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domenica 13 agosto 2023

Il “profeta”, il partigiano e l’intrigo dei mezzadri. L’omicidio di Don Ernesto Talè e Maria Belleni

Una bella intervista che ci ha regalato l'amico Gabriele sugli eccidi dei partigiani comunisti, nell'Emilia degli anni '40.
Come con il Beato Rolando Rivi (QUI MiL), martire della talare.
Per le letture estive dei nostri lettori.
"In seguito all’omicidio, chi è andato in carcere? 
L’esecutore materiale Luigi Nervuti, i suoi quattro complici, e il mandante Odoardo Solfanelli furono amnistiati nel gennaio 1947 dalla sezione istruttoria della Corte d’appello di Bologna e non scontarono un solo giorno di galera. Tra il 1945 e il 1947, con i comunisti al governo e con il loro segretario Palmiro Togliatti ministro della giustizia ottenere la condanna di partigiani per delitti commessi nel periodo bellico era una missione praticamente impossibile".
Luigi

Il “profeta”, il partigiano e l’intrigo dei mezzadri. L’omicidio di Don Ernesto Talè e Maria Belleni

 Un libro che è un crocevia tra la storia, il racconto noir ed una bellissima testimonianza cristiana.

Giovanni Fantozzi* lo conosco di vista. Frequentiamo la stessa messa, a Modena. È un’ottima penna, ho sempre seguito con piacere i suoi articoli sul conflitto in Ucraina su La Pressa, un quotidiano locale. Appena ho saputo che ha scritto un libro sull’omicidio nell’Appennino Modenese di un sacerdote e della sua perpetua ad opera dei partigiani rossi, ne ho approfittato per attaccare bottone alla prima domenica utile.

Quando iniziamo a parlare del libro, si fa subito prendere dall’entusiasmo: la sua passione a riguardo è contagiosa ed è chiaro da subito che questo studio lo ha assorbito per molto tempo. Ed è dalla precisione della sua ricostruzione che percepisco immediatamente che il suo lavoro rappresenterà, con tutta probabilità, un tassello inamovibile che ricostruisce la parte iniziale (Don Talè fu il primo a Modena) della più ampia strage di sacerdoti perpetrata durante e dopo il secondo conflitto mondiale ad opera dei partigiani.

 Gabriele

 * Giovanni Fantozzi, giornalista e storico locale, da tempo studia soprattutto le tematiche legate al periodo bellico e postbellico modenese. Nel 1990 ha pubblicato Vittime dell'odio. L'ordine pubblico a Modena dopo la Liberazione 1943-1946, il primo studio approfondito sull'ondata di violenze del dopoguerra.

Per Edizioni Artestampa è uscito nel 2006 il volume Monchio 18 marzo 1944.

L'esempio, sulla più sanguinosa rappresaglia tedesca compiuta in provincia di Modena, nel 2013 il volume Il volto del nemico. Fascisti e partigiani alla guerra civile, Modena 1943-1945.

 Giovanni, anzitutto ti chiedo di accennare al quadro più ampio: cosa succede in Emilia a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale? In relazione agli eccidi di sacerdoti, di che cifre parliamo?

 In Emilia-Romagna, nel corso del conflitto furono uccisi da tedeschi, partigiani e fascisti trentacinque religiosi; a guerra finita, tra il 1945 e il 1946, le vittime tra i sacerdoti furono sedici, di cui cinque modenesi, e gli autori tutti partigiani comunisti. La base comunista era percorsa da forti tensioni rivoluzionarie, e dopo la guerra, nell’euforia della vittoria su tedeschi e fascisti, molti partigiani erano convinti fosse giunto il momento della “seconda ondata”, che doveva spazzare via l’ordine borghese e con esso i nemici di classe, tra i quali erano naturalmente compresi i sacerdoti.

 Chi era Don Ernesto Talè?

 All’epoca dell’omicidio don Ernesto aveva sessant’anni, trentacinque dei quali passati nell’ordine francescano dei frati minori, con il nome di fra Giustino. Originario di Coscogno di Pavullo nel Frignano, comune dell’Appennino modenese, era entrato nel seminario nel 1899 ed era stato ordinato sacerdote nel 1907. Di quel lungo periodo in cui aveva peregrinato per tutti i conventi dell’Emilia-Romagna sappiamo ben poco, se non che negli anni ’20 era stato segretario di un esorcista bolognese e che aveva ricoperto l’incarico di propagandista per il Terz’ordine francescano. Nel 1932, chiese e ottenne un periodo “esclaustrazione”, allo scopo di assistere il fratello don Giovanni, parroco di Montebonello di Pavullo, gravemente ammalato di sclerosi multipla e ormai prossimo alla fine. Per due anni assistette amorevolmente il fratello e amministrò la parrocchia, e nel 1934 ottenne di uscire definitivamente dall’ordine dei frati minori e di entrare nel clero diocesano di Modena. Nell’estate del 1935 gli fu assegnata la piccola parrocchia di Castellino delle Formiche, un piccolo e povero paese della bassa valle del Panaro, in comune di Guiglia.

 Che tipo era?

 Di carattere serio e riservato, molto pio, integerrimo nello stile di vita, negli anni del convento don Ernesto aveva maturato una notevole cultura umanistica; conosceva almeno tre lingue straniere e possedeva anche una buona biblioteca. Andando a Castellino, un paese di poche centinaia di anime che all’epoca non aveva neppure una strada carrozzabile, né energia elettrica, pensava forse di ritrovare almeno in parte la pace del convento per studiare e meditare. Si accorse presto che in quel luogo la pace sarebbe stata impossibile.

 Assieme al sacerdote, morì anche Maria Belleni…

 Su Maria Belleni, nonostante tutte le ricerche fatte, le notizie sono tuttora scarse frammentarie. Maria era nata a Trevozzo di Nibbiano nell’appennino piacentino e non è chiaro come e quando avesse conosciuto don Talè e come fosse giunta a Castellino per fare la “perpetua”. Era conosciuta in paese come “sorella”, ma non aveva alcun rapporto di parentela con il sacerdote. Quell’appellativo potrebbe riferirsi all’appartenenza a un ordine laico, come le terziarie francescane. Era dotata di un buon livello d’istruzione, aiutava il parroco nelle funzioni in chiesa, accompagnava il canto e faceva catechismo ai bambini. Nei momenti difficili fu in pratica l’unico sostegno morale a don Ernesto e nella sua abnegazione non esitò a seguirlo quando i partigiani lo portarono via nella tragica notte del 12 dicembre 1944.

 Ti chiedo di introdurci la situazione generale della parrocchia di Castellino delle Formiche; in particolare con riferimento alla figura di Vittorio Antonio Scorzoni, il “profeta”.

 Nel 1935 don Ernesto non poté prendere neppure possesso della parrocchia, come allora e ancora oggi si usa, a causa della situazione anomala e delle tensioni che già da molti anni attraversavano il paese e che avevano creato non poche difficoltà ai sacerdoti che si erano succeduti negli ultimi decenni (don Luigi Bruni, il predecessore di don Ernesto, era stato ricoverato in manicomio). Da circa un decennio, tra la gente semplice della zona esercitava un forte ascendente “religioso” certo Vittorio Antonio Scorzoni, un personaggio che si autodefiniva “profeta” e che asseriva di compiere miracoli per conto della Madonna. Contravvenendo a tutte le prescrizioni ecclesiastiche, con le questue di denaro si costruì anche un suo “santuario” a poche decine di metri dalla chiesa parrocchiale di Castellino. L’arcivescovo di Modena mons. Bussolari, con un decreto del 1930, gli aveva espressamente interdetto ogni attività di proselitismo ma, incurante dei divieti della gerarchia, costui continuò nelle sue attività pseudoreligiose e ad arringare i suoi adepti.

 I rapporti con don Talè come si svilupparono?

 Lo scontro con don Talè fu inevitabile, e purtroppo fu il sacerdote ad avere la peggio, perché i parrocchiani, in maggioranza, preferivano frequentare il “santuario” e seguire le sconclusionate “profezie” del santone e a credere nei suoi “miracoli”. L’ostilità di Scorzoni si trasformò in vero e proprio odio quando, nel 1938, don Ernesto lo denunciò all’autorità di pubblica sicurezza ottenendo per qualche tempo il suo allontanamento da Castellino e la consegna delle chiavi del “santuario”. È immaginabile l’amarezza e la solitudine del parroco in quegli anni a causa dell’incomprensione di cui si sentiva circondato, nonostante tutto il suo zelo pastorale.

 Da chi e perché sono stati stato uccisi?

 Nel 1941 don Talè stipulò un contratto di mezzadria con la famiglia di Spirindione Solfanelli. La scelta non fu felice, e ai contrasti di natura economica, non insoliti a quei tempi tra “padrone” e mezzadro, si aggiunsero screzi personali. alimentati ad arte dai nemici che don Talè aveva in paese.

È del tutto prevedibile che quella situazione, pur carica di tensioni, si sarebbe prima o poi risolta pacificamente. Ma giunse la guerra, nella sua forma terribile di conflitto civile, e la situazione rapidamente precipitò. A partire dal 1944, anche la valle del Panaro venne attraversata dalla guerra partigiana e dalla repressione tedesca e fascista. In quel periodo, con sempre maggiore frequenza, la canonica di don Talè cominciò a essere bersaglio di ruberie da parte di gruppi partigiani, dietro i quali non era difficile scorgere come “suggeritori” i numerosi nemici che il parroco aveva in paese. Derubato dai partigiani, alla fine di luglio del 1944 don Talè fu preso in mezzo anche dai fascisti che lo catturarono durante un rastrellamento e, dopo averlo malmenato con l’accusa di essere un agente al servizio degli alleati, lo caricarono su un camion per portarlo al loro comando.

 Arriviamo all’omicidio…

 L’omicidio si consumò nella notte tra l’11 e il 12 dicembre 1944. In tarda serata, nella casa dei Solfanelli attigua alla chiesa, convocati da Odoardo, il primogenito della famiglia che militava tra i partigiani, convennero cinque suoi accoliti guidati da un balordo capobanda, tale Luigi Nervuti, già tristemente noto in zona per le sue imprese. Le carte processuali e le testimonianze dei presenti indicano che fu Maria Bertinelli, madre di Edoardo, a ordinare perentoriamente che il prete venisse ucciso quella notte stessa perché era una “spia”. Bastò qualche bicchiere di vino per convincere Nervuti e i suoi, che nemmeno conoscevano don Talè, a eseguire l’ordine. Non fecero molta strada poiché la canonica si trovava di fronte all’abitazione dei mezzadri. A notte fonda bussarono alla porta della canonica e a Maria Belleni che andò ad aprire dissero che avevano un compagno ferito in un casolare poco lontano che chiedeva conforti religiosi. In inverno e in piena notte i rischi erano evidenti, ma sui timori prevalsero in don Talè i doveri del sacerdote. Senza sapere che la sua sentenza di morte era appena stata decisa proprio in quella casa, andò a bussare dai Solfanelli per chiedere che qualcuno lo accompagnasse, ottenendo naturalmente un rifiuto, come declinarono l’invito anche altri paesani che abitavano lì accanto. Pur di non lasciarlo andare solo, Maria volle andare lei, segnando così la propria fine.

Condotte le sue vittime in un casolare in mezzo ai boschi, Nervuti sparò a bruciapelo: Maria morì subito, ma don Ernesto ancora rantolava e allora Nervuti lo colpì con alcune pugnalate, e infine con un colpo di zappa alla testa al momento di seppellirlo in una radura a poca distanza dalla casa.

 I cadaveri sono mai stati ritrovati?

 Questi vennero rinvenuti quasi un anno dopo: Maria, per interessamento di una cugina venne traslata nel paese natale di Trevozzo, don Ernesto fu sepolto in quello di Roccamalatina, poco distante da Castellino. Quasi nessuno partecipò al suo funerale, celebrato dal confratello don Dante Fontana. Una tomba spoglia e una semplice croce di legno indicavano la sepoltura di “don Ernesto Tale”, pure l’accento era stato dimenticato. Capitò così che qualcuno, ignaro della vicenda, chiedesse in giro quale cognome avesse quel “tale” prete Ernesto. Ben pochi portarono fiori alla sua tomba e negli anni ’80, nella generale indifferenza, i suoi resti furono dispersi nell’ossario comunale di Guiglia.

 Dicci, in seguito all’omicidio, chi è andato in carcere?

 L’esecutore materiale Luigi Nervuti, i suoi quattro complici, e il mandante Odoardo Solfanelli furono amnistiati nel gennaio 1947 dalla sezione istruttoria della Corte d’appello di Bologna e non scontarono un solo giorno di galera. Tra il 1945 e il 1947, con i comunisti al governo e con il loro segretario Palmiro Togliatti ministro della giustizia ottenere la condanna di partigiani per delitti commessi nel periodo bellico era una missione praticamente impossibile.