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venerdì 31 marzo 2023

A proposito dei manifesti romani: quando in curia censuravano Papa Wojtyla #perlalibertadellamessatradizionale #mtl #tlm

Cari Amici,

come sapete, uno dei manifesti utilizzati nella campagna “per amore del Papa; per la pace e l’unità della Chiesa; per la libertà della Messa tradizionale latina” propone una citazione di Papa Wojtyla: uno stralcio del suo Messaggio del 21 settembre 2001 all’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, poi ripreso dal Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e Orientamenti, pubblicato dalla stessa Congregazione – allora guidata dal Card. Jorge A. Medina Estévez – nel 2002.

Il passaggio, che campeggia accanto ad una foto del Pontefice polacco negli ultimi tempi del suo pontificato, concerne, ovviamente, la liturgia tradizionale: si tratta di poche parole, ma che già all’epoca a qualcuno parvero dirompenti, tanto da essere oggetto di una vero e proprio tentativo di censura.

Per narrare la vicenda, lasciamo la parola a chi già la raccontò oltre vent’anni fa:
Il Papa elogia la vecchia messa: censurato
Il giallo del discorso sulla religiosità popolare che non è stato pubblicato

di Andrea Tornielli
da "Il Giornale", 16 ottobre 2001

Il Papa elogia le "bellissime preghiere" dell’antico messale di San Pio V e chiede ai vescovi di incoraggiare le pratiche della religiosità popolare. Ma il suo discorso non viene pubblicato. C’è un piccolo giallo attorno al messaggio di Giovanni Paolo II, distribuito ai cardinali e vescovi durante la recente riunione plenaria della Congregazione per il culto divino. I lavori si sono svolti in Vaticano dal 26 al 28 settembre, eppure il testo a tutt’oggi non è stato reso noto. La stranezza è resa ancora più evidente dal fatto che negli stessi giorni si è svolta a Roma un’altra plenaria, quella della Congregazione per i religiosi: anche in questo caso il Papa ha inviato un messaggio, che è stato regolarmente pubblicato sul bollettino della Sala Stampa della Santa Sede il 27, e sull’"Osservatore Romano" venerdì 28 settembre.

Che cosa ha scritto Wojtyla nel testo distribuito ai vescovi ma non pubblicato? Innanzitutto il Papa afferma che il "popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità". Quindi aggiunge: "Nel messale romano, detto di San Pio V, come in diverse liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi liturgia". Come si vede, il riferimento al messale preconciliare è appena accennato. Eppure qualcuno, all’interno dei sacri palazzi, deve averlo considerato come un’apertura eccessiva verso coloro che chiedono un recupero delle antiche formule. E ha deciso pertanto che era più prudente non divulgarlo.

È significativo che nel messaggio il Papa parli del vecchio messale come di qualcosa che è ancora in vigore: in effetti, grazie all’indulto concesso dallo stesso Pontefice nel 1988 dopo il mini-scisma di monsignor Lefebvre, ogni vescovo può permettere a gruppi di fedeli che ne facciano richiesta la celebrazione secondo il rito antico. Questo, però, avviene raramente e con notevoli difficoltà. La citazione papale poteva dunque essere interpretata come un segnale di apertura verso coloro che auspicano una maggiore libertà di utilizzo del messale di San Pio V. Tra questi il più autorevole è certamente il cardinale Joseph Ratzinger, che nel suo ultimo libro (Dio e l'uomo, edizioni San Paolo) ha chiesto ai confratelli di essere più tolleranti verso chi chiede la messa in latino. Lo stesso porporato bavarese, ha partecipato, lo scorso 24 luglio, a un summit a porte chiuse che si è svolto nell’abbazia francese di Fontgombault. Si è dibattuto su come far aumentare la sensibilità dei fedeli verso la liturgia, e al tempo stesso modificare gradualmente certi aspetti della riforma postconciliare.

Ma il messaggio papale non si ferma qui. La parte più consistente della lettera riguarda, infatti, la religiosità popolare. Cioè quelle forme di preghiera e di devozione che non rientrano nella liturgia ma costituiscono un aiuto alla fede cristiana. Devozioni mariane, processioni, rosari, culti particolari di santi: fenomeni che certi teologi "illuminati" hanno bollato come retrogadi se non addirittura come forme di superstizione. "La religiosità popolare - scrive il Papa - quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere pertanto apprezzata e favorita". Certo, Giovanni Paolo II avverte che le devozioni inquinate da elementi non coerenti con la dottrina "vanno purificate con prudenza e pazienza". Ma invita i vescovi ad avere "nei confronti della religiosità popolare un atteggiamento positivo e incoraggiante". Espressioni che suonano quasi come una rivincita per quel popolo di Dio fatto di semplici fedeli che sgranano il Rosario, visitano i santuari, portano lo scapolare e invocano grazie dai santi.