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sabato 17 giugno 2023

Conversione e proselitismo, è necessaria una riflessione

Negli scorsi giorni la cronaca ha riportato un singolare e pessimo episodio riferito a papa Francesco (QUI e QUI MiL). Ora, a mente fredda, vale la pena spendere alcune considerazioni in merito a tale episodio e a ciò che può significare per un cristiano:
Ringraziamo l'amico Paolo Gulisano.
Luigi

Paolo Gulisano

Negli scorsi giorni la cronaca ha riportato un singolare episodio riferito a papa Francesco. Ora, a mente fredda, vale la pena spendere alcune considerazioni in merito a tale episodio e a ciò che può significare per un cristiano.
È il papa stesso che lo ha raccontato, spiegando che una signora gli aveva fatto perdere le staffe. «Uscivo dalla sagrestia e c’era una signora molto elegante, ricca pure, con un ragazzo e una ragazza. E questa signora che parlava lo spagnolo mi dice: “Padre, sono contenta perché ho convertito questi due”. Io mi sono arrabbiato». E perché mai l’anziano gesuita se l’è presa tanto? “Perché non si fa proselitismo” ha spiegato.
A questo punto, come si diceva, è necessaria una riflessione, affinchè i semplici fedeli o anche i sacerdoti in cura d’anime non abbiano a pensare che convertire delle persone, ovvero portarle alla Fede, sia una cosa sbagliata. Forse il papa anziché cedere all’ira e ai pregiudizi (la signora era “ricca”, e come faceva saperlo Bergoglio? Forse che aveva preso visione della sua denuncia dei redditi?) avrebbe dovuto chiedere alla signora come era andata. Come vivevano quei due ragazzi prima della conversione? In cosa credevano? E soprattutto avrebbe potuto chiederlo agli stessi ragazzi, ponendo anche una semplicissima ma fondamentale domanda: siete contenti di esservi convertiti?

Probabilmente la risposta gioiosa dei giovani avrebbe smorzato la rabbia e lo zelo amaro del pastore argentino. La conversione è sempre un’esperienza di gioia e di commozione. In questo anno in cui si celebra il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, al papa si potrebbe consigliare la rilettura dei Promessi Sposi, in particolare le pagine struggenti della conversione dell’Innominato. Un uomo malvagio, un peccatore incallito, al quale il cardinale Borromeo porta la luce della Fede. L’arcivescovo non era preoccupato di evitare il proselitismo, non si voleva limitare nell’incontro con il peccatore di un dialogo rispettoso, ma gli annuncia la salvezza portata da Cristo.

Probabilmente il papa argentino ragiona con categorie puramente sociologiche, per le quali con il termine “proselitismo” viene generalmente indicato un atteggiamento per ci si “arruola” in una certa parte, religiosa o politica, un nuovo adepto, al quale quasi si impone in modo unilaterale un determinato sistema di idee. Non è la prima volta che il papa crea equivoci tra il concetto di conversione e quello di proselitismo. Accadde già anni fa, precisamente in un dialogo tra lui e il giornalista Eugenio Scalfari, uno dei guru del laicismo antireligioso, in cui sottolineò il carattere negativo del proselitismo affermando che è “una solenne sciocchezza”.

Ma la conversione è tutta un’altra cosa, e l’esempio dell’Innominato è il più evidente. Conversione vuol dire finalmente incontrare la Verità, giungere al termine di una ricerca, trovare le risposte alle proprie domande. La signora disprezzata dal papa gli portava questa notizia, di aver portato alla Fede qualcuno che non la conosceva. “Sono contenta”, gli aveva detto. Ma Bergoglio purtroppo non aveva fatto caso a questa gioia, giudicandola dalle apparenze (“elegante”, la definisce, e quindi ricca, e quindi cattiva). E non aveva fatto caso nemmeno alla gioia di quei due giovani, cui la signora, ci immaginiamo con quanta trepidazione, aveva portato ad incontrare nientemeno che il papa. E chissà cos’hanno provato, quei ragazzi, a sentirsi definire “proseliti”, come se fossero dei nuovi tifosi del san Lorenzo, la (mediocre) squadra di cui Bergoglio è tifoso.

Ci auguriamo e preghiamo perché la freddezza e l’ostilità con cui sono stati accolti non pregiudichi la gioia di avere finalmente incontrato Cristo nella loro vita, e di avere iniziato una nuova vita. Sappiano che prima di loro tanti altri hanno vissuto questa esperienza, che fu voluta da Cristo Salvatore stesso. Uno dei passi fondamentali del Vangelo secondo Matteo riporta l’esortazione di Gesù ai suoi apostoli affinché i vadano in tutto il mondo facendo discepoli, battezzandoli e diffondendo gli insegnamenti del Messia. Convertire vuol dire evangelizzare, fare apostolato, portare la salvezza ad ogni persona.

Un grande santo, e un grande convertito, l’Inglese John Henry Newman, alle soglie degli ottant’anni di vita, in occasione della sua elevazione alla dignità cardinalizia, scriveva quanto aveva sperimentato nella sua prima conversione, l’incontro con la Verità. . Ribadiva, ancora una volta, che la grande peste del nostro tempo è “lo spirito del liberalismo nella religione”. Oggi potremmo chiamarlo relativismo, una “peste che combatte ogni dogma, affermando però i propri, rigidi ed indiscutibili: «La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale”. Per cui secondo il relativismo la conversione non è più necessaria, e anzi va osteggiata. Magari bollandola con il termine di “proselitismo”.

Nessun dubbio, quindi: occorre più che mai fare apostolato, evangelizzare, convertire.

Paolo Gulisano