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mercoledì 17 agosto 2022

La gradita scomparsa dell’ottimismo forzato

Qualche giorno fa, in un post intitolato La soluzione finale, riferendoci alla guerra civile scatenata nella Chiesa contro i “tradizionalisti” (liturgici e non), abbiamo affermato che «la legittima difesa dei
tradì – pensiamo soprattutto ai laici – è ancora in gran parte da inventare».
Oggi siamo lieti di proporvi, nella nostra traduzione, questo brillante pezzo di Peter Kwasniewski, pubblicato il 3 agosto su OnePeter5, che suggerisce interessantissimi spunti di riflessione e di approfondimento, e che, soprattutto, ci sembra potrebbe delineare una linea d’azione da intraprendere: la critica serrata, coraggiosa e argomentata del Novus Ordo, circa il quale chi ama la liturgia tradizionale può (se non addirittura: deve) muovere eccezioni ed obiezioni quali-quantitativamente analoghe a quelle che i cultori della riforma liturgica muovono al rito antico, e probabilmente assai più fondate.
Buona lettura!

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La gradita scomparsa dell’ottimismo forzato
di Peter Kwasniewski

Il crollo della Chiesa in Occidente dopo il Concilio Vaticano II ha senza dubbio molte e complesse cause, ma sono convinto che la causa principale sia il fatto che gli uomini di Chiesa [1] hanno tradito gran parte della Tradizione e della legislazione cattoliche, meritando come risultato la punizione divina – diciamo così: un periodo di sofferenza disciplinare come invito al pentimento e alla conversione.

Vescovi, sacerdoti e persino papi hanno voltato le spalle alla liturgia e al magistero preconciliari e a molti punti dell'effettivo insegnamento del Concilio Vaticano II. Queste azioni, e le "strutture di peccato" che hanno messo in atto, servono come massicci impedimenti a qualsiasi rinnovamento nella Chiesa. Questo impedimento non sparirà da solo, ma solo attraverso un coscienzioso ripudio della discontinuità e un coraggioso sforzo per ricostruire la città desolata.

Ad esempio, il Concilio Vaticano II, in armonia con il Magistero che lo ha preceduto, afferma che la lingua della liturgia è e deve rimanere il latino, anche se con qualche uso del vernacolo, e che il canto gregoriano merita di occupare il posto principale come musica propria del Rito romano. Si potrebbe aggiungere, come esempio diverso, l'abbandono del culto ad orientem, che San Basilio Magno, tra gli altri Padri della Chiesa, identifica come parte della tradizione apostolica - un'opinione che, lungi dall'essere un'iperbole patristica, trova sostegno nei migliori studi, come quelli di P. Michael Lang e P. Stefan Heid.

Ottimismo forzato

Per decenni c'è stato un ottimismo forzato, una fantasia davvero imbarazzante secondo la quale il rinnovamento stava sbocciando ovunque, la Chiesa stava molto meglio, la liturgia era migliore che mai, e così via. Lo si vede in alcuni dei documenti delle commissioni sfornati dal Vaticano, che sembrano voler ignorare o minimizzare tutte le statistiche e le tendenze e i fatti evidenti degli abusi liturgici, della catechesi catastrofica e della vera e propria rottura. Lo si ritrova in molti scritti di Giovanni Paolo II, ad esempio in Ecclesia de Eucharistia, dove si favoleggia: "certamente la riforma liturgica inaugurata dal Concilio ha contribuito notevolmente a una partecipazione più consapevole, attiva e fruttuosa dei fedeli al Santo Sacrificio dell'Altare" [2].

Esempi particolarmente eclatanti di questa nostalgia per l'utopia degli anni Settanta si riscontrano nei discorsi di Papa Francesco, a partire dall'inizio del suo pontificato. Ad esempio, in un'ampia intervista del settembre 2013, ha affermato:
«Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Il Vaticano II ha prodotto un movimento di rinnovamento che nasce semplicemente dallo stesso Vangelo. I suoi frutti sono enormi. Basti pensare alla liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta» [3].
È bello sapere che la riforma è stata un successo su Marte; ci si chiede se Papa Francesco avrà mai pensieri più sobri quando tornerà sulla Terra. Di fronte ai tassi di partecipazione alla Messa più bassi della storia, alle chiese che chiudono, alle case religiose vuote, ai casi di abusi clericali che hanno liquidato o mandato in bancarotta le diocesi, alla contraccezione e all’aborto onnipresenti (e ora, a quanto pare, promossi da potentati vaticani), alla cultura giovanile che è una fogna di violenza, dipendenza e depravazione sessuale, osiamo blaterare degli enormi frutti del Concilio e della sua riforma liturgica?

La componente di irrealtà di queste affermazioni costringe davvero a chiedersi se non esista da qualche parte una realtà alternativa alla quale i membri della gerarchia ecclesiastica hanno un accesso privilegiato, mentre i laici, abbandonati dai loro pastori, sono lasciati ad arrancare nel mondo fin troppo doloroso della mediocrità, della banalità e dell’ebetudine, del modernismo nei pulpiti e nelle aule, del proliferare dei vizi pubblici e privati.

Le parole di Wilhelm Roepke, nel capitolo 1 di Un’economia umana, sono straordinariamente appropriate:
«È terrificante vedere come le persone, e non da ultimo i loro portavoce in pubblico, rimangano insensibili e criminalmente ottimiste di fronte alla crisi sociale e culturale del nostro tempo. Anzi, la crisi si aggrava anziché migliorare, e il pericolo di esagerarla sembra incomparabilmente minore di quello di minimizzarla con parole ingannevoli e tranquillizzanti.... Così, ancora una volta, ci muoviamo in una spirale fatale da cui non è possibile uscire facilmente, tanto meno con l’ottimismo sconsiderato di chi si rifiuta di affrontare i fatti e i problemi della crisi».
Queste parole sono state scritte nel 1958. Sebbene Roepke stesse parlando di una crisi economica e culturale, il suo discorso si applica molto di più alla crisi liturgica e culturale della Chiesa. Pensate alla frequenza con cui i portavoce della gerarchia rilasciano dichiarazioni che “chiariscono” qualche nuova assurdità pronunciata da un Principe della Chiesa. O lo facevano. Oggi sembra che non gliene importi più di tanto.

L’uomo che osò dire la verità

Non conosco un solo fedele cattolico che non sia sconvolto dall’abdicazione di Benedetto XVI, che ha aperto la strada a un decennio di terrore. Tuttavia, non si può negare che Joseph Ratzinger abbia avuto una visione insolitamente perspicace delle prove del nostro tempo. Non ha avuto paura di parlare apertamente e coraggiosamente della crisi della Chiesa e, in particolare, delle sue cause e manifestazioni liturgiche. Si considerino le seguenti sue tipiche dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa:
«Sono convinto che la crisi della Chiesa che stiamo vivendo oggi sia dovuta, in larga misura, al crollo della liturgia...

La riforma liturgica, nella sua concreta realizzazione, si è allontanata sempre più da questa origine [il meglio del Movimento Liturgico]. Il risultato non è stata una rianimazione ma una devastazione.... al posto di una liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di divenire per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto proseguire il divenire e la maturazione organici del vivente attraverso i secoli, e li si è rimpiazzati – come fosse una produzione tecnica – con una fabbricazione, prodotto banale del momento...

Abbiamo una liturgia degenerata in “show”, nella quale si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto di idiozie alla moda e di massime morali seducenti, con dei successi momentanei nel gruppo dei fabbricanti di liturgia...

Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione sé stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?...

L'orientamento del sacerdote verso il popolo ha trasformato la comunità in un cerchio chiuso in sé stesso. Nella sua forma esteriore, non si apre più su ciò che sta davanti e sopra, ma è chiusa in sé stessa. Il comune volgersi verso Oriente non era una “celebrazione verso il muro”; non significava che il sacerdote “dava le spalle al popolo”: il sacerdote stesso non era considerato così importante. Infatti, come la comunità nella sinagoga guardava insieme verso Gerusalemme, così nella liturgia cristiana la comunità guardava insieme “verso il Signore”...

Spostare la croce d’altare di lato per dare una visione diretta del sacerdote è qualcosa che considero uno dei fenomeni veramente assurdi degli ultimi decenni. La croce disturba la Messa? Il sacerdote è più importante di Nostro Signore?» [4]
Come sacerdote, vescovo, cardinale e papa, Joseph Ratzinger non credeva che fingere o tacere fosse l’approccio da adottare. Eppure, per decenni, molti ecclesiastici e laici sono rimasti seduti a girarsi i pollici mentre la Chiesa si sgretolava, per paura di dire la dura verità. Se da un lato dobbiamo sempre parlare con umiltà, carità e rispetto per la legittima autorità, dall’altro non può mai essere d’aiuto camminare in punta di piedi intorno ai veri problemi che dobbiamo affrontare, a cominciare dalla frattura assolutamente senza precedenti nella liturgia romana perpetrata da Papa Paolo VI. Non si può contestare la validità sacramentale del Novus Ordo in senso stretto, ma si può mettere seriamente in dubbio la sua fedeltà al Vaticano II, la sua continuità con la Tradizione, la saggezza pastorale della sua promulgazione e la sua sostenibilità a lungo termine.

Si tratta di questioni aperte che possiamo e dobbiamo discutere per il bene comune della Chiesa, un bene che non riguarda esclusivamente la gerarchia, ma che abbraccia e coinvolge ogni cattolico. John Henry Newman sosteneva nella sua Lettera a Pusey che un convertito cattolico ha il diritto e il dovere di esprimere le proprie opinioni su questioni discutibili, un’osservazione che vale per ogni cattolico sincero:
«Egli si rende conto che, nelle questioni che vengono discusse, l’autorità ecclesiastica osserva lo stato dell’opinione, la direzione e il corso della controversia, e decide di conseguenza; così che in certi casi trattenere il proprio giudizio su un punto significa essere sleali verso i propri superiori».
Se è impossibile trovare qualcuno più pronto di un tradizionalista a difendere l’ufficio del Papa come definito nella Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, allo stesso tempo egli si opporrà fermamente a un certo tipo di prevaricazione papale e al suo corrispondente iperpapalismo. Come Ratzinger ha affermato con insolita forza, il Papa è il servitore della Tradizione e non uno che può agire come se potesse, con un gesto della mano, cambiare tutto a suo piacimento: 
«Dopo il Concilio Vaticano II, si è avuta l'impressione che il Papa potesse davvero fare qualsiasi cosa in materia liturgica, soprattutto se agiva su mandato di un Concilio ecumenico. Alla fine, l’idea dell’indisponibilità della liturgia, del fatto che non si possa fare di essa ciò che si vuole, è svanita dalla coscienza pubblica dell’Occidente. In realtà, il Concilio Vaticano I non aveva affatto definito il Papa come un monarca assoluto. Al contrario, lo ha presentato come il garante dell’obbedienza alla Parola rivelata. L’autorità del Papa è legata alla Tradizione della fede, e questo vale anche per la liturgia. Non è “fabbricata” dalle autorità. Anche il papa può essere solo un umile servitore del suo legittimo sviluppo e della sua costante integrità e identità.... L’autorità del Papa non è illimitata; è al servizio della Sacra Tradizione» [5].

Pensionamento anticipato per il Novus Ordo 
Il Papa ha l'autorità di cambiare alcuni elementi umani della liturgia, ma tale esercizio dell’autorità papale rischia di portare con sé molti mali se viene fatto sulla base di una dubbia filosofia moderna o di una teologia di stampo modernista. Ad un papa dovrebbe applicarsi il beneficio del dubbio ogni volta che è possibile, ma ci sono ormai troppe prove, sia teoriche che pratiche, del fallimento della riforma liturgica e della sua attuazione per permetterci di fare gli struzzi infilando la testa nella sabbia dei pii luoghi comuni. È possibile leggere il lavoro scientifico della dottoressa Lauren Pristas su come le orazioni del nuovo Messale siano state prodotte da un comitato ideologico ansioso di usare le proprie forbici, con il risultato di mantenere solo il 13% delle orazioni testuali del Messale tridentino, e uscire da tale lettura con un sentimento che non sia di profonda tragedia e persino di giusta indignazione? Il popolo cattolico è stato derubato della sua tradizione secolare. Non c’è da stupirsi che la Chiesa sia in crisi.

La Forma Ordinaria del Rito Romano, il Messale di Paolo VI, è irrimediabilmente viziata. A causa dei falsi principi, dei presupposti esplosivi e del metodo razionalistico alla base della sua composizione, era sbagliata fin dal primo giorno e rimane sbagliata, per quanto bene venga celebrata. Le sue preghiere e le sue rubriche incarnano un’ermeneutica di rottura che non può essere curata senza una completa rielaborazione che le riporti sostanzialmente in linea con la tradizione liturgica precedente. Per quanto riguarda le riforme incrementali (per esempio, se guardiamo a come alcuni Oratoriani celebrano il nuovo rito), quasi ogni tentativo riuscito ha comportato l’aggiunta o il reinserimento di qualcosa dal vecchio Messale, o l’eliminazione di qualcosa del nuovo. Nella maggior parte dei casi, la Forma Ordinaria diventa migliore diventando la Forma Straordinaria. Pertanto, la Forma Ordinaria non ha tanto bisogno di essere riformata quanto di essere ritirata, in modo che il vero Rito Romano possa tornare a occupare il posto che gli spetta nella vita della Chiesa cattolica, come ha fatto per secoli.

Un segno della veridicità di questo giudizio è stata l’enorme saga ultradecennale della traduzione 2011 del Messale di Paolo VI. Dopo tanto inchiostro versato, tante versioni e revisioni, aspre polemiche di parte, tanta attesa ed emozione, resta il fatto che questa nuova traduzione non solo è di qualità diseguale, in alcuni punti errata, e priva in tutto e per tutto del linguaggio tradizionale dell’implorazione (degnati, concedi, supplichiamo); soprattutto, è semplicemente una traduzione migliorata di preghiere che sono esse stesse difettose e rappresentano una discontinuità [6]. Nel migliore dei casi, ogni traduzione è buona solo quanto il testo originale.

Consideriamo, invece, la situazione in qualsiasi parrocchia o cappella ove si celebra la Messa tradizionale. Le preghiere sono quelle classiche che hanno nutrito i fedeli per secoli, risalendo in alcuni casi ai primi secoli del cristianesimo. Molti fedeli nei banchi hanno messali a mano con traduzioni eloquenti delle preghiere. A volte anche queste traduzioni non sono del tutto accurate, ma non ha molta importanza perché il culto che si offre a Dio non è fatto per mezzo di una traduzione, ma del latino del tutto affidabile del messale d’altare. Come ha insegnato Papa Giovanni XXIII nella Costituzione Apostolica Veterum Sapientia, è del tutto appropriato che il culto della Chiesa, nei suoi riti e usi occidentali, si svolga in una lingua che non è più in evoluzione, ma ha raggiunto una saldo statuto di dizione e di significato, una lingua che non è possesso di nessuna nazione, ma patrimonio comune di tutti. Quando usiamo la lingua madre della Chiesa latina e seguiamo la sua antica tradizione, troviamo pace, sicurezza, stabilità; non ci sono battaglie decennali su quale “registro” linguistico debba essere usato, né delusioni per le occasioni perdute. Il mondo del rito romano classico è ben al di là di queste beghe burocratiche e del flusso eracliteo. La Messa latina tradizionale è seria e concentrata sul culto di Dio, e lo fa senza tagli, senza compromessi e, soprattutto, senza comissioni.

Il futuro del rito romano è il vecchio rito romano nella sua perfezione lentamente sviluppata, non il rito moderno che è il risultato di un lavoro redazionale volto a rispondere alle esigenze del più incerto dei bersagli, “l’uomo moderno”. La vera e duratura rinascita eucaristica coinciderà con il ritiro del Messale Bugnini, considerato un colossale errore, una novità e una deviazione che non riesce nemmeno a incarnare molti dei semplici desiderata di Sacrosanctum Concilium.

Poiché la cosa precedentemente nota come “Forma Ordinaria” non è in alcun modo un rinnovamento del rito che esisteva prima di essa, ma un allontanamento radicale da esso – un’invenzione liturgica su scala mai vista prima nella storia della Chiesa, mai nemmeno sognata - ne consegue che il Novus Ordo deve essere messo a riposo e il vecchio Messale deve essere ripreso universalmente, con l’immensa venerazione che merita e con un appropriato atteggiamento di fiducia nella Divina Provvidenza, che ha sviluppato questa liturgia all’interno della Chiesa per un periodo di più di 1.600 anni nella sua forma latina.

Minoranze zelanti danno forma all’insieme

Ai tempi in cui in Vaticano si apprezzava il candore ratzingeriano, era notevole vedere come eminenti ecclesiastici e teologi fossero disposti a dire apertamente, senza giri di parole, che la liturgia precedentemente nota come “Forma Straordinaria” emerge da una più profonda spiritualità eucaristica e sacerdotale e la costruisce in modo più efficace. Alla domanda dell’intervista “Perché vale la pena promuovere la Messa latina [tradizionale]?”, l'arcivescovo Guido Pozzo della Commissione Ecclesia Dei ha risposto:
«Perché nella messa del rito antico sono esplicitati, evidenziati, certi valori, certi aspetti fondamentali della liturgia, che meritano di essere mantenuti e non parlo soltanto della lingua latina o del canto gregoriano, parlo del senso del mistero, del sacro, il senso del sacrificio, della messa come sacrificio, la presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucaristia, e del fatto che ci sono dei grandi momenti di raccoglimento interiore, come partecipazione interiore alla divina liturgia. Ecco, sono tutti elementi fondamentali che nella messa del rito antico sono particolarmente evidenziati» [7].
Ora che ci sono diverse migliaia di sacerdoti e centinaia di migliaia di fedeli in quasi cento paesi che si dedicano a celebrare o assistere al Santo Sacrificio della Messa nell’usus antiquior, la domanda non è più “sopravvivrà la vecchia Messa?”. Anche le umilianti leggi liturgiche Jim Crow scatenate da Traditionis Custodes non hanno fatto altro che galvanizzare questa zelante minoranza, svelando in tutta la loro evidenza la malizia e il modernismo dei loro persecutori [le leggi Jim Crow furono leggi locali e dei singoli Stati degli Stati Uniti d'America del periodo 1877/1964, destinate a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici - NdT].

Alcuni centri di Messa sono stati eliminati, ma possiamo presumere con fiducia che coloro che amano questa Messa e la forma tradizionale di vita cattolica che essa alimenta non vi rinunceranno solo perché la loro abituale o più comoda sede di culto è stata temporaneamente soppressa. Il numero di fedeli che frequentano la liturgia tradizionale continuerà a crescere (se non altro perché l’inseparabilità tra matrimonio e figli è ancora una realtà per loro), mentre, come sappiamo, il numero di cattolici che frequentano il Novus Ordo si sta riducendo in tutto il mondo occidentale, avendo subito un colpo particolarmente forte durante e dopo l’epidemia Covid. Per quanto riguarda le “minoranze creative”, P. Zuhlsdorf ha recentemente sottolineato che: “il 3,5% di un gruppo può far crollare il gruppo, ribaltarlo o prenderne il controllo. Alinsky lo sapeva [Saul David Alinsky (1909/1972) è stato un attivista e scrittore statunitense noto per la sua attività di organizzatore di comunità e autore del noto volume Rules for Radicals: A Pragmatic Primer for Realistic Radicals (Regole per i radicali: manuale pratico per radicali realistici) - NdT]. Lo sanno i demografi. Al 3%, i gruppi acquistano un’influenza significativa”. Sempre che siano zelanti.

In un discorso sulla vita religiosa, Sua Eminenza il Cardinale Franc Rodé ha ammesso che i giovani che si avvicinano al sacerdozio oggi sono spesso caratterizzati da un'inclinazione conservatrice. Questo ha portato e continuerà a portare molti di loro a imparare e ad abbracciare l’usus antiquior, anche se sanno che dovranno celebrarlo in segreto per un certo periodo. In breve, se la fede cattolica sopravvive in una data diocesi dell’Occidente, sopravvivrà o abbracciando la Tradizione della Chiesa, o dimorando sotto le ali di quella Tradizione. I territori liberali si stanno esaurendo; l’approccio moderato o eclettico si è dimostrato debole e senza spina dorsale, incapace di rispondere efficacemente al secolarismo aggressivo e persino demoniaco del nostro tempo.

Ogni sondaggio indica un numero sempre minore di cattolici che accettano l’insegnamento della Chiesa su qualsiasi questione lontanamente controversa, dalla verità della Presenza Reale ai mali della contraccezione, dell’aborto e delle relazioni sodomitiche. La maggioranza di quanti si autodefiniscono cattolici sembra essere favorevole al “matrimonio” omosessuale. Si potrebbe continuare, in modo deprimente, a parlare della catastrofe completa della catechesi, del declino e della caduta della maggior parte delle scuole cattoliche, della burocratizzazione egoistica delle curie e delle cancellerie, dello stato abissale della musica sacra e delle belle arti, ma a che scopo? Chiunque abbia occhi per vedere e orecchie per sentire può dire che, a parte un residuo di cattolici più o meno tradizionali, la Chiesa è in preda a una malattia disperata e la prognosi è infausta.

Anni fa, nell’era di Benedetto, i conservatori non vedevano di buon occhio il parlare di “crisi”. Dicevano che le cose stavano migliorando, che la Chiesa aveva lasciato la stagione delle sciocchezze, che stavamo svoltando l’angolo, che presto tutto sarebbe tornato alla normalità e che la Nuova Evangelizzazione avrebbe potuto davvero mettersi in moto.

Poi è arrivato Bergoglio. I conservatori non sembrano più molto convincenti (se mai lo sono stati). In realtà, il conservatorismo è stato spazzato via. Il tradizionalismo è l’unica coerente visione del mondo cattolico ancora in piedi.

Mi atterrò con rammarico, ma più sinceramente, al linguaggio della crisi. Non troveremo mai una soluzione a questa crisi ecclesiale finché non reclameremo il nostro diritto di nascita cattolico-romano, la nostra identità più intima attraverso la celebrazione della nostra sacra liturgia tradizionale. Quando il Santo Sacrificio della Messa, l’Ufficio Divino e i riti sacramentali della Chiesa saranno nuovamente offerti a Dio in modo veramente in continuità con la tradizione, allora, e solo allora, arriverà quella “Seconda Primavera” di cui i Papi postconciliari hanno parlato con tanta prematura fiducia; solo allora inizierà seriamente una nuova era di evangelizzazione, con la Messa dei secoli come cuore pulsante.
 
NOTE [NB: i riferimenti bibliografici sono all’edizione inglese dei testi citati - NdT]

[1] Mi appello alla distinzione di Maritain e Journet tra Chiesa e uomini di Chiesa. La prima, essendo la Sposa immacolata di Cristo e animata dal suo Spirito Santo, non può sviarsi nell’insegnamento o perdere la sua santità essenziale. I secondi, in quanto uomini decaduti, possono allontanarsi dalla fede o dai buoni costumi o dalla prudenza e dalla saggezza nei loro giudizi, e lo fanno. Quindi non possiamo dire che la Chiesa cattolica ha fallito, ma possiamo e dobbiamo dire che il clero, i religiosi e i laici hanno fallito. Anzi, hanno deluso la Chiesa e Cristo suo Signore; non sono Cristo o la sua Chiesa ad aver fallito.

[2] Ecclesia de Eucharistia, n. 10.

[3] “Un grande cuore aperto a Dio”, 19 settembre 2013.

[4] Queste citazioni sono tratte da Milestones: Memoirs 1927-1977; Theologisches 20.2, febbraio 1990; Prefazione alla traduzione francese de La riforma della liturgia romana di Gamber (1992); Salt of the Earth (1997); il resto da The Spirit of the Liturgy (2000). Per una selezione più ampia e per informazioni bibliografiche, si veda questo florilegio.

[5] The Spirit of the Liturgy, 165-66.

[6] A riprova, si veda l’ampia ricerca di Lauren Pristas, Collects of the Roman Missal: A Comparative Study of the Sundays in Proper Seasons Before and After the Second Vatican Council (London: T&T Clark, 2013). 
[7] L’intervista è stata rilasciata nel settembre 2011; la si veda qui.