Un'altra riflessione sull'ultimo libro del card. Gerhard Müller intervistato da Franca Giansoldati.
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Luigi
In questi giorni si è molto parlato del nuovo libro del cardinale tedesco Gerhard Müller, andato letteralmente a ruba nella prima settimana di lancio. Quello di Müller, per dieci anni vescovo di Ratisbona e Prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2012 al 2017, è un libro-intervista scritto con la giornalista de Il Messaggio Franca Giansoldati ed edito da Solferino.
Il libro, che ha come titolo “In buona fede. La religione nel XXI secolo“, affronta diversi argomenti relativi alla Chiesa e alla fede letti con gli occhi di uno dei cardinali più in vista del momento. Com’è normale i media si sono concentrati sui punti nei quali il cardinale prende le distanze da papa Francesco e critica in modo inequivocabile alcuni favoritismi, la scelta dei collaboratori e alcune sue decisioni particolari, come ad esempio la scelta di punire il cardinale Becciu senza concedergli la possibilità di difendersi (prima ancora che avesse inizio il processo), la spettacolarizzazione dei processi che fanno sembrare “che in Vaticano dimorino solo funzionari corrotti”, la traduzione del Padre Nostro, le accuse contro Trump e alla simpatia verso Biden, l’accordo con la Cina e il trattamento riservato al cardinale cinese Zen, la riforma della curia (“priva di una coerente visione ecclesiologica”) o la messa al bando della Messa Tradizionale in latino, annullando di fatto una decisione presa in modo straordinario dal suo predecessore nel 2007. “Dispute interne senza senso – dice riferendosi alle Messe in Latino – frutto di cattiva gestione del potere, scarsa preparazione teologica e imprudenze pastorali”.
“Nulla di nuovo sotto il sole” se si considera che il cardinale tedesco fu amico e allievo di Joseph Ratzinger e ha una impostazione conservatrice (o meglio dire, cattolica?) per quanto riguarda la fede e la liturgia, non sempre in linea con il nuovo corso avviato da papa Francesco. Non a caso fu scelto da Ratzinger come suo successore a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tuttavia terminati i cinque anni di servizio, ancora lontano dall’età della pensione prevista dal diritto canonico, Müller è stato congedato senza ottenere nessun altra mansione all’interno della Chiesa, né in Curia né in patria.
La sua sostituzione sorprese tutti, era infatti prevedibile un rinnovo per altri cinque anni, non solo perché prassi assodata in assenza di grossi impedimenti, ma per la caratura teologica del cardinale in questione, il suo curriculum e il suo stretto legame e la continuità con chi ricoprì quel ruolo per un quarto di secolo come custode della fede durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Invece il cardinale rimase improvvisamente senza mansione, o meglio senza lavoro. Un danno, non solo per Müller come uomo rimasto di fatto disoccupato, ma per la Chiesa intera.
A molti è sembrato sorprendente che papa Francesco decidesse di prescindere da un cardinale come Müller. Tuttavia molti ricorderanno che in più di una occasione il Papa ha rivolto parole molto dure nei confronti del mondo accademico e dei professori di teologia. Per lo meno verso coloro considerati troppo scolastici e troppo ancorati alla tradizione (coniando per loro il termine “indietristi” e “indietrismo“). È dunque comprensibile che Müller, nonostante i suoi meriti accademici (o forse proprio per quelli) non godesse di molta simpatia a casa Santa Marta e dintorni.
L’idea che il cardinale tedesco fosse stato allontanato in maniera inaspettata dal Vaticano non è poi così peregrina. In un articolo pubblicato a febbraio del 2020, Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, parlò delle “amarezze e l’isolamento degli ultimi anni” che Müller avrebbe affrontato dopo la fine del suo incarico in Vaticano.
A molti commentatori è sembrato inopportuno che il cardinale racconti ora, a distanza di anni, il modo in cui papa Francesco gli annunciò la fine del suo mandato. Il resoconto viene di fatti letto come una accusa verso il Papa da chi si ritiene parte lesa e vittima di giochi di potere e simpatie personali. Molti giornali hanno riportato le parole del cardinale sottolineando la durezza del suo racconto e presentandolo come un pesante sasso gettato contro il Pontefice.
Eppure, già la domanda dell’intervistatrice indica come sono andate le cose, o per lo meno come sono state viste dal di fuori. La Giansoldati scrive: “Lei ha lavorato per la Congregazione per la Dottrina della Fede e poi, inspiegabilmente, nel 2017 è stato allontanato dall’incarico con cinque anni di anticipo (…) “. E poi ancora “All’origine del suo allontanamento improvviso e persino traumatico cosa potrebbe esserci oltre alle perplessità evidenziate sulla Amoris Laetitia, visto che non ha mai ricevuto una motivazione esauriente? “.
A queste domande Müller risponde spiegando quello che, a suo dire, potrebbe essere il motivo del suo allontanamento. Non si è tirato indietro quando sentì di dover correggere alcune storpiature e “rischio di errori dottrinali in questo o quel documento” pubblicato dal Vaticano. Questo ruolo di “custode” della fede, assieme al fatto di venire considerato in quanto tedesco eccessivamente rigido, gli guadagnò l’invidia di quel “cerchio magico” che Muller accusa di mal consigliare il Papa. Tra questi l’amico di Francesco, il teologo argentino Victor Manuel Fernandez e il card. di Tegucigalpa Oscar Maradiaga. Qui Müller parla di un “pregiudizio latinoamericano” nei confronti di Roma e dei teologi europei. Un complesso antiromano, dunque, portato avanti da alcuni cardinali latinoamericani, assieme alla diffidenza verso i teologi più conservatori (o indietristi) sarebbe dunque alla base della rottura tra Francesco e il suo più stretto collaboratore.
Nell’affrontare lo “strappo” sulla Messa in Latino, Müller parla di uno schiaffo inaspettato per i cosiddetti “tradizionalisti”, che ha “scavato fossati e causato dolore” e che ha avuto “conseguenze ed effetti negativi”. Una scelta che Muller attribuisce ai cattivi consigli dati da “alcuni professori dell’Ateneo Sant’Anselmo” che hanno “manipolato” Francesco: “sono andati dal papa e lo hanno condizionato perseguendo il proprio interesse”.
Si tratta di dichiarazioni pesanti e coraggiose che di certo non aiuteranno ad allentare la tensione tra Francesco e Müller, tuttavia il cardinale tedesco giustifica la sua posizione come un dovere di coscienza nei confronti della verità e in favore di tutta la Chiesa. “Non si tratta di avere dei comportamenti partigiani (…), Però se qualcosa non funziona serve tirare fuori il coraggio e, assieme, da fratelli, trovare una sintesi (…). Sicché se ci sono cose da denunciare per migliorare la situazione complessiva l’unica strada è parlare chiaro”. Così scrive il cardinale Müller consapevole anche che “in questa fase, chiunque sollevi critiche costruttive viene accusato di fare opposizione, di essere un nemico di Francesco”.
Molti i temi affrontati nel libro, tra cui la questione Cinese e il rapporto tra il Vaticano e la Cina, la questione femminile, gli abusi, il sinodo tedesco (a rischio apostasia più che scisma), la Teologia della Liberazione (“una corrente di pensiero da riscoprire”), il Gran Reset promosso a Davos, guerra in Ucraina (“senza armi, l’aggredito come potrebbe difendersi dall’aggressore?”) il marxismo, il capitalismo, il transumanesimo (la sfida più grande) e il futuro della Chiesa.
Un libro scritto “in buona fede” (come assicura il titolo) che sta facendo e continuerà a far discutere, ma che offre un po’ di chiarezza su molti punti e argomenti sui quali, in questo tempo di smarrimento e confusione, è mancata una parola chiara che metta a fuoco la missione della Chiesa al di là delle sterili e inutili polemiche di palazzo e gli intrighi del potere. “Altro che merletti!!!”, scrive il cardinale.