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martedì 27 giugno 2023

Settimana sociale di Trieste. Il cristianesimo ridotto a laboratorio

Riceviamo e pubblichiamo.
Luigi

Invio l'articolo / stroncatura dell'Osservatorio sulla Settimana sociale dei cattolici di Trieste prevista per l'anno prossimo e della quale è appena stato pubblicato un delirante Documento preparatorio.

Settimana sociale di Trieste. Il cristianesimo ridotto a laboratorio

di Silvio Brachetta

 Tra un anno, dal 3 al 7 luglio 2024, sarà celebrata a Trieste la cinquantesima Settimana sociale dei cattolici in Italia. È uscito nei giorni scorsi il Documento preparatorio dal titolo “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.

Della prima Settimana sociale, però – quella del 1907, inaugurata dal beato Giuseppe Toniolo –, non è rimasto più nulla. Tutto cancellato: Dottrina sociale, Rerum novarum, volontà d’ispirare cristianamente la società, unione dei cattolici. Nelle ventun pagine del documento non c’è alcun riferimento né a Gesù Cristo, né a Toniolo, né alla dottrina sociale, se non come solitaria citazione di facciata.

Scompare del tutto la questione della verità, ritenuta divisiva e viene citato il Nuovo Testamento solo per una rilettura ideologica:

«L’unità dei diversi – si legge nel Documento – è l’esperienza più sorprendente di cui raccontano già le prime comunità cristiane ritratte negli Atti degli Apostoli». Non è così, perché l’esperienza sorprendente della Rivelazione è l’unità dei diversi nella verità del Cristo e nel suo amore. Unità di dottrina e carità. Dove poi sia finita la verità di Cristo è un mistero.

Il programma di evangelizzazione è completamente sostituito da una serie di conferenze dove la Chiesa ha il ruolo di «ascolto» e «discernimento», mai d’insegnamento o guida. L’approdo vuole essere una società astratta, dove la divinità suprema è la «democrazia», che si regge su un apparato di banalità, luoghi comuni e frasi fatte. Non c’è traccia di una sintesi critica. A rimpiazzare la Dottrina sociale non c’è più nemmeno il sociologismo: anche le ideologie hanno un sottofondo di speculazione, ma qui la speculazione è ritenuta del tutto inutile e sostituita dalla riproposta martellante dello slogan emotivo.

Dietro una narrazione ripetitiva e noiosa, il programma della cinquantesima Settimana sociale è questo: nel quadro del solito periodo di «grandi trasformazioni sociali», è necessario porsi in «ascolto», cercare il «bene comune», «abitare il cambiamento», sempre armati di «profezia», capaci «di dare la voce agli ultimi» nella logica delle «buone pratiche», con un’«identità plurale» in un «crocevia di persone e progetti diversi», in modo da «immaginare insieme il futuro», così da «sentirsi parte» di «un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo», dove «nessuno può chiamarsi fuori» (velata minaccia), in un contesto d’«infiniti cambiamenti della natura, nel moltiplicarsi degli eventi metereologici estremi, dall’alternarsi di siccità ed alluvioni dagli effetti devastanti, nello scioglimento accelerato dei ghiacciai alpini», auspicando che all’«Italia senza» sopraggiunga l’«Italia con», affinché si scorga «la crescita di tante energie positive ed esperienze innovative» e ci si ponga «in ascolto dei mondi sociali» e delle «reti di prossimità», sotto l’egida della Costituzione, che è «il documento fondante della vita democratica del Paese», nel desiderio di «un nuovo inizio», dove le parole sono fatte «nuove e tutte da sperimentare, da inventare da capo», fermo restando che il potere è un «poter-essere, poter-fare e poter-cambiare» e in cui «dialogo» significa «avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto».

Ecco, secondo gli organizzatori, questo delirio sarebbe il cristianesimo, e le prime comunità cristiane parlavano certamente così. A leggere gli Atti degli Apostoli, francamente non sembra. E nemmeno a leggere gli Atti della Settimana sociale del 1907.

No, è probabile invece che questo modo di esprimersi se lo siano inventato gli organizzatori, nella foga rivoluzionaria di fare piazza pulita della verità e ricominciare dall’«anno zero», anche perché il parlare dei cristiani non è mai stata una logorrea.

Le Settimane sociali nascono su tutt’altri fondamenti. Nascono, specialmente, su ispirazione dell’enciclica Il fermo proposito (1905) di san Pio X. Il Papa chiedeva ai cattolici di «restaurare ogni cosa in Cristo», preoccupato più della salvezza delle anime che del clima. Il compito dell’«azione cattolica» – nel senso di agire, non nel senso dell’associazione Azione Cattolica – non è quello di ascoltare i diversi, ma di «diffondere e sempre meglio dilatare il Regno di Dio negli individui, nelle famiglie e nella società, procurando ciascuno, secondo le proprie forze, il bene del prossimo con la diffusione della verità rivelata, con l’esercizio delle virtù cristiane e con le opere di carità o di misericordia spirituale e corporale», scrive Pio X.

È l’edificazione della «civiltà cristiana» il programma delle Settimane sociali, non l’elenco delle astrazioni diffuse dal recente Documento preparatorio.

L’«azione cattolica» che Pio X prospetta è sì una Chiesa che si adatta al mutamento della storia e delle circostanze – proponendo sempre forme e mezzi diversi di evangelizzazione –, ma restando «sempre la stessa nei principi che la dirigono e nel fine nobilissimo che si propone».

Questi principi e questo fine non devono essere soltanto presupposti, ma anche dichiarati espressamente prima, durante e dopo i lavori delle Settimane sociali. Per mezzo della stampa – afferma Pio X – i cattolici devono manifestare chiaramente «la bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale che essi professano, il pieno disinteresse delle cose proprie, non altro apertamente e sinceramente bramando che il vero, il solo, il supremo bene altrui».

L’operazione del documento preparatorio di pianificare un guazzabuglio di opinioni sullo stesso piano è palesemente contrario alla Dottrina, non tanto sociale, ma della fede. Pio X è chiarissimo proprio sulla necessità di un «solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale». Lo stesso ambito politico esclude il pressappochismo contemporaneo e richiede basi immensamente più stabili delle odierne: c’è «il dovere nei cattolici tutti – scrive san Pio X – di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati», altrimenti «si corre rischio di andare tentoni lungo tempo, in cerca di cose nuove e mal sicure».

La prossima Settimana sociale è proprio questo: un voler andare a tentoni, un voler citare Toniolo senza presentarlo e senza conoscerlo, una morbosa affezione alla novità. Siamo alla maturazione del cattolicesimo democratico, del «democratismo» privo di contenuti che dilaga.

La mentalità a monte delle nuove Settimane sociali è quella del Sillon – contro cui sempre Pio X scrisse la lettera Notre charge apostolique (1910) – e consiste semplicemente nel volere un’azione sociale senza dottrina sociale. La politica, secondo questo pensiero assurdo, non deve avere nulla di soprannaturale, ma si appiattisce su di una concezione secolarizzata della democrazia. Il cosiddetto cattolico in politica cessa così di esistere, non per l’abbandono della politica, ma del cattolicesimo.

Silvio Brachetta