Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 938 pubblicata da Paix Liturgique il 25 maggio 2023, in cui si riportano i passaggi salienti dell’intervento di mons. Vittorio Francesco Viola O.F.M., segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (che ha sostituito con breve preavviso il card. Arthur Roche, prefetto dello stesso Dicastero) al convegno Desiderio desideravi, organizzato a Parigi dal Service national de la pastorale liturgique et sacramentelle (ne abbiamo già scritto QUI e QUI).
Ne emerge la difesa ad oltranza del motu proprio Traditionis custodes quale strumento necessario per ritornare all’«unità rituale», attraverso una interpretazione forzatamente ideologica della bolla Quo primum di San Pio V condita dalle ormai logore parole d’ordine, seconda le quali la lettera apostolica Desiderio desideravi «è l’antidoto alla mondanità spirituale alimentata dallo gnosticismo e dal neopelagianesimo», perché la liturgia «non può essere ridotta all’estetismo, al rubricismo o al funzionalismo superficiale».
E da qui prendono il via discorsi sulla «estetica», sulla «liturgia pastorale» e sulla «nuova liturgia» di una Chiesa che pare voler rincorrere il suo declino.
L.V.
Intorno a una nuova liturgia che è una liturgia dell’esclusione… che spiega perché il Cattolicesimo è in procinto di scomparire
Nella nostra lettera 937 pubblicata il 22 maggio 2023 [QUI la traduzione su MiL: N.d.T.], abbiamo fornito una panoramica di questo importante simposio liturgico, organizzato dal Service national de la pastorale liturgique et sacramentelle, che si è tenuto nella Grande Crypte della Chiesa parrocchiale di Saint-Honoré d’Eylau. Oggi riportiamo i punti salienti della conferenza – o della meditazione, per essere più precisi – tenuta da mons. Vittorio Francesco Viola O.F.M., segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha sostituito con breve preavviso il card. Arthur Roche, che ha addotto motivi di salute per la sua assenza dal convegno. Affidare questo compito a mons. Viola è stato tanto più naturale in quanto egli è ritenuto il principale autore della lettera apostolica – in forma di mediazione – Desiderio desideravi, che vuole essere un inno alla riforma bugniniana e un definitivo certificato di morte della liturgia precedente. Un tipico esercizio a circuito chiuso, dunque, in perfetta consonanza con l’autocelebrazione di un’assemblea di credenti convinti che è la nuova liturgia.
Papa Francesco vuole… la pace liturgica
«L’intenzione di papa Francesco non è certo quella di scatenare una guerra interrompendo una pace liturgica che peraltro è molto presunta». Queste parole di mons. Vittorio Francesco Viola O.F.M. dimostrano che il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti è perfettamente consapevole non solo dell’opposizione suscitata dal motu proprio Traditionis custodes, ma anche del vocabolario e degli argomenti di questa opposizione – «Paix liturgique» [Pace liturgica: N.d.T.] in particolare!
Il card. Arthur Roche, prefetto del Dicastero, avrebbe probabilmente fatto una presentazione meno dettagliata e meno profonda. Mons. Viola, suo segretario-arcivescovo, aveva chiaramente un duplice obiettivo nel parlare a lungo (in lingua italiana) davanti a un pubblico generalmente favorevole alla liturgia riformata: denunciare il continuo attaccamento alla Santa Messa tradizionale e giustificare teologicamente la sostituzione forzata di quest’ultima con la Messa risultante dal Concilio Vaticano II.
Voleva dimostrare che era necessario fondare questa scelta sull’applicazione del Concilio Vaticano II, in nome di un’ecclesiologia e di principi teologici che, tuttavia, rimanevano un po’ vaghi, come se mons. Viola non volesse assumere apertamente i punti precisi di rottura o di cambiamento. Questa vaghezza è stata facilitata dal fatto che ha detto di voler presentare una «meditazione» piuttosto che un «trattato». Questo è quanto ha detto nell’introduzione al suo discorso, annunciando di volersi soffermare «sul significato teologico della liturgia». Lo ha fatto, ma soprattutto in una direzione: l’amore di Dio per gli uomini e ciò che la liturgia fa per loro è stato splendidamente affermato, ma l’aspetto del culto di adorazione reso a Dio attraverso la liturgia che ci dona è stato molto meno presente, e il carattere sacrificale e propiziatorio della Messa è stato praticamente ignorato.
A tal fine, non c’è niente di meglio che concentrarsi sulla lettera apostolica Desiderio desideravi di papa Francesco, che mira a presentare a tutti, «all’intero popolo di Dio», «gli argomenti che motivano il motu proprio Traditionis custodes in modo positivo e convincente, affinché non rimanga un mero testo giuridico».
Mons. Viola aveva appena salutato la scomparsa della distinzione tra «forma ordinaria» e «forma straordinaria» dell’«unico rito romano», «un evento senza precedenti nella tradizione romana», attraverso il ritorno all’«unità rituale».
«Infatti, nella bolla Quo Primum (14 luglio 1570) con cui fu promulgato il Missale Romanum, San Pio V dichiara che “come nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, così sommamente conviene che uno solo sia il rito per celebrare la Messa”». Che non è più il rito tridentino…
È stata una mossa audace. Nell’ultimo numero di Sedes Sapientiae (n. 163, marzo 2023), la rivista della Fraternità San Vincenzo Ferrer, si veda l’articolo dell’abbé Gabriel Diaz Patri, L’unicité du missel romain au regard de l’histoire [L’unicità del Messale romano alla luce della storia: N.d.T.]. Infatti nella bolla Quo Primum, fin dal paragrafo successivo, si legge che nessun indulto, privilegio o conferma apostolica può permettere di derogare alla regola dell’uso del Messale tridentino, a meno che «dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo».
Quanto al resto, che mons. Viola certamente conosce, contiene gli avvertimenti di San Pio V circa la validità «in perpetuo» della sua codificazione della Messa, e il suo comando: «che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato». Certo, i Papi immediatamente successivi a San Pio V, e poi altri Papi, fino a Pio XI, Pio XII e San Giovanni XXIII, apportarono alcune modifiche, che sono riportate nelle successive edizioni tipiche fino a quella del 1962, ma conservarono pienamente l’edificio tramandato dal Messale tridentino, che fu abbattuto dalla riforma – o meglio rivoluzione – di San Paolo VI.
Passato tutto sotto silenzio, redatta la bolla Quo Primum senza alcuna remora, mons. Viola ha assicurato: «La lettera apostolica Desiderio desideravi vuole fare in modo che il popolo di Dio senta come una necessità, e non solo come un obbligo imposto, la riscoperta dell’unità del rito romano nella forma voluta dal Concilio Vaticano II, massima espressione della sinodalità della Chiesa».
Non c’è bisogno di sottolineare che la riforma liturgica è stata portata a termine (non osiamo dire «con successo») diversi anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, ma l’idea ricorrerà più volte, non solo nella lezione di mons. Viola, ma in tutto il simposio: per capire la liturgia è necessario fare la spola tra la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, che assicurava «la riscoperta della comprensione teologica della liturgia», e la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e la liturgia riformata. Quanto al popolo, spetta senza dubbio a lui imitare Winston nelle ultime pagine di 1984: «He loved Big Brother» [Egli amava il Grande Fratello: N.d.T.].
Riferendosi all’idea che la «tolleranza» offerta da Papa Benedetto XVI alle «persone che si sono formate nella liturgia precedente […] sia stata successivamente intesa come una promozione di questa forma rituale», e al «rifiuto» della riforma e del Concilio Vaticano II denunciato nella lettera di papa Francesco che accompagna il motu proprio Traditionis custodes, mons. Viola ha commentato: «Il tenore spesso aspramente polemico della riflessione sulla questione liturgica conferma purtroppo questa affermazione». Ed è a questo punto che ha evocato la «pace liturgica», di cui nega l’esistenza. Sì, c’è una guerra in corso, ma i suoi autori sono dalla parte di coloro che hanno rifiutato l’unicità del rito romano, si capisce.
Continuare ad andare avanti
Mons. Viola ha quindi insistito: «La lettera apostolica Desiderio desideravi vuole riprendere e rilanciare il cammino della riforma liturgica che, per certi aspetti, nonostante i nuovi libri liturgici, rimane incompiuto. Non si tratta di riformare la riforma, ma di viverla appieno». Questo significa chiedersi sempre «qual è la nostra visione della Chiesa», e verificare «come essa corrisponde a ciò che il Concilio Vaticano II ci insegna nella costituzione Lumen gentium».
La lettera apostolica Desiderio desideravi è in linea con questa logica e risponde, secondo mons. Viola, a un desiderio espresso dal card. Jorge Mario Bergoglio nel marzo 2005 all’assemblea plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, di cui era membro: «Vorrei un documento limpido e chiaro dal punto di vista espressivo, con un carattere biblico e testi liturgici; un testo per la meditazione, più che un trattato teologico; esortativo o, meglio, capace di offrire motivazioni, più che giuridico o rubricistico».
È giusto dire che il futuro papa Francesco ha avuto un vantaggio, e che il motu proprio Traditionis custodes e i testi ad esso collegati sono caratterizzati da una reale coerenza. Si dice che mons. Viola spieghi: «L’intenzione è quella di offrire una parola “diversa” sulla liturgia, un battito d’ali per cercare di far uscire la questione liturgica dal pantano delle polemiche spesso strumentalizzate da visioni ideologiche della Chiesa e del mondo, e di una superficialità che non ha nulla a che vedere con la nobile semplicità dell’azione celebrativa».
Poco più avanti: «Con un linguaggio quasi narrativo, la lettera apostolica Desiderio desideravi ci ricorda innanzitutto che cos’è la liturgia da un punto di vista teologico. La liturgia è l’attualità della storia della salvezza, il luogo dell’incontro con Cristo; il suo soggetto è la Chiesa, il Corpo di Cristo; è l’antidoto alla mondanità spirituale alimentata dallo gnosticismo e dal neopelagianesimo; non può essere ridotta all’estetismo, al rubricismo o al funzionalismo superficiale; suscita un autentico stupore di fronte al mistero pasquale».
Sono molte parole e molte accuse, a cui cominciamo ad abituarci. Ma nella visione della liturgia di mons. Viola non c’era alcun accenno all’attualizzazione, al rinnovamento incruento del sacrificio di Cristo.
Affermando che «è proprio dalla comprensione teologica di ciò che è la liturgia che dipende la nostra idea di liturgia pastorale», mons. Viola ha certamente mostrato l’importanza dell’argomento. Ma la risposta è stata centrata su un’unica frase di Cristo: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione ». Il risultato è una visione che sembra amputata, perché se è vero che ogni cristiano può trovare «n questo versetto uno spazio infinito per crescere nella conoscenza di Lui, una conoscenza che non avrà fine», vedendo «dentro il cuore di Gesù», cogliendo «la possibilità di guardare l’Ultima Cena attraverso i suoi occhi», l’attenzione si concentra su ciò che la liturgia porta all’uomo (e questo non è altro che l’amore infinito di Cristo) ma senza menzionare il suo fine primario: «il debito culto all’unico e vero Dio», come affermava Papa Pio XII nella lettera enciclica sulla sacra liturgia Mediator Dei.
La meditazione di mons. Viola sulla Messa non manca né di grandezza né di poesia: «Dal giorno del nostro peccato, non siamo stati capaci di un gesto di obbedienza». O ancora: «Era necessario che il Verbo eterno si facesse carne perché la sua eterna obbedienza ci guarisse dalla nostra disobbedienza», ha proseguito mons. Viola, meravigliandosi dell’amore della Trinità per l’umanità: «Per offrirci una nuova possibilità di amarlo, Dio ha fatto tutto»… Il desiderio di Cristo per questa Pasqua «è il desiderio di poterci amare così, come si amano le Persone della Santissima Trinità, nell’altruismo perfetto del dono che ciascuno fa di sé agli altri. Questa misura estrema di amore si riversa nei nostri cuori come una cascata in un ditale, affinché amandoci come Lui ci ha amato, tutta la nostra vita entri nella comunione dell’amore trinitario». Qui mons. Viola si è asciugato una lacrima.
Ma nulla nelle sue parole, o nei paragrafi successivi, diceva o cercava di dimostrare la superiorità del rito riformato o l’incapacità della Santa Messa tradizionale di comunicare e trasmettere la realtà di quell’amore. A meno che una risposta non venga abbozzata qui: «Non posso rischiare che la mia preghiera sia il sentimento incostante di un presunto dialogo con un’immagine di Lui, spesso troppo simile a una proiezione di me stesso, dei miei pensieri. Abbiamo bisogno di un’oggettività nel nostro incontro con Lui, come quella del suo corpo. È una cosa molto seria, ne va della pienezza della nostra vita, ne va della vita eterna».
In ogni caso, se è solo nella liturgia riformata che possiamo sfuggire alla mancanza di oggettività nell’incontro, allora la Santa Messa tradizionale deve essere un ostacolo a questa oggettività agli occhi di mons. Viola. Ma come facevano i santi pre-1965 e pre-1969?
Le costituzioni Sacrosanctum Concilium e Lumen Gentium, una riforma liturgica ed ecclesiologica
È a questo punto che Vittorio Viola affronta la questione della «pastorale liturgica», «capace di farci crescere in un’autentica, seria e vitale partecipazione al mistero pasquale»: si tratta di assicurare la «formazione» alla liturgia, formazione che il nuovo rito non è stato certo in grado di realizzare, visto il terrificante declino della fede e la diserzione della pratica che ne hanno accompagnato l’attuazione.
Ma a mons. Viola non interessa una simile retrospettiva: «Eviterò di soffermarmi sulla valutazione della strada percorsa, che troppo spesso rischia di essere pregiudicata da approcci ideologici di diverso tipo, o addirittura contrapposti».
Ha invece un progetto per il futuro: «L’ambito in cui dobbiamo rilanciare con convinzione una solida azione formativa è quello dell’intero popolo di Dio, quello delle nostre assemblee domenicali. Nella loro concretezza, non nella loro idealizzazione, le nostre assemblee liturgiche sono il primo nucleo della comunità ecclesiale… vanno prese per mano… e fatte entrare nel mistero pasquale che celebrano perché, dalla Pasqua al Signore, prendano vita».
Questa insistenza – in linguaggio anfibio – sul mistero pasquale è proprio del Nuovo Ordo, che pretende di rispondere a una presunta trascuratezza della Risurrezione nel rito tradizionale, e di far coincidere sempre la desolazione del Golgota con la realtà esultante della Risurrezione.
La ragione per cui non si può evitare la liturgia riformata è data con discrezione da mons. Viola. Egli dice: «Quando diciamo “liturgia”, intendiamo tutti la stessa realtà? Senza questo chiarimento, finiremo per chiamare pastorale liturgica un’infinità di tentativi – più o meno riusciti, e normalmente tutti inefficaci – di rianimare una realtà che, se la pensiamo diversamente da come è, non può essere rianimata. È una sorta di accanimento terapeutico». Al contrario, ciò che serve è «una docile apertura alla presenza e all’azione dello Spirito che si manifesta nella dimensione rituale».
«Il legame tra liturgia ed ecclesiologia è molto stretto: la celebrazione è per eccellenza un’epifania della Chiesa»: occorre «la stessa comprensione di ciò che è la Chiesa». «Le costituzioni Sacrosanctum Concilium e Lumen Gentium si illuminano a vicenda, e la riforma liturgica richiesta dal Concilio Vaticano II mostra quanto siano strettamente legate», ha affermato mons. Viola. È chiaro che c’è un «prima» e un «dopo» nell’ecclesiologia, anche se non dettaglia esplicitamente le differenze tra il prima e il dopo. Eppure, ascoltandolo, questo è il nocciolo della questione.
Mons. Viola ha poi riflettuto a lungo sulla «Parola di Dio», a proposito della quale ha detto: «Non illudiamoci: senza valorizzazione della Parola, non ci può essere celebrazione». Non ci può essere sacrificio nella Messa se i fedeli non sono lì per ascoltare la Parola, per vederla valorizzata? «Il binomio Parola e Sacramento è inscindibile. Senza la Parola, il rito si svuota, rischiando di andare alla deriva della magia. Senza il Sacramento, la Parola rimane inefficace, rischiando di scivolare nella gnosi». Da quali orribili pericoli ci ha liberato la riforma di San Paolo VI!
Mons. Viola continua assicurandoci che «la Parola di Dio ha un primato in sé che la ritualità della sua celebrazione esprime e realizza bene». Parola di Dio nel senso di letture della Bibbia – Antico Testamento, Epistola, Vangelo – mentre il primato spetta ovviamente a Gesù Cristo, il Verbo incarnato, per cui l’Offertorio e il Canone della Messa sono davvero la liturgia della Parola, la liturgia della Parola.
Una nuova liturgia, una nuova estetica
Mons. Viola ha individuato un «terzo ambito della liturgia pastorale», quello dell’«esperienza estetica» e della sua «incomparabile azione formativa», con l’arte sacra «espressamente al servizio della celebrazione». Per lui, «l’edificio ecclesiastico è una metonimia figurativa della Chiesa come Popolo di Dio» (e non, come avrete notato, come Corpo Mistico di Cristo).
Non è indifferente che mons. Viola abbia voluto riflettere qui sull’arte contemporanea, molto presente nei due giorni del simposio: «Tra i sintomi più preoccupanti di un mecenatismo impotente, credo ci sia una diffusa incapacità di dialogare con l’arte contemporanea, ma anche un uso imprudente di essa. Investire in questo dialogo, non solo in una forte committenza delle verità rivelate e celebrate, ma anche nella conoscenza e nel rispetto dell’autonomia del linguaggio dell’arte, è un’azione di alta pastorale liturgica che può dare frutti preziosi».
Alla nuova liturgia corrisponde infatti una nuova «estetica», spesso rifiutata dai parrocchiani, come abbiamo sentito durante i «laboratori di arte sacra» che si sono svolti in vari momenti del convegno: il loro amore per le cose vecchie è stato prontamente denunciato e ridicolizzato. È tutto qui.
L’intervento di mons. Viola si è concluso con una breve riflessione sulla «presidenza» dell’assemblea e sulle sue possibili carenze, ma qui non è stato evidenziato il ruolo del celebrante, che agisce in persona Christi.
Alla fine, le ultime righe del suo discorso sono state molto rivelatrici: «Questo è l’obiettivo della liturgia pastorale: far sì che la Chiesa diventi sempre più una comunione di uomini e donne che, dopo aver riconosciuto Cristo nello spezzare il pane, vadano nel mondo a dire a tutti che Egli è vivo». Questa è la «Chiesa in uscita». In uscita dal sacrificio del Golgota?
In realtà, è una Liturgia – e una Chiesa – di ESCLUSIONE che si avvia lentamente verso la morte…
La migliore risposta è il pellegrinaggio Parigi Chartres con la partecipazione di sempre più innumerevoli giovani.
RispondiEliminaIl Signore benedica Mons. Viola! Grande pastore e grande liturgista!
RispondiEliminaDesiderio Desideravi è un'ottima catechesi sulla liturgia che serve a qualche modernista estremista.
Peccato; a sentirlo predicare era meglio di molti altri, e non di poco. Purtroppo ha incontrato grilli parlanti. E si è rovinato.
RispondiEliminaC'è poco da dire e da fare il Golgota è il sacrificio della messa, non è un accidente è il centro ." Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi ecc " Non si può marginalizzare questo evento storico e cosmico .
RispondiEliminaChi riforma la s.messa Deve capire e ricordarsi che Cristo non è morto nel suo letto ma sulla croce per amore e per redimerci . Dell evento Pasquale fulcro della liturgia non si può mettere in sordina nella s.messa il Golgota .cosa che succede nella prassi in cui alla consacrazione sono concessi pochi minuti e alle volte di fretta dopo una lunga omelia con replay al padre nostro e prima della benedizione finale.
A caro prezzo siamo stati riscattati e questo ce lo dovremmo ricordare tutti a iniziare dai riformatori della s.messa
Da quello che so c'è tutto un lavorio a lungo termine per cambiare l formula dell consacrazione per renderla più consona e più in sintonia con le varie chiese riformate e confessioni cristiane.(vedi a.grillo liturgista all sant'anselmo)