Non è solo "l'effetto Francesco", il fenomeno è molto più antico e ha collegamenti con lo sfascio dottrinale legato alla Teologia della Liberazione, ma certamente non è una buona notizia.
E con un Papa sudamericano avremmo sperato di meglio.
Luigi
Tempi, Paolo Manzo, 30-4-22
Nonostante il primo Papa argentino, negli ultimi anni sono cresciuti neopentecostali e non credenti (in Brasile il sorpasso è vicino). I numeri di una crisi profonda
Per secoli, essere latino-americano significava essere cattolico visto che la nostra religione non aveva praticamente concorrenza a queste latitudini. Oggi, invece, il cattolicesimo ha perso aderenti a favore del neopentecostalismo e, più recentemente, dei non credenti. Un’emorragia che origina negli anni Settanta e che è continuata senza freni nell’ultimo decennio, nonostante il primo Papa latinoamericano, Francesco.
Secondo un recente studio di Latinobarómetro sette paesi della regione – Uruguay, Repubblica Dominicana e cinque in America Centrale – avevano già una maggioranza di non cattolici nel 2018 e oggi la fiducia nella Chiesa cattolica è ai minimi storici in particolare in Argentina e Uruguay, dove la chiesa è stata accusata di aver chiuso un occhio sulle violazioni dei diritti umani da parte di dittature passate, e in Cile, dove sono esplosi numerosi scandali sessuali negli ultimi anni.
In Brasile, che ha il maggior numero di cattolici di qualsiasi paese del mondo, i fedeli di Sacra Romana Chiesa potrebbero addirittura diventare minoranza già quest’anno, secondo le stime degli accademici che tracciano l’affiliazione religiosa riportate recentemente dal Wall Street Journal e una conferma della grave crisi è arrivata anche dall’ultima analisi di Axios, giovedì 28 aprile.
Nello stato di Rio de Janeiro, il sorpasso, è addirittura già avvenuto, e oggi i cattolici costituiscono appena il 46 per cento della popolazione secondo l’ultimo censimento brasiliano, e un terzo in alcune delle favelas più colpite dalla povertà. «Il Vaticano sta perdendo il più grande paese cattolico del mondo – è una perdita enorme, irreversibile», è l’analisi di José Eustáquio Diniz Alves, uno dei principali demografi brasiliani ed ex professore dell’agenzia nazionale di statistica. Al ritmo attuale, la sua stima è che i cattolici rappresenteranno meno del 50 per cento di tutti i brasiliani entro l’inizio di luglio di quest’anno.
Anche in Perù, da quando il marxista Pedro Castillo è arrivato alla presidenza lo scorso anno, grazie all’intercessione della First Lady, una fervorosa neopentecostale, gli evangelici hanno acquistato un peso politico senza precedenti.
In Messico i gruppi evangelici sono cresciuti del 35 per cento nell’ultimo decennio, secondo il locale Istituto di Statistica e Geografia. Qui la poderosa chiesa La Luz del Mundo, fondata nel 1926, ha aziende nel settore immobiliare, culturale e informativo anche se il suo leader, Naasón Joaquín García, continua a essere detenuto negli Stati Uniti accusato, tra i tanti reati, anche di stupro di minori e di traffico di esseri umani.
Paraguay ed Ecuador, per ora, sono gli unici paesi della regione a tenere, con più dell’80 per cento di cittadini che si considerano ancora cattolici, mentre in Uruguay appena il 34 per cento rimane fedele al Vaticano. Chi avanza con forza a Montevideo sono invece gli agnostici e gli atei, che assieme costituiscono oltre il 38 per cento della popolazione. Secondo un rapporto pubblicato dal quotidiano uruguaiano El País, oggi gli evangelici “sono più di 300mila, con a disposizione oltre 1.400 chiese”.
L’ascesa dei neopentecostali in Sud America
L’ascesa neopentecostale non è solo numerica ma anche politica, di potere. Basti penare che persino il cattolicissimo Sebastián Piñera, ex presidente del Cile sino al marzo scorso (oggi alla Moneta c’è l’agnostico Gabriel Boric) è stato costretto ad aggiungere quattro “vescovi” evangelici alla sua squadra di governo per riuscire ad arrivare a fine mandato. Per non parlare del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che pur dichiarandosi cattolico, nel 2016 si è fatto battezzare nel fiume Giordano con un rito evangelico da un pastore dell’Assembleia de Deus. Senza quel gesto, a detta degli analisti, non sarebbe mai riuscito a vincere le presidenziali del 2018.
Dal Messico alla Patagonia, il boom evangelico è iniziato nei cosiddetti “templi garage”, spazi nelle periferie delle città, luoghi marginali dove si curano casi di violenza familiare, dipendenze, si offre sostegno psicologico o lavorativo e si dà ricovero a minori in difficoltà. Oggi, però, c’è molto sfarzo tra i neopentecostali. Un buon esempio è il Tempio di Salomone, a San Paolo, che appartiene alla Chiesa Universale del Regno di Dio. Il sito si estende su oltre 100mila metri quadrati e l’edificio, faraonico, su 74mila. Costruito con pietre importate da Gerusalemme, ha un parcheggio per mille auto, la sua facciata principale supera i 55 metri di altezza e, a suo interno, i pastori vestono di bianco mentre, fuori, gli agenti di sicurezza indossano una giacca nera. In Brasile lo chiamano il “Maracana della fede”. Da lì sono passati gli ultimi presidenti, a cominciare dall’ex guerrigliera Dilma Rousseff, che ha presenziato alla sua inaugurazione, nel 2016.
Il Tempio di Salomone, a San Paolo, che appartiene alla Chiesa Universale del Regno di Dio, in una foto del 2014 (Ansa)