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mercoledì 30 novembre 2022

Il nome della rosa: fatti di un fine novembre di 695 anni fa

“Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco, ma il terreno era coperto di un velo fresco non più alto di tre dita. Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole. Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia [...]
Nell’appressarvici maggiormente, si capiva che la forma quadrangolare generava, a
ciascuno dei suoi angoli, un torrione eptagonale, di cui cinque lati si protendevano
all’esterno, quattro dunque degli otto lati dell’ottagono maggiore generando quattro
eptagoni minori, che all’esterno si manifestavano come pentagoni.
E non è chi non veda l’ammirevole concordia di tanti numeri santi, ciascuno rivelante un
sottilissimo senso spirituale. Otto il numero della perfezione d’ogni tetragono, quattro il
numero dei vangeli, cinque il numero delle zone del mondo, sette il numero dei doni
dello Spirito Santo."

Questo è il celeberrimo incipit de Il Nome della Rosa, il libro di Umberto Eco che racconta eventi ambientati nel fine di novembre dell'anno Domini 1327. Opera che riproponiamo ai nostri lettori in questo mercoledì di fine novembre di 695 anni dopo. 
Anni fa avevamo scritto di questo libro (che non ha bisogno di presentazioni) per inserirlo nella rubrica degli "echi tridentini" (qui gli altri). 
Eh sì, perchè al di là delle critiche mosse al romanzo soprattutto per i soliti pregiudizi verso il

medioevo e per il grottesco ritratto che fa del cattolicesimo di allora, il romanzo contiene moltissimi riferimenti alla liturgia (alla simbologia e molto altro) "tridentini" di cui i nostri lettori trovano echi tutt'oggi visitando monasteri e ordini religiosi "tradizionalisti."
Se pur ambientato in un monastero benedettino del XIV sec. l'aggettivo 'tridentino' si giustifica perché sappiamo che il riferimento al Concilio di Trento in materia liturgica è puramente convenzionale, dato che la liturgia romana è rimasta essenzialmente la stessa dal primo millennio fino al 1969.
Inoltre la stessa narrazione e scandita seguendo le ore canoniche del Divinum Officium ben codificate dalla Regola di S. Benedetto.
Nel brano che segue l'azione si svolge a matutino del sesto giorno (siamo, come informa il noto incipit del romanzo, a 'fine novembre'). I monaci, terminato l'ufficio, intonano il graduale Sederunt principes della Messa di S. Stefano protomartire: non un inno prescritto per quell'occasione, quindi, ma l'artifizio è che l'abate inviti ad effettuare prove in vista della stagione natalizia che appropinqua.

per il testo si veda qui

la foto è tratta da una scena del film di Jean-Jacques Annaud (1986).

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