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venerdì 23 settembre 2022

Scisma, scisma… hai detto scisma?

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 886 bis scritta da Philippe de Labriolle e pubblicata da Paix Liturgique il 20 settembre 2022, in cui si analizza il delicato e complesso rapporto tra i fedeli tradizionali ed il progressismo teologico, sostenuto soprattutto da molti vescovi, dalla fine del Concilio ecumenico Vaticano II ad oggi.
«Il corpo episcopale, magnificato dalla sua stessa cura, non ha forse raggiunto il suo scopo, ossia, in mezzo secolo, escludere dalla sua comunione tutti quei mendicanti attaccati alla Fede di un tempo?».

L.V.


L’aggiornamento della Chiesa cattolica era l’obiettivo che Papa Giovanni XXIII aveva assegnato al Concilio Vaticano II. In effetti, i Padri conciliari hanno respinto i piani preparati dalla Curia. La morte di Giovanni XXIII e l’elezione di Paolo VI fecero del Vaticano II la preda degli innovatori, che composero un concilio a immagine e somiglianza della loro chimera, coperto dal Papa che, nel suo discorso conclusivo, proclamò il suo infame culto dell’uomo. Il terremoto fu così diffuso e così rapidamente distruttivo della pratica cattolica, che nel 1966 il periodo immediatamente successivo al Concilio sembrò ai commentatori illuminati portare con sé il rischio di scisma, tanto sembravano fuori controllo gli innovatori, e il corpo dei vescovi non aveva alcuna intenzione di sconfessarli. La Chiesa olandese, all’avanguardia in quel periodo, fu la più audace nella sua sfida alla Chiesa cattolica romana. Ma il cardinale Alfrink, come ha notato Louis Salleron nella sua rubrica sul giornale Carrefour del 3 febbraio 1971, ha dichiarato di non avere la minima intenzione di separarsi dalla Chiesa, una Chiesa che gli permetteva una libertà praticamente totale. Il giornalista ha commentato: la nozione di scisma non si è allontanata, è evaporata. E si basa sul libro di padre Louis Bouyer, La décomposition du catholicisme (Parigi, 1968), per notare: come si può essere scismatici in una Chiesa in decomposizione?

Nel 1977, nel suo libro Rome n’est plus dans Rome, lo storico cattolico Hubert Montheillet, autore di numerosi romanzi polizieschi e grande appassionato di intrighi, rese noto il suo sostegno incondizionato al Liber accusationis in Paulum sextum che l’abbé Georges de Nantes aveva portato in Vaticano nel 1972. Papa Paolo VI è infatti “eretico, scismatico e scandaloso”, agli occhi dello storico, che sostiene l’abate nella sua argomentazione. Ma critica quest’ultimo per aver accusato l’arcivescovo Lefebvre, che nel 1976 ha annullato il divieto romano sulle ordinazioni a Ecône, di aver commesso un atto scismatico. Secondo quale logica disobbedire a un papa scismatico può essere una posizione scismatica, si chiede l’autore?

“Non siete più nella Chiesa!”

Nell’immediato post-concilio, i fedeli di un’epoca da ricordare, che dubitavano apertamente della pertinenza di una novità teologica o liturgica, erano sconfortati da un’unica, ma ricorrente, frase: non sei più nella Chiesa. Niente di meno. Essere battezzati non aveva molto peso, quando l’adesione allo spirito del Concilio non aveva rigenerato i membri di ieri. Stare dentro o fuori significava, a giudizio insindacabile di un quidam, un sedicente magistrato, passare dalla condizione fraterna a quella di una zavorra da gettare di nuovo. Naturalmente, in tempi normali, solo la suprema autorità della Chiesa ha il diritto teorico di qualificare come scismatica formaliter una lobby ecclesiastica che intende contestare il diritto di Roma di opporsi ai suoi obiettivi eterodossi, che sono dirompenti. In pratica, chi pensa di essere in anticipo sui tempi nel comprendere e formulare nuovi orientamenti nella Chiesa non intende, a priori, lasciarla. Al contrario, portando con sé la speranza di comunicare la sua illuminata convinzione al maggior numero di persone, grazie allo sfruttamento di macchinari istituzionali e di personale compiacente, getta spudoratamente in mare i riluttanti, senza temere alcuna coalizione di questi ultimi in una sopravvivenza scismatica. Non più di quanto esista un partito dei disgustati, perché i disgustati si disgustano a vicenda, la raccolta di brandelli di stoffa non fa un vestito. In breve, non tutti sono scismatici…

L’individuo e la lobby comportano rischi distinti. Un organismo vivente che non sa più identificare la categoria dell’oggetto alimentare compatibile è un organismo malato. Una società che non sa più distinguere tra un amico da integrare e un nemico da ridurre sarà rapidamente vittima di questa incompetenza. E se non ci sono più “dottori della verità evangelica”, gli innovatori possono fare sfoggio del loro potere e misurarlo con l’apparente scomparsa di qualsiasi autorità al servizio del vero e dei fedeli bisognosi di una guida affidabile. Questa autorità persiste, ma è messa al servizio del silenzio nei ranghi. Respingere i devianti dando un nome alle loro devianze è un’esigenza di verità, ancor più che di ordine pubblico. Ma ricordare la legge quando si tratta, per il nemico, di cambiarla, non è forse, per un vescovo, risvegliare l’ordine di ieri, soffocare lo Spirito, rivelare la ristrettezza del suo pensiero. Dall’amore dell’ordine, condizione di pace, all’ordine dell’amore, finzione degna delle Nuvole di Aristofane, il risultato, prima del 1968, ma dopo il Concilio e a causa di esso, è stato il vietato vietare!

Come mai l’Istituzione non ha reagito a questo disconoscimento pratico, a questo abbandono della carica episcopale, quando la consunzione, dolorosamente ovvia, delle parrocchie è stata formulata solo da persone oscure e non inquadrate, a proprio rischio e pericolo, per l’onore di Dio? Con quale demoniaco stratagemma la Chiesa cattolica, madre e padrona della verità, anima della cristianità francese da Clodoveo in poi, si è lasciata corrodere fino al midollo senza che la gerarchia reagisse? Era la stessa dignità che il Vaticano I, interrotto dalle truppe risorgimentali, aveva potuto offrire solo al Sommo Pontefice. Giovanni XXIII aveva preteso di rivitalizzare la Chiesa. Certamente non è vissuto per mantenere la sua promessa. Nelle mani di chi, dunque, il “santo” concilio ecumenico ha svolto il ruolo di cavallo di Troia fino a corrompere il grande corpo ecclesiale, l’arca della salvezza delle società, il tempio delle definizioni dei doveri, e dei nostri doveri verso Dio in particolare? Si scopre che l’imponente corpo episcopale è stato santuario del suo Concilio negli ultimi 50 anni, quello che lo ha incensato come mai prima. Cercheremo di capire perché, come e chi di fatto stava respingendo con forza l’autodistruzione della Chiesa? Pontefici rari, sacerdoti coraggiosi ma perseguitati, famiglie numerose, laici colti, fedeli di rango…

Grandi testimoni del Concilio e del post-Concilio hanno descritto in tempo reale ciò che hanno visto. Si sono preoccupati di esprimere pubblicamente la propria costernazione, che è stata espressa in una voluminosa lettera. Tra i francesi, distinguiamo alcuni dimenticati, o in via di dimenticanza: il domenicano Bruckberger, e la sua rubrica sul giornale L’Aurore (1976/1977), Louis Salleron, su Carrefour (1968/1974), Jean Madiran su Itinéraires, creato nel 1956, Édith Delamare su Monde et vie, e l’atipico Hubert Monteilhet, per il quale, nel 1977, “Roma non è più a Roma”. Queste penne incisive, a volte brutali, hanno tentato l’impossibile: essere ascoltate. Queste gradite compilazioni ci restituiscono questi scritti, al di là del loro supporto effimero. Il clamore dell’epoca era inequivocabile: la Chiesa di Francia stava morendo e i vescovi francesi si comportavano come amici di coloro che la stavano distruggendo.

Pienezza del sacerdozio, evanescenza episcopale

La Verità, che ha reso la Chiesa ciò che è diventata, è ritenuta insopportabile per i nostri contemporanei, perché incompatibile con la modernità. San Paolo ci aiuta a capirlo, con il suo famoso aforisma Oportet hæreses esse ai Corinzi. È bene che l’errore si esprima, affinché chi dice la verità sia onorato. È proprio questa la spaccatura che l’episcopato si rifiuta di accettare, unendo le forze con i devianti, con la motivazione di non fratturare la Chiesa! È questa l’ostinata constatazione che, a sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, continua a scandalizzare la coscienza cattolica. Leggere o rileggere le testimonianze dell’epoca significa constatare che nulla è cambiato, se non l’adozione di uno status quo, dove tutto è permesso tranne che denunciare l’apostasia. In questo senso, un vero scisma all’antica sarebbe stato l’espressione di un’energia vitale, messa al servizio di un’idea forte. D’altra parte, l’evanescenza episcopale che accompagna l’accesso alla “pienezza del sacerdozio” è uno dei fenomeni più sconcertanti del periodo postconciliare. È troppo generale per essere rivolta agli individui e troppo duratura per non essere sistemica.

L’ipotesi che il Concilio non sia stato attuato correttamente è in contraddizione con il fatto che i vescovi incaricati della sua attuazione erano quelli che ne avevano approvato gli schemi. Gli stessi Padri conciliari erano quindi nella posizione migliore di chiunque altro per svolgere, o far svolgere (Cæsar pontem fecit), il lavoro pratico più adatto allo spirito dei nuovi tempi. Le sradicazioni di massa, l’immediato calo delle vocazioni, i capricci dei nuovi sacerdoti, la spettacolare defezione dei sacerdoti praticanti, tutto questo non suscitò quasi alcun allarme nella gerarchia, se non nell’ambiguo Paolo VI, che mostrò preoccupazione ma non governò. Per quanto riguarda i vescovi francesi, essi erano intrattabili contro qualsiasi critica alle azioni del Concilio e alle sue dirette conseguenze. Ecco un esempio un po’ crudo, che ci metterà sulla strada giusta:

L’Avvento del 2021 ha visto la ricomparsa nel testo francese del Credo cattolico dell’espressione “consustanziale al Padre”, corrispondente esattamente al testo latino “consubstantialem Patri”, così tradotto e pensato fin da Nicea. Tuttavia, nel 1964, e fino alla recente modifica di cui sopra, i fedeli erano costretti a tradurre consubstantialem Patri come “della stessa natura del Padre”, il che rompeva con l’uso precedente, tradendo il significato esatto e aggiungendovi un’assurdità teologica. Circa 7.000 firme di cattolici istruiti e conosciuti come tali, adornavano una petizione che chiedeva la restituzione della “consustanziale” ai vescovi francesi. Nel giugno 1967, uno dei più illustri firmatari presentò la petizione al cardinale Lefebvre, presidente della Conferenza episcopale francese, ricevendo una risposta negativa, non priva di meriti: “Quando un gruppo di persone [tra cui molti accademici, del resto!] si preoccupa di raccogliere firme in gran numero per presentare una petizione all’episcopato e ottenere da esso una dichiarazione pubblica della propria posizione, questo assomiglia troppo a una sfida alla rettitudine della gerarchia. Lo sembra ancora di più perché durante tutto il Concilio, in alcune riviste, è stato costantemente suggerito che alcuni vescovi… […]. Se lui [il vescovo] interviene, sembra che ceda alle pressioni e che agisca come un partigiano. Perde la sua autorità.”

L’aneddoto non si dilungherà in lunghi sviluppi. La Lumen Gentium 20/27, a cui rimandiamo il lettore, elogia il ruolo del vescovo come mai prima d’ora. A beneficio dei fedeli che lo ritenevano il successore degli apostoli, nominato dal Papa, il paragrafo 27 cambia la scala di valori. “I vescovi, come vicari e delegati di Cristo, governano le Chiese particolari loro affidate […]. Questo potere, che essi esercitano personalmente in nome di Cristo, è un potere proprio, ordinario e immediato […]. L’ufficio pastorale […] è loro affidato per intero, e non devono essere visti come vicari dei Romani Pontefici, perché esercitano un potere che è loro proprio, ed è in tutta verità che sono chiamati i capi del popolo che dirigono. Perciò il loro potere non è diminuito dal potere supremo e universale, ma al contrario è affermato, rafforzato e difeso da esso.”

Chiaramente, “il Santo Concilio Ecumenico”, come per riparare al “trattamento preferenziale” papale del Vaticano I, erige, in una Costituzione dogmatica, il sacerdozio plenario degli Ordinari in uno status feudale di diritto cristico immediato. Che questo si traduca nella pignola conservazione di un’autorità tanto più olimpica quanto più al di sopra della mischia, e che un protocollo degno della Corte di Spagna tenga a bada i mendicanti di un vasto e polveroso Terzo Stato, è ben lontano dalla gentilezza del vescovo Myriel, benefattore di Jean Valjean, o dalla realistica combattività del vescovo Freppel di fronte ai nemici della Chiesa. Che cosa è prezioso per un vescovo timbrato LG? Da un lato, la santità de jure legata allo status nuovo di zecca, che nessuna valutazione può far appassire; dall’altro, il conatus di Spinoza: “Ogni essere tende a perseverare nell’essere”, soprattutto se la zuppa è buona…

* * *

Scisma, mio bellissimo scisma! Il corpo episcopale, magnificato dalla sua stessa cura, non ha forse raggiunto il suo scopo, ossia, in mezzo secolo, escludere dalla sua comunione tutti quei mendicanti attaccati alla Fede di un tempo? Coloro che temevano uno scisma geografico, reso a priori insignificante dalla decomposizione del tessuto ecclesiale, hanno pensato alla vera scissione che si è esercitata sotto i nostri occhi, e che una vana deferenza ha impedito di chiamare abbandono della paternità? Ebbri della loro nuova dignità, hanno mollato gli ormeggi, hanno aderito al Nettare e all’Ambrosia, finalmente liberati da un popolo vanamente retrogrado… Appoggiati al balcone dell’Epicure, ridono delle nostre afflizioni terrene. Ne risponderanno, non c’è dubbio!

2 commenti:

  1. Ormai è una Chiesa "liquida", come si può dividere una massa liquida!

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  2. Una traduzione più corretta al passaggio "è stato il divieto del divieto" (fine quinto capoverso) potrebbe essere: è stato "vietato vietare".

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