“Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco, ma il terreno era coperto di un velo fresco non più alto di tre dita. Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole. Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia [...]
Nell’appressarvici maggiormente, si capiva che la forma quadrangolare generava, aciascuno dei suoi angoli, un torrione eptagonale, di cui cinque lati si protendevanoall’esterno, quattro dunque degli otto lati dell’ottagono maggiore generando quattroeptagoni minori, che all’esterno si manifestavano come pentagoni.E non è chi non veda l’ammirevole concordia di tanti numeri santi, ciascuno rivelante unsottilissimo senso spirituale. Otto il numero della perfezione d’ogni tetragono, quattro ilnumero dei vangeli, cinque il numero delle zone del mondo, sette il numero dei donidello Spirito Santo."
Questo è il celeberrimo incipit de Il Nome della Rosa, il libro di Umberto Eco che racconta eventi ambientati nel fine di novembre dell'anno Domini 1327. Opera che riproponiamo ai nostri lettori in questo mercoledì di fine novembre di 695 anni dopo.
Anni fa avevamo scritto di questo libro (che non ha bisogno di presentazioni) per inserirlo nella rubrica degli "echi tridentini" (qui gli altri).
Eh sì, perchè al di là delle critiche mosse al romanzo soprattutto per i soliti pregiudizi verso il
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