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venerdì 3 marzo 2023

"Gli insegnamenti della Chiesa sono sotto attacco!" - parla l'ex primate belga Léonard

"Gli insegnamenti fondamentali della Chiesa sono attualmente minacciati". In occasione dell'uscita del suo libro autobiografico che ripercorre gli ultimi 50 anni della storia della Chiesa, l'arcivescovo emerito André-Joseph Léonard discute le grandi sfide del nostro tempo.
"I testi del Concilio sono oggettivamente irreprensibili quanto al loro contenuto, ma nelle intenzioni di alcuni redattori o periti potrebbe esserci stata, a volte, una deliberata ambiguità, che ha poi permesso un'interpretazione tendenziosa. Il mio Vescovo di allora – che giustamente si batté perché la costituzione Lumen gentium non cominciasse dalla gerarchia, ma dal mistero della Chiesa – mi espresse, alcuni anni dopo, il suo rammarico per il fatto che questo approccio fosse stato interpretato in modo non conforme alla missione della Chiesa."
Questa traduzione è stata realizzata grazie alle donazioni dei lettori di MiL.
Luigi

Solène TadiéNational Catholic Register, 09/02/2023

L'arcivescovo André-Joseph Léonard, arcivescovo emerito di Bruxelles-Mechelen ed ex primate del Belgio, ha appena pubblicato un libro che, senza dubbio, non passerà inosservato nel mondo cattolico.

L'Eglise dans tous ses états: 50 ans de débats autour de la foi ("La Chiesa in tutti i suoi livelli: 50 anni di dibattiti intorno alla fede") è stato presentato come un resoconto autobiografico, attraverso il quale il suo autore offre un'analisi senza compromessi degli eventi che hanno avuto luogo nella Chiesa negli ultimi cinquant'anni – dalle derive teologiche e pastorali che hanno segnato il periodo post-Vaticano II agli attuali dibattiti che

circondano il Sinodo sulla sinodalità, e i vari scandali di abusi sessuali sorti in questi anni.

Nato nel 1940 e ordinato sacerdote nel 1964, l'arcivescovo Léonard è stato nominato vescovo di Namur nel 1991 e poi arcivescovo dell'arcidiocesi di Bruxelles-Mechelen nel 2010. Si è ritirato nel 2015.

Le sue opinioni reputate ortodosse su questioni di fede e la sua schiettezza gli hanno spesso fatto guadagnare l'ira della stampa belga. Nel 2013, le attiviste femministe del gruppo Femen lo hanno preso di mira in una conferenza per aver equiparato l'omosessualità a un "blocco nel normale sviluppo psicologico" in un'intervista del 2007. Le immagini dell'arcivescovo in preghiera silenziosa, mentre veniva copiosamente infilato dai manifestanti Femen in topless, sono diventate virali.

Autore di circa 30 libri tradotti in varie lingue, questo illustre filosofo e teologo è stato anche membro della Commissione teologica internazionale dal 1987 al 1991, che lo ha portato a numerosi incontri con l'allora presidente, il cardinale Joseph Ratzinger, il futuro papa Benedetto XVI. Gli è stata inoltre affidata la stesura dell'enciclica Fides et ratio ("Fede e ragione") di Giovanni Paolo II del 1998.

In questa intervista al Register, egli dà la sua personale diagnosi circa i mali che affliggono oggi la Chiesa e il mondo cristiano, e ripercorre alcuni degli eventi che hanno segnato la sua vita di sacerdote, e discute l'eredità dei papi san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Il suo libro ripercorre gli ultimi 50 anni circa della storia della Chiesa, di cui lei è stato testimone di prima mano. In particolare, lei si concentra molto sulle derive post-Vaticano II di cui è stato testimone senza attribuirle direttamente al Concilio. Lei indica che il problema non risiede nei testi del Concilio, ma in quello che lei chiama il "meta-Concilio" degli anni 1970. Cosa intende dire?

Intendo dire che i testi del Concilio sono oggettivamente irreprensibili quanto al loro contenuto, ma che nelle intenzioni di alcuni redattori o periti potrebbe esserci stata, a volte, una deliberata ambiguità, che ha poi permesso un'interpretazione tendenziosa. Il mio Vescovo di allora – che giustamente si batté perché la costituzione [dogmatica] sulla Chiesa (Lumen gentium) non cominciasse dalla gerarchia, ma dal mistero, cioè dalla realtà profonda della Chiesa, e con l'intero Popolo di Dio – mi espresse, alcuni anni dopo, il suo rammarico per il fatto che questo approccio fosse stato interpretato in modo non conforme alla missione della Chiesa; che questo approccio era stato interpretato come se, sul modello delle democrazie politiche, l'autorità dottrinale dei vescovi venisse concessa loro dal basso e non da Cristo, e sospettasse che questa fallace interpretazione dell'ordine dei capitoli fosse un'intenzione nascosta di alcuni esperti.

Lei ha messo i puntini sulle i circa una serie di questioni dottrinali, come il sacerdozio femminile, il matrimonio dei sacerdoti e la benedizione delle coppie omosessuali. Pensa che gli insegnamenti della Chiesa su questi argomenti siano davvero minacciati in questo momento?

Sì, questa minaccia esiste! È già presente in una lettera pastorale che si discosta da punti essenziali della fede cattolica, qual è il sacerdozio maschile, il quale rappresenta lo Sposo (maschio!) della Chiesa, cioè Cristo; l'alto valore del celibato sacerdotale in Occidente; e la complementarietà dell'uomo e della donna nel matrimonio. Ahimè, temo che molte delle richieste espresse nel "Sinodo sulla sinodalità" – che formulazione astrusa! — cercherà di minare o relativizzare queste realtà vitali.

Come arcivescovo di Malines-Bruxelles, ha dovuto affrontare scandali di abusi sessuali in Belgio. Tuttavia, lei denuncia l'uso corrente del termine "sistemico" per descrivere questo fenomeno all'interno della Chiesa (un termine che il recente Rapporto francese Sauvé ha ampiamente utilizzato). Perché questo termine è così problematico?

Non appena Benedetto XVI mi ha nominato capo dell'arcidiocesi di Malines-Bruxelles [nel 2010], ho dovuto affrontare le accuse mosse all'allora vescovo di Bruges [Roger Vanheluwe], ottenendo da Roma il suo immediato licenziamento. Oggi mi rammarico per questa fretta, perché né un processo civile né un processo canonico hanno preceduto queste dimissioni forzate. Le domande sono rimaste senza risposta.

In seguito, per affrontare i casi di abuso commessi in passato, alcuni confratelli dell'episcopato belga hanno, con l'aiuto di esperti legali qualificati, organizzato un servizio di ascolto per le vittime e sistemi procedurali per aiutarle. Questa operazione è stata svolta in maniera eccellente. E sono state definite e messe in pratica misure che possano evitare simili abusi in futuro.

Detto questo, trovo inappropriato considerare tutti gli abusi sessuali come "sistemici", cioè quando commessi da ecclesiastici, come legati alla natura o al funzionamento del mondo clericale o consacrato, perché, in questo caso, tutti i sacerdoti e i frati, essendo passati attraverso un certo "stampo" durante la loro formazione, il numero di chi abusa dovrebbe essere molto alto, mentre in realtà e fortunatamente, rimane una piccolissima minoranza. Inoltre, poiché la maggior parte delle violenze sessuali avvengono all'interno della cellula familiare (e commesse da padri, patrigni, nonni, zii, fratelli, cugini), diremo che, anche qui, il problema è "sistemico" e che è "la famiglia" la causa di tutti questi mali? Temo, dunque, senza poterlo provare, che l'intenzione segreta – forse inconscia – del Rapporto Sauvé fosse quella di mettere in discussione il celibato sacerdotale e l'impegno per la vita consacrata. Continui...

Lei ha incontrato l'allora cardinale Ratzinger nella seconda metà degli anni 1980, quando era membro della Commissione teologica internazionale, da lui presieduta. Quali ricordi di lui ha impressi di più?

Ricordo soprattutto la cortesia e l'immensa cultura e intelligenza di quell'uomo. Durante le sessioni della commissione, non interveniva molto nei nostri dibattiti. Ma, arrivata la sera, ci offriva una sintesi dei pensieri manifestati in varie direzioni durante il giorno, e tracciava percorsi precisi per il lavoro del giorno successivo. Come il suo amico Hans Urs von Balthasar, egli aveva imparato l'arte della profondità combinata con la concisione. Nel suo tempo libero, ci accoglieva sempre, se lo desideravamo, per uno scambio personale di rara semplicità. E abbiamo avuto la sensazione di incontrare un amico di lunga data.

Quale pensa sia stato il suo principale contributo alla Chiesa contemporanea, sia teologicamente che pastoralmente?

Una frase del Salmo 85 riassume il suo contributo: "Amore e Verità si incontreranno". Il suo motto era: "Servitore della verità". Contrario a tutte le forme di relativismo, egli dedicò il suo lavoro teologico alla verità oggettiva della Rivelazione biblica e della Tradizione apostolica, senza compromessi, ma con tutte le sfumature necessarie nell'espressione di tale verità. E, sul piano pratico, sapeva che non si può forzare la verità, che sarà effettivamente accolta solo sviluppando una pedagogia che conduca pazientemente ad essa.

Trovo esemplare della sua finezza teologica anche il modo in cui, nel suo capolavoro Gesù di Nazaret, egli riuscì a coniugare le esigenze del metodo storico-critico e l'esegesi "canonica", quella che interpreta da sola la Scrittura, rinviando gli uni agli altri i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento e rileggendoli alla luce della lunga Tradizione ecclesiale.

Anche il rapporto con Giovanni Paolo II ha avuto un impatto particolare sul suo cammino personale. Egli ha deciso di affidarLe parte della stesura dell'importante Enciclica Fides et ratio, e la ha scelta anche per predicare il ritiro quaresimale in Vaticano nel 1998. Mentre la continuità spirituale tra lui e il suo successore Benedetto XVI è spesso menzionata, qual è secondo lei l'essenza di ciascuno dei due pontificati?

Mi è stato infatti chiesto di scrivere un testo completo sul rapporto tra fede e ragione, che, dopo la mia nomina a vescovo a Namur, è stato mescolato, arricchito, completato e abbreviato dagli esperti, il che è una cosa abbastanza normale. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano temperamenti diversi. Pur conducendo una vita spirituale e interiore molto profonda, Giovanni Paolo II aveva un grande talento nel rivolgersi alle folle. Benedetto XVI è stato altrettanto profondo e spirituale, ma ha eccelso negli incontri più intimi, ma ha faticato a suscitare l'entusiasmo di una folla. Ciò che li accomuna, però, oltre a una fede incrollabile, era una cultura eccezionale, principalmente filosofica nel caso di Giovanni Paolo II e soprattutto teologica nel caso di Benedetto XVI, sebbene entrambi fossero eccellenti anche nell'ambito di pensiero in cui l'altro eccelleva.

Nel suo libro, lei riferisce che, durante un incontro privato con Giovanni Paolo II, lei aveva fatto notare al Pontefice la sua crescente insistenza nelle omelie circa l'avvicinarsi della Parusia – la fine dei tempi e la nuova venuta di Gesù nella gloria – e che lui aveva confermato la sua impressione. Eppure, il mondo e la Chiesa hanno conosciuto periodi di caos simili o addirittura peggiori di quanto viviamo oggi nel corso della storia. Come spiega una tale insistenza da parte di Giovanni Paolo II?

La sua domanda è del tutto appropriata. In diverse occasioni nella storia della Chiesa abbiamo creduto che fosse giunta la fine di questo mondo. Infatti, dalla risurrezione e dall'ascensione di Gesù, siamo, per definizione, alla fine dei tempi. Ma ciò che è specifico del nostro tempo è la globalizzazione dell'umanità, che rende possibile una Parusia con una dimensione necessariamente universale. Perché il ritorno di Gesù nella gloria non può riguardare un solo continente; si riferirà a tutta la storia umana e a tutta la geografia della Terra. Inoltre, mi colpisce il fatto che le numerose apparizioni mariane recenti, riconosciute o ancora da riconoscere, hanno quasi tutte un sapore escatologico. Forse anche Giovanni Paolo II era sensibile a questo. Ma sarebbe stato inopportuno da parte mia chiedergli di specificare dove ha tratto personalmente questa speranza e questa convinzione.

Lei esprime anche la dolorosa osservazione secondo la quale "anche le chiese cristiane hanno spesso perso la propria anima in Occidente". "Il sale è diventato stantio e non riusciamo più a vedere come possiamo ripristinarne il sapore", ha detto. Cosa glielo fa pensare?

Essendo tutta la cultura contemporanea – o la mancanza di essa – impregnata di questo relativismo, giustamente denunciato da Benedetto XVI, è inevitabile che la fiamma viva della vita cristiana perda il suo vigore.

Il Natale, meraviglia dell'Incarnazione, si dissolve in paesaggi innevati, abeti, un ridicolo Babbo Natale, tacchino o foie gras. Si celebra l'anniversario della nascita di Gesù, ma si chiede ai municipi di non menzionare mai il nome di colui di cui si celebra il giorno della "nascita". È come organizzare una bella festa per il compleanno di un amico e non menzionare mai il suo nome. Ecco dove siamo arrivati. La Pasqua, l'evento più importante della storia umana, è stata ridotta a uova di cioccolato. La pandemia è usata come pretesto per ridurre la Santa Messa a uno spettacolo televisivo, non richiedendo viaggi e rendendo incidentale la comunione con il corpo di Cristo. Quasi tutte le istituzioni cattoliche si definiscono in base ai cosiddetti "valori cristiani o evangelici", ma senza mai menzionare il nome di Cristo. Tutte le nostre società hanno bisogno di essere nuovamente evangelizzate.

Per fortuna ci sono centri di vita cristiana, movimenti pieni di ardore evangelico, pronti ad annunciare la bellezza di Cristo nella buona e nella cattiva sorte, senza lasciarsi scoraggiare da coloro (vescovi compresi) che instancabilmente predicano: "Soprattutto, non bisogna fare proselitismo!". Screditano san Paolo, colui che è stato il più grande proselito della storia della Chiesa, colui che ha parlato e agito per permettere al maggior numero di persone di "avvicinarsi" a Cristo. Questo è ciò che significa la parola greca proselito: "colui che si avvicina".

Lei ha ripercorso con i ricordi tutte le sue numerose visite pastorali in tutto il mondo in qualità di vescovo, in particolare negli Stati Uniti. Quali pensa siano state le realtà più importanti sul campo in questo Paese?

Ammiro il fatto che, negli Stati Uniti, molti cristiani militino contro la banalizzazione dell'aborto e colleghino questo impegno a una preoccupazione attiva di aiutare le donne, per le quali una gravidanza comporta molte difficoltà. Abbiamo bisogno di entrambe le cose: denunciare l'aborto e sostenere le donne incinte in difficoltà.

Più in generale, durante la mia unica visita negli Stati Uniti d'America, poche settimane prima della tragedia delle Torri Gemelle, ho ammirato la vitalità delle parrocchie cattoliche che ho visitato.