Una sempre acuta riflessione di Sandro Magister.
Sulla rivista "Cardinalis" vedere QUI MiL.
Luigi
12-5-22
Da pochi mesi circola tra i cardinali una nuova rivista creata tutta per loro, con la finalità dichiarata di aiutarli a “conoscersi per prendere le giuste decisioni nei momenti importanti della vita della Chiesa”. In altre parole: in vista del futuro conclave.
La rivista ha il titolo latino di “Cardinalis”, è inviata a tutti i membri del sacro collegio e può essere letta in quattro lingue anche on line. È edita in Francia, a Versailles. A scriverla è “una squadra di vaticanisti di diversi paesi e di varie tendenze”. Il primo numero è uscito nel novembre del 2021 con in copertina il cardinale iracheno Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, e il secondo nell’aprile di quest’anno con in copertina il cardinale Camillo Ruini.
L’intervista d’apertura di quest’ultimo numero, infatti, è con questo colto cardinale di 91 anni che ha avuto un ruolo di assoluto rilievo nei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Di Ruini, Settimo Cielo ha pubblicato recentemente due riflessioni su Dio e sull’uomo, cioè sulle questioni capitali per la missione della Chiesa nel mondo. E di nuovo in questa intervista a “Cardinalis” – realizzata dalla vaticanista americana Diane Montagna – egli insiste su quelle che sono le verità “centrali e decisive” del cristianesimo, su cui la Chiesa vince o perde tutto:
“Il punto primo e più importante è quello su cui Benedetto XVI ha molto insistito: la fede e la fiducia in Dio, il primato di Dio nella nostra vita. Il secondo punto, inseparabile dal primo, è la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e nostro unico salvatore. Il terzo è l’uomo, creato a immagine di Dio e divenuto in Cristo suo figlio adottivo, l’uomo chiamato alla vita eterna, l’uomo che già oggi cerca di vivere da figlio di Dio”.
In particolare non deve cadere in ombra – sottolinea Ruini – la verità di Gesù Cristo unico salvatore di tutti, affermata dal Nuovo Testamento e riaffermata dalla dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000, un “documento fondamentale” contro il relativismo presente anche nella Chiesa.
Ruini non lo dice, ma che questa verità capitale debba tornare al centro dell’attenzione dei cardinali chiamati ad eleggere il prossimo papa è sottolineato con forza alcune pagine più avanti in questo stesso numero di “Cardinalis”, in un testo dal titolo inequivocabile di “Memorandum per un futuro conclave”.
Firmato dal professor Pietro De Marco ma frutto di un "think tank" più allargato, il “Memorandum” mette in guardia dal parificare la rivelazione cristiana ad altre religioni e dallo spogliare la morte in croce di Gesù da ogni valenza redentrice, riducendola a un messaggio etico di trasformazione dei cuori e della società:
“L’affermazione del carattere unico e universale della mediazione salvifica di Cristo è, invece, parte centrale della buona novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall’epoca apostolica. ‘Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati’ (Atti 4, 11-12)”.
Se si offusca questa verità primordiale “ci si avvia, come purtroppo avviene, alla dissoluzione del soggetto cristiano”. E dunque anche in un conclave – avverte il “Memorandum” – dovrà tornare al centro della riflessione “la fedeltà al compito di Pietro di confermare i fratelli“ su questo caposaldo del Credo cristiano. Senza più quei cedimenti prodotti da certe letture ireniche e banalizzanti di un’enciclica come la “Fratelli tutti” di papa Francesco.
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Sorprendentemente, ma non per i bene informati, anche alla vigilia del conclave del 2005, quello che elesse papa Joseph Ratzinger, vi fu un cardinale che richiamò con forza i confratelli a mettere alla base della riflessione la verità di Gesù Cristo unico salvatore di tutti.
Quel cardinale fu Giacomo Biffi (1928-2015), teologo di valore e arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003, che intervenendo il 15 aprile del 2005 in una delle riunioni a porte chiuse che precedettero quel conclave, così si rivolse agli astanti:
“Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo.
“Vorrei segnalare al nuovo papa la vicenda incredibile della 'Dominus Iesus': un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinale Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma protestante. L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna. Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia.
"Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della 'Dominus Iesus' alla comunità parrocchiale. Il parroco (un sacerdote per altro eccellente e ben intenzionato) gli ha risposto: 'Lascia perdere. Quello è un documento che divide'. 'Un documento che divide'. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: 'Io sono venuto a portare la divisione' (Luca 12, 51). Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua parte più loquace".
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In effetti, la dichiarazione “Dominus Iesus”, pubblicata il 6 agosto del 2000 con la firma dell’allora cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger, fu oggetto di forti critiche non solo da fuori della Chiesa cattolica ma anche da parte di alti esponenti della gerarchia come il cardinale Edward Cassidy, all'epoca presidente del pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, e il suo successore Walter Kasper.
Per diminuirne l'autorità, gli oppositori usavano attribuire la paternità della "Dominus Iesus" al solo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, senza una reale approvazione da parte del papa.
Ma le cose non stavano affatto così. In un contributo a un libro in memoria di Giovanni Paolo II, scritto nel 2014 dopo la sua rinuncia al papato, Ratzinger ribadì la totale sintonia tra lui e il papa nel pubblicare quel documento. Con queste testuali parole:
“Tra i documenti su vari aspetti dell'ecumenismo, quello che suscitò le maggiori reazioni fu la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ del 2000, che riassume gli elementi irrinunciabili della fede cattolica. […]
“A fronte del turbine che si era sviluppato intorno alla ‘Dominus Iesus’, Giovanni Paolo II mi disse che all'Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento.
“Mi invitò a scrivere un testo per l'Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere in modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.
“Preparai dunque un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il papa mi chiese ancora una volta: ‘È veramente chiaro a sufficienza?’. Io risposi di sì.
“Chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo”.
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Anche in un altro suo scritto di pochi mesi successivo, in forma di messaggio alla Pontificia Università Urbaniana, il papa emerito Benedetto XVI ribadì l’importanza vitale della verità contenuta nella “Dominus Iesus”, pur non citandola esplicitamente.
L'Urbaniana è l'università missionaria per eccellenza, legata alla congregazione per l'evangelizzazione dei popoli.
E Ratzinger prese spunto proprio da questo per reagire ai dubbi che minacciano l'idea stessa della missione "ad gentes", alla quale molti vorrebbero sostituire un dialogo paritario tra le religioni, in vista di "una comune forza di pace".
Senza avvedersi che facendo ciò – scrisse Ratzinger – si accantona "la verità che in origine mosse i cristiani" a predicare il Vangelo fino ai confini della terra:
"Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo. E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino".
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Non solo. Oltre alla firma del cardinale Ratzinger, in calce alla dichiarazione “Dominus Iesus” c’era anche quella dell’allora segretario della congregazione per la dottrina della fede Tarcisio Bertone.
In un suo successivo libro-intervista, Bertone svelò altri retroscena sia della genesi della “Dominus Iesus” sia del pieno accordo tra Giovanni Paolo II e Ratzinger:
"Un elemento tipico della fermezza dottrinale di Giovanni Paolo II riguarda la sua passione per una cristologia vera, autentica. Lui stesso ha voluto in prima persona la dichiarazione dogmatica circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 'Dominus Iesus', nonostante le dicerie che hanno attribuito a una 'fissazione' del cardinale Ratzinger o della congregazione per la dottrina della fede il fatto di aver voluto questa famosa dichiarazione, dicerie che si erano propagate anche in campo cattolico. Sì, è Giovanni Paolo II stesso che aveva chiesto in prima persona la dichiarazione, perché era rimasto colpito dalle reazioni critiche alla sua enciclica sulla missionarietà, la ‘Redemptoris missio’, con la quale voleva incoraggiare i missionari ad annunciare il Cristo anche nei contesti dove sono presenti altre religioni, per non ridurre la figura di Gesù a un qualsiasi fondatore di un movimento religioso. Le reazioni erano state negative, soprattutto in Asia, e il papa ne era rimasto molto amareggiato. Allora, nell’Anno Santo del 2000 – anno cristologico per eccellenza – disse: 'Per favore, preparate una dichiarazione dogmatica'. È stata così preparata la 'Dominus Iesus', densa, scarna e con un linguaggio dogmatico. Essa permane assai importante nell’attuale temperie della Chiesa perché, partendo dall’analisi di una situazione preoccupante a raggio mondiale, offre ai cristiani le linee di una dottrina fondata sulla rivelazione che deve guidare il comportamento coerente e fedele al Signore Gesù, unico e universale salvatore”.
All'intervistatore che gli chiedeva come il Vaticano reagì alle critiche, Bertone rispose:
"Non solo in campo laico, ma anche in campo cattolico alcuni si allinearono a queste critiche. Il papa rimase doppiamente amareggiato. Ci fu una sessione di riflessione proprio su queste reazioni, soprattutto dei cattolici. Alla fine della riunione, con forza il papa ci disse: ‘Voglio difendere la ‘Dominus Iesus’ e voglio parlarne domenica 1 ottobre, durante la preghiera dell’Angelus – eravamo presenti io, il cardinale Ratzinger e il cardinale Re – e vorrei dire questo e quest’altro’. Abbiamo preso nota delle sue idee e abbiamo redatto il testo che il papa ha approvato e poi pronunciato. Era la domenica in cui venivano canonizzati i martiri cinesi. La coincidenza aveva suggerito a qualcuno una certa prudenza: ‘Non conviene – gli suggerivano taluni – che lei parli della ‘Dominus Iesus’ proprio in quel giorno, è meglio che lo faccia in un altro contesto. È meglio che lo rimandi, potrebbe renderlo pubblico l’8 ottobre, nella domenica del giubileo dei vescovi, alla presenza di centinaia di presuli’. Ma il papa rispose così a tali obiezioni: ‘Come? Adesso devo rimandare? Assolutamente no! Ho deciso per il 1 ottobre, ho deciso per questa domenica, e domenica lo farò!’”.
All'Angelus di quel 1 ottobre 2000, in effetti, Giovanni Paolo II presentò la "Dominus Iesus" come "approvata da me in forma speciale”. E concluse: “È mia speranza che questa dichiarazione che mi sta a cuore, dopo tante interpretazioni sbagliate, possa svolgere finalmente la sua funzione chiarificatrice”.
Una funzione oggi più che mai attuale.