All'origine della predilezione di papa Francesco e dei suoi epigoni verso tutto ciò che è brutto, nell'architettura come nell'arte visiva come nella liturgia, c'è l'ideologia del progresso fine a se stesso, un'ideologia che vorrebbe riportare la Chiesa alle origini, ma che in realtà deturpa ciò che è santo con ciò che è empio:
"Non dovrebbe sorprendere che Papa Francesco premi architetture come queste, o che celebri la sua Messa quasi ogni giorno in una cappella di una bruttezza orribile: è l'architettura che incarna ed evoca il nuovo cattolicesimo che lui ritiene sia emerso dal Concilio Vaticano II, che ha intrapreso audacemente un nuovo cammino, così nuovo che questa Chiesa deve rinnegare le vecchie forme di culto."
Questa traduzione è stata realizzata grazie alle donazioni dei lettori di MiL.
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Luigi
Peter Kwasniewski, One Peter Five, 22/03/2023
Nelle sue straordinarie Gifford Lectures del 2012, intitolate The Face of God, il filosofo e musicista britannico Roger Scruton parla della "deturpazione" che avviene nei templi e negli edifici quando le proporzioni umane, i riferimenti culturali e la ricchezza della bellezza vengono evitati a vantaggio di qualità vuote, anonime, simili a macchine. L'argomentazione è affascinante. In questo breve articolo non posso renderle giustizia, ma consiglio vivamente il libro, uno dei più eccitanti che abbia letto da molto tempo. Scruton affronta la pulsione iconoclasta che domina da circa un secolo.
"I luoghi sacri sono i primi ad essere distrutti dagli invasori e dagli iconoclasti, per i quali nulla è più offensivo degli dèi del nemico. E dovremmo riconoscere che gran parte della distruzione del nostro ambiente oggi è deliberata, il risultato di un attacco voluto verso forme di tranquillità vecchie e disprezzate. Infatti, ci sono due approcci fondamentali alla costruzione: la via dell'insediamento e la via della rottura. Spesso, quando ci insediamo, adattiamo le nostre vite a un modello esistente e già consacrato, cerchiamo di ereditare l'ordine stabilito da coloro che ci hanno preceduto e di onorare lo spirito del luogo: in questo senso, come Heidegger sottolinea in un importante saggio (Building, Dwelling, Thinking), costruire significa abitare. Ma l'iconoclasta cerca di sostituire i vecchi dèi con i nuovi, di disincantare il paesaggio e di segnare il luogo con segni della sua sfida. Questo spirito iconoclasta può essere visto in molti progetti moderni, non solo nelle facciate anonime dei nuovi tipi di edifici, ma anche nei brutali parchi eolici che stanno divorando il paesaggio, o nelle macchie postmoderne deliberate inserite nei progetti urbani stabiliti dagli architetti come Daniel Libeskind e Thom Mayne". (pp. 123-24)
Dovremmo fare una pausa per dare un'occhiata a qualche lavoro del duo di architetti che Scruton menziona. Ecco due macchie postmoderne inserite da Libeskind in strutture classiche, un po' come tumori geometrici o pezzi di rottami metallici ammassati e lasciati cadere da un gigante misantropo:
Il punto chiave del pensiero di Scruton è che l'iconoclastia è un rifiuto dei "dèi del passato", cioè della religione che è stata in vigore fino ad ora (e, in senso più ampio, della cultura generata e nutrita dalla religione). L'architettura modernista delle chiese non è semplicemente un nuovo modo di fare le cose; è decisamente un rifiuto dei modi tradizionali di fare le cose e, pertanto, inevitabilmente un rifiuto del significato dei vecchi modi. È un nuovo sistema di simboli, progettato per sostituire il vecchio sistema.
La scorsa settimana, circolavano le foto di due particolarmente orribili progetti di chiese cattoliche, i cui architetti hanno vinto il Premio dell'Accademia Pontificia per l'Architettura Sacra (vedi qui), che è stato loro assegnato direttamente dal Papa. Egli "ha continuato congratulandosi con i vincitori del Premio delle Accademie Pontificie per il loro contributo all'architettura sacra".
"La medaglia d'oro è stata assegnata allo studio "OPPS Architettura" di Firenze per il suo lavoro di ristrutturazione di una cappella a Roma appartenente alla Fondazione dei Santi Francesco d'Assisi e Caterina da Siena. La medaglia d'argento è stata assegnata all'architetto Federica Frino per il suo progetto per una nuova chiesa dedicata a San Tommaso nella città italiana centrale di Pontedera. I Premi delle Accademie Pontificie sono stati assegnati sulla base dei criteri di 'progettazione, allestimento, adattamento liturgico, ristrutturazione e riutilizzo degli spazi dedicati al culto, tenendo conto delle nuove esigenze e del linguaggio architettonico contemporaneo'".
Ecco il design del vincitore della medaglia d'oro:
I lettori ricorderanno che, lo scorso maggio, ho dedicato due articoli a esporre le differenze tra chiese tradizionali e chiese moderniste e il motivo per cui le prime hanno successo mentre le seconde falliscono (vedi qui e qui). Certamente, questi architetti vincitori del premio pontificio, a prescindere dall'IKEAclasmo dei loro design, meritano di essere definiti (in stile gnostico) "puri modernisti", che evitano del tutto la vergogna di essere "indietristi" o conservatori. (Siamo almeno autorizzati a sussurrare che, di fatto, sono conservatori al massimo grado, considerando che il modernismo ecclesiastico era di moda, per quanto possa essere stato di moda, qualche decennio fa, suscitando oggi principalmente sbadigli di noia o brividi di disgusto?)
Non dovrebbe sorprendere che Papa Francesco premi architetture come queste, o che celebri la sua Messa quasi ogni giorno in una cappella di una bruttezza orribile: è l'architettura che incarna ed evoca il nuovo cattolicesimo che lui ritiene sia emerso dal Concilio Vaticano II, che ha intrapreso audacemente un nuovo cammino, così nuovo che questa Chiesa deve rinnegare le vecchie forme di culto. [1]
Il Novus Ordo, come ho dimostrato dettagliatamente, ridimensiona significativamente la confessione della Santa Trinità e della Divinità di Cristo. Fino a che punto sia stato intenzionale o accidentale, questa evacuazione di contenuto ha aperto la strada a quello che sembra essere una nuova "trinità" confessata dalla religione per la quale queste cappelle premiate sono il simbolo: il culto del Padre-Madre-Altro-Inconoscibile, dell'Umanum/Umanitas e dello Spirito Santo. Un Dio senza volto; un Dio con il volto di ogni uomo e donna;[2] un Dio che si muove e si sviluppa, alla maniera di Hegel, insieme ai tempi.
Questo, a sua volta, mostra dove si colloca lo spettacolo della Pachamama: non è un evento bizzarro destinato a tenere impegnati gli apologisti papali nella fabbricazione di giustificazioni fino alla fine dei tempi, ma piuttosto un elemento perfettamente caratteristico del nuovo culto del nuovo dio: Egli/Lei/Esso/Essi devono essere presenti in tutte le religioni e in nessuna, proprio come le cappelle premiate sono quasi onni-religiose, perché sono fondamentalmente vuote e quindi "aperte", in attesa di essere riempite con qualsiasi contenuto il "Dio delle sorprese" possa voler colmare. Il trono vuoto deve essere occupato da qualsiasi cosa o da chiunque sia percepito come "sacro", in qualsiasi cultura.
Pertanto, il Papa ha elogiato il rito zairese come un "legittimo adattamento" del presunto "unico Rito Romano". Ha incoraggiato un rito maya che introduce in certe chiese messicane un secondo altare dedicato alla Madre, di fronte al quale tutti si inginocchiano (vedi il dettagliato rapporto di Maike Hickson qui e ancora di più qui). Ha manifestato il suo interesse per un rito amazzonico. Non ha impedito né ai vescovi belgi né a quelli tedeschi di sviluppare benedizioni gay para-liturgiche. Se, alla fine, questo è quello che desiderano incastonare nel loro trono vuoto, e se si adatta alla loro modernità, chi siamo noi per giudicare? Lasciamo che Padre-Madre-Altro-Inconoscibile, Umanum/Umanitas e Heiliger Zeitgeist siano i giudici. Infatti, questa "trinità" è stata già giudicata positivamente, permettendo che tutto questo accada. (Ricordiamo la proposizione n. 59 condannata dal Sillabo degli Errori: "Il diritto consiste nel fatto materiale. Tutti i doveri umani sono una parola vuota e tutti i fatti umani hanno la forza del diritto").
La gente spesso indica l'entusiasmo di Papa Francesco per le devozioni popolari come un segno del suo cattolicesimo. Alla luce del suo sostegno al sincretismo e all'indifferentismo, tuttavia, penso che possiamo vedere più chiaramente che egli sostiene le devozioni popolari soltanto perché indicano l'autentica religiosità – qualunque essa sia – di un particolare gruppo razziale o culturale. In altre parole, qualsiasi fenomeno religioso "vivente" è considerato da lui migliore di un fenomeno presumibilmente "morto", come la Messa Tradizionale in latino, che è morta non per qualche segno sensibile o qualche comprensibile ragione (anzi, valutata sensibilmente o intellettualmente, risulta piena di vita!), ma per il fiat positivistico di coloro che la desiderano morta, perché rifiutano i suoi principi anti-pluralistici e il suo contenuto dogmatico. Per questo, Papa Francesco si mostra più generoso verso gli ebrei, i musulmani, gli indù e gli animisti che verso i cattolici tradizionali.
Ciò che ho appena descritto può sembrare un'interpretazione estremamente oscura dei dati. Vorrei solo ricordare al lettore che questo tipo di "inculturazione" in evoluzione e di "adattamento" verso l'esterno e verso il basso è sempre stato un obiettivo dei liturgisti che hanno prodotto il Novus Ordo (almeno di alcuni di loro, certo dei più preminenti). Non è difficile trovare libri degli anni Sessanta, Settanta e successivi che parlano brillantemente di sviluppi quasi illimitati che ci si può aspettare nella liturgia localizzata, e Ratzinger dedica molte pagine per confutarli in Cantate al Signore un canto nuovo, e altrove.
Nel mio articolo "Bugnini, Roche, Grillo, and Inculturation Overdrive", ho riportato ciò che un mio vecchio amico sacerdote mi ha detto, giurando sulla verità (e da tutto quello che so di lui, non ho motivo di dubitare della veridicità del suo rapporto: combacia con molte altre prove della stessa natura). Aveva fatto i suoi studi al Sant'Anselmo a Roma nel 1970 e aveva avuto la rara fortuna di poter un giorno pranzare con Bugnini, poco prima della caduta in disgrazia di quest'ultimo. Dopo molte battute, Bugnini si è avvicinato al suo cavallo di battaglia, la riforma liturgica, e ha detto al giovane studente quanto segue:
"Quello che dovete comprendere è che la nuova liturgia prevede tre fasi. In primo luogo, abbiamo dovuto eliminare il vecchio modo di fare le cose. Questo è stato principalmente il lavoro del 1960, e tra trent'anni, tutti avranno dimenticato ciò che è venuto prima. In secondo luogo, abbiamo dovuto creare qualcosa di nuovo per il momento: questo è ciò che la gente chiama il Novus Ordo. Ma anche questo deve scomparire, lasciando il posto a una completa inculturazione: ogni liturgia deve essere fatta dalla comunità, per i suoi bisogni immediati. Niente libri liturgici, proprio come nella Chiesa antica! Anche la mia Messa scomparirà, entro l'anno 2000".
Bugnini non era un profeta, ma ha i suoi discepoli degli ultimi giorni, come il cardinale Roche, che ha usato esattamente questo tipo di linguaggio, modificando solo la linea temporale e confezionandola in involucri leggermente più anodini:
"Ho detto spesso ai vescovi che abbiamo passato gli ultimi cinquant'anni a preparare la traduzione dei testi liturgici; e ora dobbiamo passare alla seconda fase, già prevista dalla Sacrosanctum Concilium, e cioè l'inculturazione o l'adattamento della liturgia alle altre diverse culture, pur mantenendo l'unità. Penso che dovremmo iniziare questo lavoro ora." [fonte]
Attribuisco una religione coerente e consistente a Papa Francesco? No. Da quello che possiamo dire, la sua religione è una gigantesca ciotola di ingredienti, incompatibili e mutevoli. Ma ha un primo principio molto fermo: "Mai indietro!" Mai e poi mai abbracciare e valorizzare la tradizione nella sua forma concreta, sviluppata, ereditata, con tutto lo "scandalo del particolare" e l'esclusione di alternative che essa implica. (Come disse una volta G.K. Chesterton, la scelta di sposare una donna è una scelta di non sposare ogni altra donna; e si potrebbe dire che ogni tradizione liturgica pienamente sviluppata arriva a una perfezione nella forma e nel contenuto che esclude necessariamente molti altri modi legittimi di fare le cose, e certamente molti altri modi illegittimi di fare le cose.)
Come la stessa Cristianità, la forma cristiana e cattolica della Tradizione ereditata è estinta agli occhi di questo papa, superata, fuori di moda, irrilevante, ostacolante e, in tal senso, dannosa per l'uomo moderno (o l'uomo post-moderno). Per questa ennesima novità, sono necessari nuovi riti e nuove credenze. Questa prospettiva, a mio avviso, è presente nella struttura del pensiero alla base di Traditionis Custodes. È solo un punto fermo nel più ampio programma di un pontificato totalmente pervaso dall'interpretazione più radicalmente progressista del Vaticano II – un pontificato tanto più efficace per la sua tattica peronista di usare parole e gesti contraddittori per favorire l'anarchia ecclesiale, la confusione dottrinale e il lassismo morale, aprendo la strada al trionfo di quella religione il cui "ambiente sacro" è visto nelle sterili cappelle post-moderne, dove Jorge Mario Bergoglio si sente a casa.
Note:
[1] Si vede la stessa cosa nella sua opzione preferenziale per i paramenti terribilmente brutti. Nel cuore della Chiesa di Roma, erede di secoli di alta cultura, optare per qualcosa di meno che bello è un'affermazione ideologica, un non serviam.
[2] Francesco ha detto la scorsa settimana, nell'udienza generale del 15 marzo: "Chi è più importante nella Chiesa: la religiosa o la persona comune, il battezzato, il non battezzato, il bambino, il vescovo? Loro sono tutti uguali, noi siamo uguali".