Altre analisi di Desiderio desideravi.
Luigi
4 Luglio 2022 Korazym.org
di Vik van Brantegem
Condividiamo di seguito quattro articoli sulla Lettera apostolica del Santo Padre Francesco ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sulla formazione liturgica del Popolo di Dio Desiderio desideravi, la [QUI].Papa Francesco, cosa dice Desiderio desideravi di Andrea Gagliarducci su Monday Vatican, 4 luglio 2022. «Papa Francesco tratta coloro che sono al di fuori della Chiesa con il massimo rispetto. Chi resta all’interno della Chiesa e ha punti di vista diversi è subito costretto a fare marcia indietro perché Papa Francesco ha un’opinione precisa su cosa dovrebbe essere la pluralità. Alla fine, anche in questo, Papa Francesco è un Papa che esercita il comando da solo».
Il non sequitur liturgico del Papa di Phil Lawler su Catholic Culture del 29 giugno 2022. Il non sequitur è una conclusione o un’affermazione che non segue logicamente dall’argomento o dall’affermazione precedente. «Papa Francesco contraddice l’insegnamento del suo predecessore, anche più chiaramente di quanto non abbia contraddetto Summorum Pontificum quando ha emesso Traditionis custodes. Il rifiuto è chiaro. Da nessuna parte in questa Lettera apostolica il Papa cita l’opera di Benedetto XVI, che ha scritto tanto e così bene sulla liturgia. Ma se questo Papa può contraddire il Papa precedente, allora il prossimo Papa potrebbe contraddire Papa Francesco. Un’altra lezione da trarre da questa Lettera apostolica, emessa nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, quando il mondo cattolico celebra l’unità di tutti i fedeli in comunione con la Sede di Roma».
Lettera apostolica Desiderio desideravi: ammissione di un fallimento di Matteo Hazell su Rorate Caeli del 29 giugno 2022. «Questi continui insulti e la mancanza di “dialogo” hanno altre gravi ramificazioni rispetto all’apparente comprensione del Vaticano II da parte del Papa. Sembra lavorare nell’impressione che le riforme liturgiche postconciliari siano assolutamente identiche alle intenzioni dei Padri conciliari, e quindi allo stesso Concilio. Per lo meno, si sta facendo un tentativo palesemente positivista di convincere tutti che è così, semplicemente dichiarando che è così».
Liturgia, nuova stoccata alla tradizione (e al Concilio) di Luisella Scrosati su La Nuova Bussola Quotidiana del 30 giugno 2022. «Nella lettera apostolica Desiderio desideravi Francesco mostra di voler mettere una pietra tombale sul rito antico nel nome del Concilio, ma non si può ignorare che la riforma è andata ben oltre la Costituzione sulla liturgia, quando non addirittura contro. Ed è stata attuata ancora peggio».
Papa Francesco, cosa dice Desiderio desideravi
di Andrea Gagliarducci
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
La Lettera apostolica numero 83 di Papa Francesco è la risposta del Papa alla questione della Messa tradizionale. Uscito il 29 giugno e formalmente firmato a San Giovanni in Laterano perché il Papa ha preferito questa formula per sottolineare il suo ruolo di Vescovo di Roma, Desiderio desideravi si compone di 65 paragrafi ed è, in pratica, un piccolo riassunto del pensiero del Papa. Formalmente si tratta della liturgia. Tuttavia, la lettera ci dice molto di più.
La prima cosa che spicca è che Papa Francesco usa la forma di una Lettera apostolica e che lo ha già fatto 82 volte. Papa Francesco preferisce rivolgersi direttamente al popolo di Dio. Se le sue posizioni ufficiali sono Lettere apostoliche, altre questioni più informali sono accompagnate da Lettere indirizzate direttamente al popolo.
Per Papa Francesco la Lettera apostolica è un metodo di governo e un modo di esercitare il potere. Ma, come sempre, la forma è anche sostanza. E chi vede una mancanza di forma in questa informalità di Papa Francesco sbaglierebbe.
Papa Francesco vuole comunicare che si rivolge direttamente al popolo di Dio, senza filtri. Lo testimonia il fatto che la Lettera è in prima persona e non manca di esprimere il pensiero personale di Papa Francesco. Ci sono, è vero, molte citazioni, anche dotte, nella lettera. Ma fanno tutti parte del piano di Papa Francesco per giustificare il suo pensiero. Del resto Papa Francesco costruisce tesi e non apre dibattiti. Questa Lettera apostolica, infatti, vuole chiudere ogni discussione.
La seconda cosa riguarda lo stile molto personale della Lettera. Non che altri Papi non abbiano usato stili personali o non si siano rivolti direttamente, con toni accorati, ai vescovi e al popolo di Dio.
Per citare un esempio recente, Benedetto XVI lo ha fatto in almeno due occasioni cruciali: quando ha scritto ai vescovi e al popolo d’Irlanda scosso dal caso degli abusi, e quando ha scritto ai suoi confratelli nell’episcopato a seguito delle polemiche intorno alla revoca della scomunica di quattro vescovi lefebvriani.
La lettera sui lefebvriani è stata definita semplicemente come una Lettera; quella ai cattolici d’Irlanda, come Lettera pastorale. La Lettera apostolica è senza dubbio meno importante di una Costituzione apostolica, di un’Enciclica o di un’Esortazione apostolica, ma resta espressione del magistero del Papa.
Quindi, con Papa Francesco, un punto di vista personale diventa magistero. Così è successo in altri casi durante questo pontificato. La più famosa è quella in cui Papa Francesco ha deciso che una Lettera da lui inviata ai vescovi argentini in merito all’applicazione dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia fosse inserita negli Acta Apostolicae Sedis, i documenti ufficiali della Santa Sede.
Da questi approcci, possiamo vedere che Papa Francesco è un Papa più accentratore di quanto vuole mostrare. Si parla molto di sinodalità e parresia, ma abbiamo un Papa che legifera tramite Motu proprio e ufficializza le sue opinioni con Lettere apostoliche. È spunto di riflessione.
Da qui il terzo fatto a cui prestare attenzione: l’idea di unità di Papa Francesco.
Al numero 61 della Lettera apostolica, il Papa scrive che «siamo chiamati continuamente a riscoprire la ricchezza dei principi generali esposti nei primi numeri della Sacrosanctum Concilium comprendendo l’intimo legame tra la prima delle Costituzioni conciliari e tutte le altre”.
«Per questo motivo – aggiunge il Papa – non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma».
Papa Francesco descrive la Traditionis custodes, che ha abolito la liberalizzazione del rito antico, come un gesto di continuità con le decisioni di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Spiega di averlo scritto «perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano».
In pratica, il Papa impone l’unità con la forza. È esclusivo invece di essere inclusivo, ed è paradossale, visto che l’intero pontificato è stato descritto in termini di inclusività.
In precedenza, la Chiesa ha cercato di includere coloro che uscivano da intese generali, purché mostrassero di voler rimanere in comunione con la Chiesa. Giovanni Paolo II tentò fino alla fine di sanare la frattura con i lefebvriani e concesse solo alla consacrazione illecita di quattro vescovi.
Benedetto XVI ha risolto il problema consentendo la liberalizzazione del rito antico ma chiedendo ai lefebvriani di firmare un documento preliminare in cui accettavano il Concilio Vaticano II per la comunione con Roma.
Papa Francesco adotta un approccio diverso. Tratta coloro che sono al di fuori della Chiesa con il massimo rispetto, e i lefebvriani hanno visto convalidare confessioni e matrimoni durante questo pontificato. Allo stesso tempo Fellay, l’ex capo della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fu anche giudice in alcuni procedimenti rotali.
Tuttavia, chi resta all’interno della Chiesa e ha punti di vista diversi è subito costretto a fare marcia indietro perché Papa Francesco ha un’opinione precisa su cosa dovrebbe essere la pluralità. Alla fine, anche in questo, Papa Francesco è un Papa che esercita il comando da solo.
Non c’è errore: Desiderio desideravi ha anche passaggi affascinanti e belli sulla formazione dei sacerdoti nella liturgia e sulla stessa liturgia e un invito puntuale al recupero dei simboli. Eppure Desiderio desideravi è anche un fantastico tuffo nella mente di Papa Francesco. Fino al prossimo episodio.
Il non sequitur liturgico del Papa
di Phil Lawler
(Traduzione italiana dall’inglese a cura di Aldo Maria Valli per Duc in altum [QUI])
All’interno di un pontificato segnato da dichiarazioni sconcertanti, Desiderio desideravi, la lettera apostolica sulla liturgia eucaristica pubblicata il 29 giugno, è uno dei documenti più curiosi di sempre.
Dopo una serie di meditazioni sull’incomparabile bellezza dell’Eucaristia e sulla centralità della liturgia nella vita di fede, Papa Francesco cade in un palese non sequitur affermando – senza prove né spiegazioni – che solo i cambiamenti liturgici introdotti dopo il Vaticano possono ravvivare la giusta comprensione della Messa.
“Custodiamo la nostra comunione”, scrive il Papa nella sua conclusione. “Continuiamo a stupirci della bellezza della Liturgia”. Nessun cattolico credente potrebbe dissentire da tali obiettivi. Ma nulla in questa lettera apostolica spiega perché il pontefice ritenga di aver fatto progredire tali obiettivi frenando l’uso della liturgia tradizionale latina.
I cattolici tradizionalisti sono comprensibilmente costernati dall’ultimo documento pontificio, perché rafforza i severi divieti della Traditionis custodes. Ma potrebbero volgere gran parte dell’argomento papale a proprio vantaggio. Se l’obiettivo è accentuare la bellezza della liturgia e recuperare il timore reverenziale per l’Eucaristia – obiettivo che Desiderio desideravi si propone con ammirevole chiarezza e vigore – sicuramente la liturgia tradizionale esce vincente dal confronto con il novus ordo.
Nel suo nuovo documento Papa Francesco ribadisce l’accusa che l’adesione alla vecchia liturgia è una minaccia per l’unità cattolica: “La problematica è prima di tutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e nello stesso tempo non accettare la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilum”.
Anche qui i tradizionalisti hanno un’ovvia controreplica: la liturgia come viene vissuta oggi in una tipica parrocchia cattolica non è manifestamente fedele alla guida che i Padri conciliari hanno espresso in quel documento sulla liturgia. La maggior parte dei tradizionalisti sarebbe lieta di una liturgia che riflette ciò che il Concilio ha effettivamente affermato.
Il dono e la bellezza
La parte iniziale di Desiderio desideravi, con le sue meditazioni teologiche sulla liturgia, è potente, a volte profonda e bella. Il lettore potrebbe notare che lo stile di scrittura qui non è simile a quello di altri documenti papali recenti. A differenza dei suoi immediati predecessori, Papa Francesco non ha parlato o scritto spesso sul significato della liturgia. E chi ha contribuito a redigere questa Lettera apostolica ha adottato un approccio del tutto diverso da quello di altri ghostwriter di Francesco.
Il titolo di questa Lettera apostolica deriva da un passo del Vangelo di Luca (22,15): «Ho ardentemente voluto mangiare con voi questa Pasqua prima di soffrire». Il Papa spiega che nella liturgia eucaristica Gesù continua a condividere la Pasqua con i fedeli: “Se fossimo arrivati in qualche modo a Gerusalemme dopo la Pentecoste e avessimo sentito il desiderio non solo di avere informazioni su Gesù di Nazareth, ma anche il desiderio di poterlo ancora incontrare, non avremmo avuto altra possibilità che quella di cercare i suoi discepoli così che potessimo ascoltare le sue parole e vedere i suoi gesti, più vivi che mai. Non avremmo avuto altra possibilità di un vero incontro con Lui se non incontrando la comunità che celebra. Per questo la Chiesa ha sempre custodito come suo tesoro più prezioso il comando del Signore: “Fate questo in memoria di me”».
Scrive Papa Francesco che la missione della Chiesa è diffondere la fede in Cristo affinché il mondo intero partecipi al banchetto eucaristico, abbracciando Cristo e adempiendo al suo comando evangelico. È nella liturgia che i fedeli sperimentano l’incontro con Cristo. Per questo, scrive il Papa, «con questa lettera voglio semplicemente invitare tutta la Chiesa a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana».
Anche in questo caso nessun credente cattolico potrebbe esitare. Tuttavia, quando si volge al tema che è il sottotitolo della sua lettera, “la formazione liturgica del popolo di Dio”, il Papa ha molto poco da dire. Ci dice che il modo di celebrare la liturgia dovrebbe sottolineare il significato del sacrificio eucaristico, ma non offre indicazioni su come questo possa essere fatto. Insiste sul fatto che “ogni aspetto della celebrazione deve essere curato attentamente (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, paramenti, canti, musica…) e ogni rubrica deve essere osservata”, ma non ci dice quali gesti, parole, oggetti, eccetera sono essenziali. Esalta il valore del silenzio, e dei gesti simbolici, ma non offre suggerimenti specifici.
Come suo solito, Papa Francesco insegna accentuando il negativo, con un elenco di approcci che potrebbero “caratterizzare un modo di presiedere certamente inadeguato: una rigida austerità o una creatività esasperante, un misticismo spiritualizzante o un funzionalismo pratico, una sveltezza frettolosa o una lentezza esagerata, una negligenza sciatta o un’eccessiva pignoleria, una cordialità sovrabbondante o impassibilità sacerdotale”. Anche in questo caso, i tradizionalisti potrebbero giustamente replicare che molte di queste mancanze (“creatività esasperante… incuria sciatta… cordialità sovrabbondante”) sono caratteristiche del novus ordo piuttosto che della liturgia tradizionale. Papa Benedetto XVI ha avanzato un’argomentazione simile e ha concluso che i potenziali difetti delle due forme liturgiche potrebbero essere sanati con “un reciproco arricchimento”.
Ma ovviamente Papa Francesco ha precluso questa possibilità, insistendo sul fatto che il novus ordo è l’unica espressione della liturgia romana. Nella sua Lettera apostolica fa spesso riferimento all’autorità del Vaticano II e della Sacrosanctum Concilium. Ma sorvola sulla realtà che la liturgia, come è vissuta oggi dalla maggior parte dei cattolici, è molto lontana dalle linee guida effettive stabilite in quel documento.
Quanto alla promozione dell’unità all’interno della Chiesa, come possiamo sostenere che le conseguenze del Vaticano II hanno portato tale unità, quando la celebrazione della liturgia è notevolmente diversa da una parrocchia all’altra, e spesso anche all’interno di una parrocchia, poiché diverse liturgie eucaristiche sono programmate per fare appello a diverse sensibilità? Papa Francesco inveisce contro “un accresciuto personalismo dello stile celebrativo”, ma troppo spesso è proprio questo l’effetto prodotto dai cambiamenti liturgici che hanno diviso la Chiesa negli anni a partire dal Vaticano II.
Abbracciare la discontinuità
Nel tentativo di spiegare perché i Padri del Vaticano II vedessero la necessità di riformare la liturgia, il Papa scrive che l’uomo moderno ha perso la capacità di comprendere la liturgia: “La domanda fondamentale, quindi, è questa: come recuperare la capacità di vivere pienamente l’azione liturgica? Questo era l’obiettivo della riforma del Concilio. La sfida è estremamente impegnativa perché le persone moderne – non in tutte le culture allo stesso grado – hanno perso la capacità di impegnarsi nell’azione simbolica, che è un tratto essenziale dell’atto liturgico”.
Se è così (e qui sono d’accordo con il Papa, lo è), allora sembra che il rimedio sarebbe aiutare l’uomo moderno a ritrovare la sua comprensione e capacità di azione simbolica. Quindi lo scopo dichiarato di questa lettera apostolica – la formazione liturgica – è uno sforzo buono e necessario. Eppure, a parte le genericità e i ripetuti riferimenti al Concilio, la lettera apostolica non spiega come potremmo recuperare ciò che abbiamo perso. Papa Francesco esorta i fedeli ad apprezzare la forza dei gesti liturgici, compresi quelli a cui partecipa tutta l’assemblea (“radunarsi, camminare con cautela in processione, stare seduti, in piedi, inginocchiarsi, cantare, stare in silenzio, acclamazioni, guardare, ascoltare”), ma non approfondisce la questione di quali gesti siano appropriati, per non parlare del loro significato nel contesto del sacrificio eucaristico.
Per approfondire questi temi più profondi, il Papa ci rimanda alla Sacrosanctum Concilium. Scrive infatti: «Dobbiamo al Concilio, e al movimento liturgico che lo ha preceduto, la riscoperta di una comprensione teologica della liturgia e della sua importanza nella vita della Chiesa».
Ora, attribuire al Vaticano II una “riscoperta” di questa comprensione suggerisce che era andata perduta, non solo ampiamente fraintesa, o ignorata, o addirittura abusata, ma semplicemente scomparsa fino a quando i Padri conciliari non l’hanno rianimata. Significa, allora, che tutta la liturgia eucaristica era fondamentalmente viziata nei giorni precedenti il Concilio? Qui Papa Francesco abbraccia senza ambiguità l’“ermeneutica della discontinuità” che Papa Benedetto XVI ha individuato come la principale ragione di fraintendimento delle direttive del Concilio.
Così nella Desiderio desideravi Papa Francesco contraddice l’insegnamento del suo predecessore, anche più chiaramente di quanto non abbia contraddetto Summorum Pontificum quando ha emesso Traditionis custodes. Il rifiuto è chiaro. Da nessuna parte in questa Lettera apostolica il Papa cita l’opera di Benedetto XVI, che ha scritto tanto e così bene sulla liturgia.
Ma se questo Papa può contraddire il Papa precedente, allora il prossimo Papa potrebbe contraddire Papa Francesco. Un’altra lezione da trarre da questa Lettera apostolica, emessa nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, quando il mondo cattolico celebra l’unità di tutti i fedeli in comunione con la Sede di Roma.
Lettera apostolica Desiderio desideravi: ammissione di un fallimento
di Matteo Hazell
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
«Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium (Desiderio desideravi, N. 31).
Così scrive Papa Francesco nella sua Lettera apostolica Desiderio desideravi, diffusa oggi, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, che funge da ulteriore indicatore – se ce ne fosse bisogno di più! – che la visione generosa e lungimirante di Benedetto XVI è stata sostituita da un’ignoranza avara e insulare mascherata da “ascolto, dialogo e partecipazione”. Sorprendentemente, lo stesso giorno in cui riafferma Traditionis custodes, il Papa ha detto questo nella sua omelia mattutina: «Il Sinodo che stiamo celebrando ci chiama a diventare una Chiesa che si alza in piedi, non ripiegata su sé stessa, capace di spingere lo sguardo oltre, di uscire dalle proprie prigioni per andare incontro al mondo, con il coraggio di aprire le porte. Quella stessa notte, c’era un’altra tentazione (cfr At 12,12-17): quella ragazza spaventata, invece di aprire la porta, torna indietro a raccontare delle fantasie. Apriamo le porte. È il Signore che chiama. Non siamo come Rode che torna indietro.
Una Chiesa senza catene e senza muri, in cui ciascuno possa sentirsi accolto e accompagnato, in cui si coltivino l’arte dell’ascolto, del dialogo, della partecipazione, sotto l’unica autorità dello Spirito Santo. Una Chiesa libera e umile, che “si alza in fretta”, che non temporeggia, non accumula ritardi sulle sfide dell’oggi, non si attarda nei recinti sacri, ma si lascia animare dalla passione per l’annuncio del Vangelo e dal desiderio di raggiungere tutti e accogliere tutti. Non dimentichiamo questa parola: tutti. Tutti! Andate all’incrocio delle strade e portate tutti, ciechi, sordi, zoppi, ammalati, giusti, peccatori: tutti, tutti! Questa parola del Signore deve risuonare, risuonare nella mente e nel cuore: tutti, nella Chiesa c’è posto per tutti. E tante volte noi diventiamo una Chiesa dalle porte aperte ma per congedare gente, per condannare gente. Ieri uno di voi mi diceva: “Per la Chiesa questo non è il tempo dei congedi, è il tempo dell’accoglienza”. “Non sono venuti al banchetto…” – Andate all’incrocio. Tutti, tutti! “Ma sono peccatori…” – Tutti!» (Papa Francesco, 29 giugno 2022).
Sì, una “Chiesa per tutti”… tranne, cioè, per chi ama il Rito Romano tradizionale. Perché è chiarissimo che Francesco non capisce perché amiamo e desideriamo l’usus antiquior; peggio ancora, non gli interessa nemmeno cercare di capire. È completamente e totalmente disinteressato. Siamo tutti solo “rigidi”, “restaurazionisti”, “chiusi di mente”, “ideologi”… beh, ormai conosciamo tutti il trapanare. Le percosse continueranno fino a quando il morale non migliorerà! E al termine della sua Lettera, Francesco scrive piuttosto ironicamente: «Abbandoniamo le polemiche per ascoltare insieme che cosa lo Spirito dice alla Chiesa, custodiamo la comunione, continuiamo a stupirci per la bellezza della Liturgia» (Desiderio desideravi, N. 65). Dal Papa che ha riacceso con gusto le guerre liturgiche, tutto questo è profondamente offensivo.
Ma questi continui insulti e la mancanza di “dialogo” hanno altre gravi ramificazioni rispetto all’apparente comprensione del Vaticano II da parte del Papa. Come si vede sopra in Desiderio desideravi, N.31, lui (o è la mano del ghostwriter Grillo?) sembra lavorare nell’impressione che le riforme liturgiche postconciliari siano assolutamente identiche alle intenzioni dei Padri conciliari, e quindi allo stesso Concilio. Per lo meno, si sta facendo un tentativo palesemente positivista di convincere tutti che è così, semplicemente dichiarando che è così.
Quindi i fatti devono essere dichiarati molto chiaramente: il Concilium Vaticanum Secundum non è il Consilium ad exsequendam [Il “Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia” fu un organismo della Chiesa Cattolica Romana, attivo tra la fine del 1963 e il 1970, quando confluì nella neonata Congregazione del Culto Divino]. Esiste una distinzione chiara e del tutto legittima tra il Concilio Vaticano II e le riforme attuate in suo nome. Mettere in discussione l’opera del Consilium, o sottoporla a un attento esame critico, non è in alcun modo una “negazione” o una “non accettazione” del Vaticano II. Altrimenti, dove questo mette il predecessore di Francesco?
«In parte è semplicemente un fatto che il Concilio [Vaticano II] è stato messo da parte. Ad esempio, aveva detto che la lingua di rito latino doveva rimanere il latino, sebbene si dovesse dare un’adeguata portata al volgare. Oggi potremmo chiederci: esiste più un rito latino? […] [Il] nuovo Messale è stato pubblicato come se fosse un libro messo insieme dai professori, non una fase in un processo di crescita continua. Una cosa del genere non è mai accaduta prima. È assolutamente contraria alle leggi della crescita liturgica, e ne è derivata l’assurda idea che Trento e Pio V avessero “prodotto” un Messale quattrocento anni fa. La liturgia cattolica è stata così ridotta al livello di un mero prodotto dei tempi moderni. Questa perdita di prospettiva è davvero inquietante» (Joseph Ratzinger, The Feast of Faith: Approaches to a Theology of the Liturgy [La festa della fede: approcci a una teologia della liturgia], [Ignatius Press, 1986], pp. 84, 86).
«Il problema del nuovo Messale sta nel suo abbandono di un processo storico sempre continuo, prima e dopo San Pio V, e nella creazione di un libro completamente nuovo… Lo posso dire con certezza, sulla base della mia conoscenza dei dibattiti conciliari e la mia ripetuta lettura dei discorsi dei Padri conciliari, che ciò non corrisponde alle intenzioni del Concilio Vaticano II» (Lettera: Joseph Ratzinger a Wolfgang Waldstein, 1976: citato in “Zum Motu proprio Summorum Pontificum”, Una Voce Korrespondenz 38/3 [2008], pp. 201–214).
«Chiunque oggi propugna l’esistenza della liturgia [tradizionale] o vi partecipa è trattato come un lebbroso; tutta la tolleranza finisce qui. Non c’è mai stato niente di simile nella storia; così facendo disprezziamo e proscriviamo tutto il passato della Chiesa. Come ci si può fidare di lei in questo momento se le cose stanno così? (Joseph Ratzinger, God and the World [Dio e il mondo] [Ignatius Press, 2002], p. 416).
Dal momento che l’uomo descritto dal Cardinale Robert Sarah come il “Papa della liturgia” è evidente per la sua assenza in Desiderio desideravi, purtroppo penso che tutti sappiamo dove questo lascia l’opera di Ratzinger – almeno fino a quando, a Dio piacendo, non arriveranno tempi più felici nel futuro. Dato l’atteggiamento anti-ratzingeriano attualmente in voga a Roma, tuttavia, è curioso che nientemeno che Romano Guardini, il cui Vom Geist der Liturgie ispirò Lo Spirito della liturgia proprio di Ratzinger, sia citato quattro volte in Desiderio desideravi (numeri 34 [due volte], 44, 50). E che opinione aveva Guardini delle riforme liturgiche prima della sua morte nel 1968? “Klempnerarbeit” – lavoro bocciato! Ebbene, chi siamo noi per dissentire con uno dei padri del Movimento Liturgico?
Forse più che qualsiasi altra cosa, però, Desiderio desideravi è una cruda ammissione del fallimento delle riforme liturgiche post-Vaticano II. Se un rito specificamente riformato per “l’uomo moderno”, più accessibile, chiaro, didattico e di facile comprensione, spogliato di tutti i simboli e ripetizioni inutili, vestito interamente di lingue vernacolari e canti popolari, non ha comportato che i fedeli cristiani fossero “scrupolosamente imbevuti dello spirito e della potenza della liturgia» (Sacrosantum Concilio, N. 14), allora le riforme liturgiche postconciliari non sono state una colossale perdita di tempo? Lo stesso Papa allude anche a questo fallimento: «La questione fondamentale è, dunque, questa: come recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? La riforma del Concilio ha questo come obiettivo» (Desiderio desideravi, N. 27). Se questo obiettivo non è stato raggiunto dal novus ordo più di 50 anni dopo, lo sarà mai?
Naturalmente, come abbiamo visto sopra, il fallimento delle riforme postconciliari è ormai un argomento proibito a Roma: sollevare anche solo la possibilità che ciò sia attualmente trattato come una “non accettazione” del Concilio. E con una “riforma della riforma” anche completamente fuori discussione… Ebbene, come ha chiesto una volta lo stesso Bugnini: Quo vadis, Liturgia? (Notitiae, N. 2, febbraio 1965).
Liturgia, nuova stoccata alla tradizione (e al Concilio)
di Luisella Scrosati
In quel di Roma sembrano non digerire le critiche montanti che da mesi si sollevano contro il Motu proprio Traditionis custodes. La Lettera apostolica Desiderio desideravi che Papa Francesco ha firmato ieri, nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, dedicata alla formazione liturgica del popolo di Dio, ritorna sul punto fondamentale del Motu proprio di quasi un anno fa, e cioè la volontà di mettere una pietra tombale sul Rito antico. Nella chiusura della lettera, il Papa mostra di aver accusato il colpo delle critiche montanti, ma anziché ritornare sui proprio passi, cerca di gettare acqua sul fuoco esortando ad abbandonare le polemiche «per ascoltare insieme che cosa lo Spirito dice alla Chiesa» (n. 65) e custodire la comunione.
Il guaio è che è proprio la Lettera apostolica a fornire il combustibile che ha alimentato la polemica di questi mesi, nonché a porre le condizioni per uno strappo più esteso della comunione ecclesiale. Moltissimi sono i paragrafi di Desiderio desideravi che si potrebbero sottoscrivere: l’importanza del silenzio (n. 52), dell’ars celebrandi (n. 49 e ss.), dell’evitare ogni personalismo dello stile celebrativo (n. 54). Apprezzabile è anche la serena riflessione sulla teologia liturgica. Ma ci sono alcuni gravi problemi che non possono essere passati sotto silenzio e che necessariamente monteranno ancora di più la critica verso la “linea liturgica” di questo pontificato, soprattutto da quando Arthur Roche ha preso le briglie del Dicastero competente.
Primo problema. Secondo Francesco l’accoglienza della riforma liturgica è condizione necessaria per l’accoglienza del Concilio Vaticano II. Nel rifiuto della riforma egli scorge un problema ecclesiologico: «La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio […] e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium» (n. 31). È vero che vi è chi ritiene che la riforma liturgica sia espressione del Vaticano II e che debba perciò essere rifiutata; ma non si può far finta che invece vi siano altre posizioni che mostrano come in realtà la riforma sia andata ben oltre, quando non addirittura contro, le indicazioni di Sacrosanctum Concilium. E la riforma così come si è concretamente attuata ancora peggio.
Piacerebbe capire quando e dove i Padri conciliari abbiano richiesto l’abolizione del tempo di Settuagesima, dell’Ottava di Pentecoste, delle Rogazioni, delle Quattro Tempora (in verità lasciate ad libitum alla decisione delle pigre Conferenze Episcopali), il rifacimento ex-novo dei riti dell’Offertorio. Così come non sarebbe male capire sulla base di quale testo del Concilio di fatto la lingua latina non sia più utilizzata ed il canto gregoriano da canto proprio della liturgia romana (SC, 116), ne sia diventato la Cenerentola. Anche storicamente non si può negare il fatto che il Messale che più da vicino ha incarnato le indicazioni di Sacrosanctum Concilium sia, a prescindere dall’apprezzamento, quello del 1965 e non quello del 1969.
In questo modo il Santo Padre non fa altro che misconoscere, senza nemmeno accettare un confronto costruttivo, tutte quelle posizioni critiche nei confronti di alcuni aspetti della riforma, che tuttavia non si pongono in atteggiamento di rifiuto del Vaticano II. Alcuni testi del quale non si capisce perché non debbano poter essere oggetto di miglioria e, nelle parti non dogmatiche, di riconsiderazione. Se dunque si vuole veramente spegnere le polemiche e ricostruire la comunione ecclesiale sulla liturgia, bisognerebbe almeno ascoltare con rispetto le posizioni contrarie, non squalificarle a prescindere come anti-conciliari.
Il proseguo del paragrafo 31 solleva il secondo grande problema della Lettera apostolica: «Per questo – come ho spiegato nella lettera inviata a tutti i Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che “i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (Motu proprio Traditionis custodes, art. 1)». Con tutto il rispetto per l’autorità pontificia, il Papa non può cancellare la realtà con una semplice dichiarazione. Perché prima o poi bisognerà rispondere ad alcune elementari domande: se i libri scaturiti dalla riforma liturgica sono l’unica espressione del Rito Romano, i libri liturgici del 1962, in uso per espressa autorizzazione anche dell’attuale Pontefice, che cosa sono? Che cosa esprimono? E prima della riforma, quei libri liturgici che cosa esprimevano? Che il Rito Romano non inizi con il Concilio Vaticano II è un fatto con cui bisognerà prima o poi far pace. E trarne anche le debite conseguenze.
Terzo problema. Per i due contenuti di cui sopra, Francesco si mette in posizione di rottura definitiva con il pontificato di Benedetto XVI. Il quale, tra l’altro, non viene nemmeno una volta citato nella Lettera apostolica, nonostante abbia fatto della questione liturgica il cuore del suo pontificato. Meglio così, piuttosto che tirarlo per la tonaca, come si è fatto in Traditionis custodes, per affermare che operare in senso diametralmente opposto a quanto ha fatto Benedetto non significa andare contro la linea da lui tracciata. Tentativo fallito di equilibrismo mentale. Se il Motu proprio aveva di fatto tagliato la testa alla linea di Papa Benedetto, Desiderio desideravi ne seppellisce il cadavere. Come si fa allora a chiedere di far cessare le polemiche per ritrovare la comunione ecclesiale? Se un pontefice decide di mettersi in totale rottura con chi lo ha preceduto, come può poi appellarsi alla comunione? Se un pontefice disconosce quello che lo Spirito ha ispirato al suo predecessore, come può puoi fare appello a mettersi in ascolto dello Spirito?
Infine, c’è un problema di proporzioni. Francesco offre l’ennesima stoccata ai “merlettari”, ribadendo che «la continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale» (n. 22). Tirato il sasso, subito ritira la mano, spiegando che «questa affermazione non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico». Anzi, «ogni aspetto del celebrare va curato […] e ogni rubrica deve essere osservata» (n. 23).
Benissimo. Bisognerebbe però che questa cura per le forme e le rubriche si traduca in qualcosa di concreto. Mentre invece, ad oggi, si registra solamente una sistematica severità verso quanti sono legati ad un rito che conosce secoli di storia, mentre invece non si è mossa un’unghia per frenare i continui abusi liturgici che si verificano da ogni parte in quella che lui ritiene essere la Messa del Concilio: vescovi che entrano in bicicletta in chiesa, parole del Messale cambiate, vesti liturgiche rese facoltative, omelie tenute da laici, e magari anche gay, preti vestiti da clown, danze di vario genere, orrori architettonici e musicali. Se il Papa usasse metà della determinazione che impiega nel perseguitare i “tradizionalisti” per risolvere il problema degli abusi, saremmo già a buon punto. E la sincerità delle sue affermazioni sarebbe credibile. Invece per i gravi, ripetuti e crescenti abusi liturgici giusto una timida tirata d’orecchi; per chi ama la Messa antica, la condanna dell’estinzione.
Traditionis custodes – Indice [QUI]
Foto di copertina: risultati preliminari della formazione liturgica nel Novus ordo, giugno 1971, “Hofheimer Mess-Festival”, Germania.