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Luigi
28-01-2022, Aurelio Porfiri, La Nuova Bussola Quotidiana
Tra i pochi canti tardo-gregoriani a resistere c’è il Tantum ergo. Si tratta delle ultime due strofe del più ampio Pange lingua, uno degli inni composti da san Tommaso per l’Ufficio del Corpus Domini. Le parole dell’Aquinate ci fanno gustare almeno una parte delle profondità del mistero eucaristico.
In questi tempi difficili in cui il patrimonio tradizionale della musica sacra sembra messo da parte senza possibilità di ripensamenti (che sarebbero più che necessari) uno dei canti del repertorio tardo-gregoriano che resiste è il celebre Tantum ergo, che ancora risuona nelle nostre chiese, specialmente per la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo.
Dobbiamo il Tantum ergo ad uno dei santi più grandi della Chiesa cattolica, san Tommaso d’Aquino (1225-1274) che nel Novus Ordo viene festeggiato il 28 gennaio mentre nel Vetus Ordo viene festeggiato il 7 marzo. Come parlare adeguatamente di questo gigante del pensiero cattolico, meritatamente preso dal magistero come modello e chiave interpretativa per comprendere le profondità della spiritualità e teologia cristiane? Certamente è un compito arduo e forse un modo è proprio quello di dire alcune parole sul Tantum ergo, questo bellissimo canto che fa parte di un inno più ampio, il Pange lingua, anch’esso non completamente scomparso in seguito alla furia postconciliare. Questo inno era stato composto da san Tommaso per l’Ufficio del Corpus Domini e rimane ancora oggi, insieme agli altri testi che lo compongono, come una gemma luminosa che bene illumina il mistero eucaristico e ci fa gustare almeno un poco delle sue profondità.
Ma vediamo una versione italiana del solo Tantum ergo:
Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l’antica legge
ceda al nuovo rito,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode abbia Colui
che procede da entrambi.
Il Tantum ergo è composto dalle ultime due strofe del Pange Lingua e l’ultima, come per tutti gli inni, è un’invocazione alla Trinità. Nella strofa precedente, quella che apre il Tantum ergo, ci viene chiesto di adorare questo grande Sacramento dell’Eucarestia in ginocchio. Questo dovrebbe sempre ricordarci dell’adorazione che dovrebbe circondare il Santissimo Sacramento: esso non dovrebbe essere svalutato da gesti liturgici che non ne mettono in risalto la grandiosità.
In un radiomessaggio del 1953, per il Congresso Eucaristico di Torino, Pio XII faceva riferimento al nostro canto dicendo: «Prostrati pertanto in spirito dinanzi al fulgido Ostensorio, verso cui convergono gli sguardi e i cuori di cotesta immensa moltitudine osannante, ripetiamo gli stessi accenti che or ora risonavano per le vie e le piazze della nobile Torino: Tantum ergo Sacramentum - veneremur cernui. E siamo certi che la Nostra supplice voce, cui si unisce il prorompente vostro coro, sarà recata dal regale vostro fiume alle ubertose pianure fino al mare e riecheggiata per ogni dove dalla maestosa cerchia delle Alpi, poste a diadema dalle gemme scintillanti dei suoi cento ghiacciai sulla vostra città e l’Italia tutta, come affermazione solenne della fede eucaristica dei vostri padri, di cui Torino fu singolare assertrice».
In effetti, allora come oggi, non è infrequente, malgrado la devastazione musicale e liturgica di cui sopra, che ancora oggi numerosi fedeli si uniscano nel canto della bella melodia gregoriana, in cui si canta della nuova legge che si è sostituita all’antica completandola, non disprezzandola, e si chiede alla fede di farci forza per supplire alla debolezza dei nostri sensi. Quanto queste parole di san Tommaso, cantore dell’Eucarestia, sono sempre attuali!
Nell’omelia del Giovedì Santo del 2001, san Giovanni Paolo II ha commentato il Pange Lingua, e arrivato al Tantum ergo ha detto: «Sorretti da questa fede, da questa luce che illumina i nostri passi anche nella notte del dubbio e della difficoltà, noi possiamo proclamare: “Tantum ergo Sacramentum / veneremur cernui - Così grande Sacramento / veneriam, dunque, prostrati”».
Aggiungeva papa Wojtyla: «L’istituzione dell’Eucaristia si riallaccia al rito pasquale della prima Alleanza, che ci è stato descritto nella pagina dell’Esodo poc’anzi proclamata: vi si parla dell’agnello “senza difetto, maschio, nato nell’anno” (Es 12,6), il cui sacrificio avrebbe liberato il popolo dallo sterminio: “Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio” (12,13). L’inno di san Tommaso commenta: “Et antiquum documentum / novo cedat ritui - ceda ormai la vecchia Legge / al Sacrificio nuovo”. Giustamente, perciò, i testi biblici della Liturgia di questa sera orientano il nostro sguardo verso il nuovo Agnello, che con il sangue liberamente versato sulla Croce ha stabilito una nuova e definitiva Alleanza. Ecco l’Eucaristia, sacramentale presenza della carne immolata e del sangue versato del nuovo Agnello. In essa vengono offerti a tutta l’umanità la salvezza e l’amore. Come non essere affascinati da questo Mistero? Facciamo nostre le parole di san Tommaso d’Aquino: “Praestet fides supplementum sensuum defectui - Supplisca la fede al difetto dei sensi”. Sì, la fede ci conduce allo stupore e all’adorazione!».
Questo commento di san Giovanni Paolo II, come tanti altri presenti nel Magistero, ci fanno ben comprendere come sia veramente appropriato onorare Tommaso d’Aquino come cantore dell’Eucarestia, perché nessuno come lui ha saputo cantarla in parole che da allora risuonano nei nostri cuori e nelle nostre menti.