Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di Jean Bernard pubblicato sul quotidiano francese (di ispirazione cattolica progressista) La Croix il 6 giugno 2023.
L’autore J. Bernard, collaboratore del quotidiano (di ispirazione cattolica conservatrice) La Nef, analizza il successo del 41º Pèlerinage de Pontecôte, e ciò che rivela l’attaccamento dei giovani cattolici alla santa Messa tradizionale. È una sfida per la Chiesa, che non può più accontentarsi di un motu proprio restrittivo e deve «trovare il modo di porre fine alla guerra liturgica».
QUI il commento di Edward Pentin, pubblicato sul quindicinale (cattolico conservatore) National Catholic Register il 9 giugno 2023.
L.V.
Tradizionalisti: «Il pellegrinaggio a Chartres è diventato il simbolo di un movimento fondamentale»
di Jean Bernard 6.6.2023
di Jean Bernard 6.6.2023
Il pellegrinaggio di Chartres potrebbe aver accelerato l’adozione del motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021? La questione è stata sollevata da quando alcuni siti web di informazione religiosa in lingua italiana e inglese hanno riportato che il 29 gennaio 2020, durante una sessione plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede dedicata al futuro della Santa Messa tradizionale, uno dei cardinali presenti si è allarmato per il successo del pellegrinaggio e ha suggerito di prendere provvedimenti urgenti per affrontare una situazione che stava sfuggendo al controllo.
Se queste informazioni sono vere, bisogna dire che il testo romano ha mancato il suo obiettivo. Il pellegrinaggio di quest’anno ha attirato un numero record di 16.000 giovani camminatori, e questa cifra avrebbe potuto essere più alta se gli organizzatori non avessero chiuso le iscrizioni, per motivi logistici, più di una settimana prima dell’inizio. Molti osservatori, compresi quelli dei media tradizionali, sono stati colpiti dal fervore e dalla fede dei pellegrini, in netto contrasto con la cupezza generale della Chiesa francese, che è stata stordita dallo scandalo degli abusi.
Continuare a crescere
La questione non è più se e quando la Santa Messa tradizionale sarà definitivamente sostituita dal messale del 1969. Come confermano chiaramente i risultati del sondaggio commissionato dal quotidiano La Croix sull’atteggiamento dei giovani cattolici in Francia, non solo la Santa Messa tradizionale non scomparirà, ma c’è ragione di credere che continuerà a crescere, non solo in termini assoluti ma soprattutto in termini relativi, visto il progressivo esaurimento di alcune parrocchie di rito ordinario.
Si tratta quindi di stabilire come e in quale contesto si svolgerà questa crescita continua della Messa tradizionale, perché è in questo ambito che la Chiesa ha ancora un certo margine di manovra. A questo proposito, questo movimento fondamentale, di cui il pellegrinaggio di Chartres è diventato il simbolo, pone due grandi sfide alla Chiesa universale, quella dell’unità dei fedeli e quella dell’eredità del Concilio Vaticano II in materia liturgica.
L’unità dei fedeli
La prima sfida è quella dell’unità dei fedeli, perché esiste un rischio oggettivo di sviluppo e consolidamento di comunità parallele, situate al di fuori delle strutture diocesane e composte da cattolici avulsi da qualsiasi legame concreto con gli altri fedeli. Paradossalmente, questo rischio è stato notevolmente amplificato dal motu proprio Traditionis custodes, il cui intento principale è stato quello di isolare i tradizionalisti al di fuori delle strutture diocesane, per impedire la pubblicizzazione e la diffusione di questo rito.
Va ricordato che, secondo questo documento, la Santa Messa tradizionale non può più, in linea di principio, essere celebrata in una Parrocchia; che, se deve essere celebrata per motivi eccezionali, è necessaria l’autorizzazione di Roma; che, in ogni caso, non può essere istituita una parrocchia personale; e che i sacerdoti diocesani di nuova ordinazione devono, ancora una volta, ottenere l’accordo di Roma per poterla celebrare (un accordo che, si dice, viene dato solo molto raramente…).
Seminari vuoti
Questa politica, che priva i Vescovi di alcune delle loro prerogative, sta già avendo l’effetto visibile di svuotare i seminari diocesani a favore di centri di formazione per le comunità tradizionaliste. Ad esempio, all’inizio dell’anno accademico 2022, queste comunità (Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, Fraternità sacerdotale San Pietro, Istituto del Buon Pastore, Missionari della misericordia, Fraternità sacerdotale San Pio X) avevano ricevuto circa 95 ammissioni (contro le 69 del 2021), mentre le ammissioni ai seminari erano scese a livelli allarmanti (due ammissioni a Parigi, una a Tolosa, una a Strasburgo ecc.).
Un altro possibile effetto di questa politica è quello di favorire le comunità in cui alcuni sacerdoti si rifiutano di celebrare con il nuovo Messale (e quindi di concelebrare con i sacerdoti diocesani), con il rischio di sviluppare un sentimento ossidionale tra alcuni fedeli e di indebolire il loro sensus ecclesiae.
Un sano decentramento
È quindi urgente, contrariamente all’approccio adottato da Roma, riportare la Santa Messa tradizionale nel seno delle Diocesi e permettere che venga nuovamente celebrata da sacerdoti diocesani, in collaborazione con sacerdoti di istituti tradizionalisti. Allo stesso modo, i Vescovi, che sono nella posizione migliore per apprezzare le specificità delle situazioni locali, devono imperativamente recuperare la pienezza delle loro prerogative in materia liturgica, secondo quel «sano decentramento» di cui papa Francesco spesso loda i meriti.
L’eredità del Concilio Vaticano II
La seconda sfida posta dallo sviluppo delle comunità tradizionali è quella della posterità, al loro interno, dei testi del Concilio Vaticano II relativi alla liturgia. L’edizione del Messale romano tradizionale attualmente in uso – quella del 1962 – è precedente all’adozione della costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, per cui la Santa Messa tradizionale celebrata oggi non tiene conto della volontà espressa in questa costituzione, che tuttavia fu adottata quasi all’unanimità dai Padri conciliari (2.147 voti contro 4).
Si potrebbe immaginare che la soluzione a questa sfida sia che queste comunità celebrino con il Messale di San Paolo VI con metodi più tradizionali, come l’uso del latino o l’orientamento del sacerdote. Tuttavia, a parte il fatto che questa soluzione (che è quella della Communauté Saint-Martin) arriverebbe troppo tardi, non è detto che possa rimediare all’«errore originale» commesso nel 1969, quello di voler eliminare, secondo una logica puramente giuridico-normativa, un Messale che risaliva a molto prima del Concilio di Trento. Infine, poiché l’aspetto psicologico della questione è notevole, questa stessa soluzione si scontrerebbe con un rifiuto inflessibile da parte degli interessati, alimentato da quelli che sono stati vissuti come anni di persecuzione o, quanto meno, di disprezzo.
Continuità liturgica nella Chiesa
Non c’è quindi altra soluzione che tornare al tavolo da disegno, per rispettare la continuità liturgica nella Chiesa, le ispirazioni del Concilio Vaticano II e, non dimentichiamolo, i ripetuti appelli del Papa stesso a favore della diversità nella Chiesa. In pratica, sull’esempio delle numerose modifiche apportate al Messale romano tradizionale dal Concilio di Trento (la più recente è quella per la Settimana Santa del 1955), si potrebbe prendere in considerazione una nuova revisione minima di questo Messale per incorporare i principi contenuti nella costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium (SC).
Questa revisione, che verrebbe effettuata con «mano tremante» e solo «quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa» (SC 23), potrebbe avere due obiettivi principali: in primo luogo, il ripristino di «una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta» (SC 35), se necessario adottando il ricco lezionario della Messa di San Paolo VI; in secondo luogo, il rafforzamento della «partecipazione attiva dei fedeli» (SC 48), ad esempio permettendo alla comunità di cantare insieme il comune della Messa e il Pater Noster.
Un Messale rinnovato
Così, pur rimanendo il Messale del Concilio di Trento, questo Messale tradizionale rinnovato permetterebbe di attuare le ispirazioni del Concilio Vaticano II, secondo la regola dello sviluppo organico della liturgia, in modo da non poter più essere accusato di ignorare quest’ultimo Concilio. Naturalmente, le proposte sopra esposte non possono costituire da sole una soluzione miracolosa alla crisi della Chiesa, crisi dovuta in particolare, sul piano teologico, al rapporto tra cristianesimo e modernità e, sul piano morale, al disastro degli scandali. Il loro unico scopo è quello di alimentare il necessario dibattito su come porre fine alla guerra liturgica tra cattolici. Perché questa guerra, iniziata più di cinquant’anni fa e giunta alla terza generazione di fedeli, è durata fin troppo.
La proposta finale è un po' la scoperta dell'acqua calda. Oltre a tutto coincide quasi perfettamente con l'interim del 1965, che al tempo fu presentato appunto come l'adeguamento del rito ai desiderata dei padri conciliari e che lo stesso mons. Lefebvre aveva accettato, salvo poi a tornare sui suoi passi dopo l'ulteriore depauperamento liturgico operato con il secondo interim nel 1967.
RispondiEliminaArticolo molto interessante, che pultroppo rimarra' ignorato dai quelli che farebbero bene a leggerlo. Pultroppo pero' temo che entrambi le parti sono ormai irrigidite a un punto irrevocabile. E' ormai una guerra voluta.
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