’attuale XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi «per una Chiesa sinodale» rifletta – come un tremendo, aggravato e tragico «ritorno» – le turbolenze dialettiche degli anni ’80 che il card. Joseph Aloisius Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, voleva denunciare e superare a fianco di San Giovanni Paolo II (dopo il suo famoso libro-intervista al giornalista e scrittore Vittorio Messori Rapporto sulla fede, edito proprio in quell’anno 1985).
L.V.
25 novembre 1985 nella Sala stampa della Santa Sede
La domanda è stata posta da un giornalista al card. Godfried Maria Jules Danneels, relatore generale del Sinodo. La domanda si riferisce, ovviamente, al libro-intervista Rapporto sulla fede del card. Joseph Aloisius Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che è visto come una minaccia dagli ambienti progressisti. Una minaccia che lo slancio del Concilio Vaticano II sarebbe compromesso da un’interpretazione troppo letterale e restrittiva e da un aumento degli avvertimenti e dei richiami alla disciplina.
Il card. Godfried Maria Jules Danneels, scelto dal Papa, ha risposto: «Non stiamo facendo un Sinodo su un libro, ma su un Concilio… Non siamo venuti a beatificare nessuno, né il card. Ratzinger né mons. James William Malone [un altro giornalista aveva appena contrapposto mons. Malone, Presidente della United States Conference of Catholic Bishops, al card. Ratzinger], né a condannarli come peccatori». Poi, prendendo il bicchiere d’acqua davanti a sé: «Non sto cercando di capire se questo bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto. Sto cercando il contenuto della bottiglia!».
E il card. John Joseph Krol, Arcivescovo metropolita di Filadelfia e Presidente delegato del Sinodo, anch’egli scelto dal Papa, ha aggiunto: «Da un punto di vista giuridico, non c’è alcuna possibilità che un Sinodo riveda, emendi o estenda il Concilio Vaticano II in alcun modo».
Il tono è stato impostato fin dall’inizio. C’è il «fatto oggettivo della realtà del Concilio», come dice il card. John Joseph Krol, che è la fonte intangibile a cui i Vescovi di oggi devono abbeverarsi tanto quanto lo era la Rivelazione per i teologi di un tempo. Una sorta di quinto Vangelo, che ha portato mons. [dal 1988 card.: N.d.T.] Antony Padiyara, Arcieparca metropolita di Ernakulam-Angamaly [dei Siro-Malabresi: N.d.T.], ad esempio, a dire: «Tutto ciò che ho sperimentato [cioè durante il Concilio Vaticano II] mi permette di vivere!».
Il Concilio Vaticano II come principio di vita!
Sì, fin dall’inizio il tono è stato impostato: il Concilio Vaticano II rimane del tutto «valido» e ancora di più, perché deve essere conosciuto, studiato e applicato nella sua interezza. Da nessuna parte si parla di «riequilibrio» o «restaurazione»: si dichiara implicitamente guerra al card. Joseph Aloisius Ratzinger e ai «pessimisti»: «In principio era il Concilio! Tutto è stato fatto per mezzo di esso, e senza di esso niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In esso era la vita e la vita era la luce degli uomini»! Questo era l’incredibile prologo del Sinodo straordinario, con la sua litania di ditirambi e la sua parola d’ordine: «Tutto il Concilio e nient’altro che il Concilio»! Si parlava di principio di legittimità cattolica. Quasi tutti gli interventi sono iniziati con una professione di fede incondizionata nel Concilio pastorale dell’autorità carismatica.
Per quanto lo negassero, erano costretti a collocarsi in relazione alla diagnosi del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Relegando questa diagnosi al livello di un’opinione soggettiva, rispettabile certo, ma fantasiosa come gli eccessi di un don Hans Küng, ci siamo necessariamente posti nella posizione di chi vuole solo conservare l’effetto inebriante di un «bicchiere», qualunque sia il suo contenuto e la sua qualità. Qualunque sia il liquido, basta che ci si ubriachi! E infatti lo abbiamo fatto…
E conosciamo la fine: «Non fermiamoci davanti agli errori, alle confusioni, ai difetti che, a causa del peccato e della debolezza dell’uomo, sono stati occasione di sofferenze in seno al popolo di Dio» (Messaggio al popolo di Dio, 7 dicembre 1985, votato quasi all’unanimità dai padri sinodali).
Il giornalista e scrittore Jean Madiran ha commentato in modo notevole questa ammissione finale sul quotidiano Présent (12 dicembre 1985): «Non si sono fermati, ci sono passati sopra, ne parlano già al passato, come se queste sofferenze, queste colpe e queste confusioni fossero scomparse spontaneamente. Eppure hanno visto. Hanno visto e non si sono fermati: c’è un precedente, che è scritto nel decimo capitolo del Vangelo secondo San Luca. Il popolo di Dio del nostro tempo è come un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti. Lo avevano spogliato, percosso, lasciato coperto di ferite, mezzo morto, semivivo. Accadde che un Concilio scendesse per la stessa strada: lo vide e non si fermò: praeterivit. Allo stesso modo, un Sinodo arrivò nello stesso luogo: lo guardò e non si fermò nemmeno lui: pertransiit. Il popolo di Dio sta ancora aspettando il suo Buon Samaritano»¹.
La cecità in cui è immerso questo testo sinodale (che non menziona da nessuna parte il messaggio della Beata Vergine a Fatima) si può vedere in questa frase sorprendente: «Per l’umanità c’è una via – e ne vediamo già i segni – che conduce ad una civiltà della condivisione, della solidarietà e dell’amore; ad una civiltà che è la sola degna dell’uomo».
Questo ottimismo messianico, che il card. Joseph Aloisius Ratzinger definisce «neotriomorfismo» (clericalismo) post-conciliare, è certamente colpevole in un mondo occupato per metà dal Comunismo intrinsecamente perverso che continua ad avanzare. Di questo Comunismo non si è parlato, a parte un intervento del card. Silvio Angelo Pio Oddi². «La secolarizzazione è una tentazione che può sconfiggere una Chiesa», ha avvertito il card. Józef Glemp, Primate di Polonia. «La Chiesa renderà un servizio migliore al mondo nella misura in cui sarà diversa dal mondo. È e deve rimanere un segno di contraddizione».
Il Concilio Vaticano II è stato «una manifestazione di orgoglio», ha detto un altro Cardinale isolato: «Il male degli Episcopati di oggi è che si rifiutano di riconoscere l’invasione di questo orgoglio dal Concilio Vaticano II». Questo Sinodo lo testimonia ancora una volta con un’affermazione esorbitante: «Come gli apostoli riuniti nel Cenacolo con Maria conclusero il messaggio al popolo di Dio, così lo Spirito Santo ci insegna ciò che vuole dire alla Chiesa nel suo pellegrinaggio verso il terzo millennio».
Per un Sinodo che commemora un Concilio pastorale, non è poco. Il card. Giuseppe Siri, Arcivescovo metropolita di Genova, 79 anni, ha avvertito che questo Sinodo sarebbe stato «inutile… se non rettifica la confusione delle menti, se non pone fine alla tolleranza dell’errore». Ma il suo discorso non è stato pubblicato dalla Sala stampa della Santa Sede. «Se la Chiesa non sa mostrarsi nel suo aspetto soprannaturale», ha dichiarato ancora il card. Joseph Aloisius Ratzinger, «gli uomini corrono il rischio di soddisfare questa sete altrove… Il Sinodo darebbe al mondo un’impressione deplorevole se risultasse che i Vescovi si sono riuniti più per discutere del loro potere che per presentare la Chiesa come messaggio di salvezza… Inoltre, una Chiesa che parla troppo di se stessa, che si preoccupa troppo di se stessa, in verità non parla bene di se stessa».
Il neotriomorfismo sinodale si manifesta anche in una velata (auto)critica alla Chiesa di un tempo. Il card. Jean-Marie Lustiger, Arcivescovo metropolita di Parigi ed autore del Messaggio al popolo di Dio (in cui si dice in particolare di guardarsi dagli equivoci sociologici o politici sulla natura della Chiesa), non ha mancato di fare questa (auto)critica.
Per l’Arcivescovo di Parigi (nel suo discorso): «È ormai chiaro a tutti: la Chiesa non coincide con gli imperi. L’unità che essa realizza è di un altro ordine rispetto a quella politica». Come se questo non fosse mai stato chiaro, come se la Chiesa non avesse mai voluto veramente realizzare questa «unità di ordine diverso dal politico»!
«Nell’ordine ecclesiale», commenta Jean-Daniel Granville [Abbé Claude Prieur, allora seminarista], «correlativo alla santa umanità di Cristo, è l’insieme del Cristianesimo incarnato fino ad oggi che il cardinale diffida», che respinge come «una tentazione di cadere in un’altra tentazione, che è l’assunzione dei tempi», rompendo con l’imperialismo del passato.
«La costituzione della Chiesa», aggiunge il porporato, «anticipa simbolicamente la “nuova era nella storia dell’umanità” evocata dalla costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes. In passato, il primato romano, con la rottura dell’antico “oikouméné”, poteva essere visto come un ostacolo alla comunione delle Chiese... Oggi, il primato di Pietro può apparire in una luce più evidente – spirituale – come garanzia dell’unità che rafforza le particolarità ecclesiali, mentre il collegio dei vescovi struttura questa comunione cattolica attraverso la diversità delle culture».
Il card. Jean-Marie Lustiger ha introdotto una sottile dialettica nella Chiesa, lasciando l’impressione di un uomo intelligente, più intuitivo che speculativo. Intuitivo alla maniera di Pierre Teilhard de Chardin, cioè come un filosofo della storia che proietta la sua intuizione in un futuro ideale. Il corollario di questa concezione è l’idea di discontinuità nella Chiesa. E introdurre la discontinuità nella Chiesa significa introdurre l’intervento divino, una nuova Rivelazione. Questo spiega tutti i riferimenti allo «Spirito» che il Concilio Vaticano II rivendica.
Jean-Daniel Granville prosegue l’analisi: «Ma non possiamo sfuggire all’incarnazione passata, senza cadere in un’altra, ancora indefinita, ma in ogni caso essenzialmente libera dall’ordine naturale e cristiano. È questo tipo di inculturazione l’oggetto dei desideri del cardinale, in una comunione di cui il Vaticano II e più precisamente la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium sarebbero il programma, mentre la costituzione pastorale Gaudium et spes sarebbe la propedeutica.
In entrambi i casi, in assenza di metafisica, egli ragiona in termini di potere e di opposizione dialettica tra forme passate di potere della Chiesa compromesse con la politica e forme future più pure perché spirituali e fuse con le culture. In entrambi i casi, una visione univoca della Chiesa e del mondo guida il ragionamento: la distinzione tra temporale e spirituale non è pienamente apprezzata.
Il segno distintivo del pensiero del cardinale, ancora vago nell’espressione ma chiaro nella direzione, è un fideismo teocratico come lievito delle culture future».
Questo è stato uno dei pensieri dominanti del Sinodo, durante il quale si è parlato molto di futuro, di inculturazione, di diritti umani e di libertà religiosa, senza mai menzionare, con l’eccezione del card. Raúl Francisco Primatesta, Arcivescovo metropolita di Córdoba: «L’obbligo degli Stati, in quanto tali, di riconoscere Dio e di promuovere il suo culto secondo la legge naturale, mentre stiamo cadendo in un secolarismo che sta portando le persone all’ateismo pratico».
Il Sinodo è stato anche l’occasione, in alcuni momenti, di uno scontro tra il potere del Papa e quello delle Conferenze episcopali, quando in nome della collegialità alcuni hanno voluto onorare davanti al Santo Padre quegli «esperimenti» che chiamano Chiesa e che sono le comunità di base, la teologia della liberazione, l’ecumenismo religioso, la revisione della morale sessuale, con la richiesta di alcuni sacerdoti di sposarsi e di una minore «durezza» nei confronti dei divorziati «risposati» ecc. Li abbiamo lasciati parlare. Mons. Adolfo Rodríguez Herrera, Arcivescovo metropolita di Camagüey, ha ringraziato il Concilio e il Sinodo che lo ha seguito per non aver condannato nessuno. È stato promesso che verrà fatto un ulteriore studio sulla natura delle conferenze episcopali³.
Naturalmente, la decisione principale di questo Sinodo fu, secondo il desiderio di alcuni (tra cui il card. Silvio Oddi, Prefetto della Congregazione per il Clero e mons. Giacomo Giuseppe Beltritti, patriarca di Gerusalemme dei Latini) di adottare un «catechismo universale» o «compendio di tutta la dottrina cristiana» a cui i catechismi nazionali avrebbero dovuto fare riferimento. «Questo desiderio risponde pienamente a un’esigenza reale della Chiesa», ha sottolineato il Papa.
Un tale catechismo di base è stato appena presentato a Papa Giovanni Paolo II dal card. Silvio Oddi con il titolo provvisorio di Schema della dottrina cristiana. Esso comprende una sezione dogmatica di 160 punti, una sezione morale di circa sessanta punti e settanta schede. Il lavoro è stato portato avanti per cinque anni dalla Congregazione per il Clero. Si tratta di uno schema destinato agli autori di catechismi, che devono introdurre tutti i punti elencati nel loro manuale. Ma deve ancora essere accettato dal Sommo Pontefice… E ci si chiede soprattutto se sarà sufficiente a proteggere i fedeli dall’attuale diffusione di gravi errori dottrinali, quando non si condanna nulla.
Il card. Eugênio de Araújo Sales, Arcivescovo metropolita di San Sebastiano di Rio de Janeiro, ha saggiamente osservato in una dichiarazione scritta: «Quando c’è un dubbio positivo sul fatto che un prodotto alimentare venduto nei negozi della città sia avvelenato o rappresenti una minaccia per la salute della popolazione, la polizia ne proibisce immediatamente la vendita fino a quando non viene dimostrata la sua buona qualità. Ma nella Chiesa si insegnano talvolta gravi errori nelle facoltà, nei seminari, ecc. senza che il popolo (e i seminaristi) siano protetti».
Sì, il popolo di Dio sta ancora aspettando [di nuovo] il suo Buon Samaritano…
Rémi Fontaine (dicembre 1985)
¹ Invece di denunciare gli abusi della liturgia o della catechesi, il circolo minore francese A (di cui fanno parte il card. Jean-Marie Lustiger ed il card. Roger Marie Élie Etchegaray) ha proposto di riportare alla ribalta i testi dimenticati del Concilio Vaticano II sulla Tradizione e sul significato dell’adorazione. Nelle parole del relatore: «In questo modo, eviteremmo l’apparenza di un’alleanza con il fondamentalismo» (sic).
² Questo Sinodo non fa forse apparire la Chiesa come una società di pensiero, dove, secondo lo storico e sociologo Augustin Denis Marie Cochin, il vincolo di unione non è più la fede comune ma il conformismo? Questa unione non si basa su una comunità di convinzioni acquisite dall’esterno e in anticipo, ma si stabilisce all’interno delle società stesse e assume il carattere di costrizione. I suoi membri sono uniti e tenuti insieme proprio dalla pressione che esercitano gli uni sugli altri, la pressione esercitata dalla massa anonima e impersonale della società su ciascun individuo e, successivamente, dalla società nel suo insieme su un particolare gruppo recalcitrante (cfr. L’Eglise et la subversion di Guillaume Maury). «Il pluralismo ha influenzato l’esegesi, il dogma e la morale e ha portato a posizioni inconciliabili con la dottrina della Chiesa», ha affermato il circolo minore tedesco (che comprendeva il card. Joseph Aloisius Ratzinger e Adrianus Johannes Simonis). Il diavolo e il «fumo di Satana nella Chiesa», evocati da San Paolo VI, non sono stati menzionati qui più del Comunismo…
³ Questo Sinodo non dà anche alla Chiesa un’immagine sempre più parlamentare, con la sua sinistra e la sua destra? Con la sua prassi intrinseca: – Nessun nemico a sinistra! Al momento c’è un clima centrista, una specie di palude tra una destra che si appoggia a sinistra e una sinistra che va sempre più avanti. Siamo già molto lontani dal Consiglio. Il circolo minore tedesco ha deplorato questa tendenza del Sinodo alla retorica democratica, «questa tendenza a fare la Chiesa»: stiamo passando da «Noi siamo la Chiesa» a «Noi facciamo la Chiesa»… I «conservatori», alcuni dei quali tra i progressisti temevano una reazione, appaiono per lo più come i Girondini della Rivoluzione che avevano sempre paura di essere chiamati monarchici o cattolici controrivoluzionari. Non osavano toccare un capello del Concilio! Ecco perché mons. Jean Félix Albert Marie Vilnet, Arcivescovo metropolita di Lille e Presidente della Conférence des évêques de France, dice di vedere in questo Sinodo «una litania di convergenze». Proprio come c’è convergenza o «consenso» tra i partiti contrapposti della Repubblica francese. Tutti, nonostante i loro disaccordi, fanno riferimento a presunti «valori» repubblicani, escludendo i francesi che si presume siano ostili a questi «valori». L’analogia con i «valori» o lo «spirito» del Concilio è chiara…
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