Continuiamo i commenti del Santo del giorno del prof. Plinio Corrêa de Oliveira (QUI): San Nicola di Flüe (1417-1487).
21 marzo. Nella località di Ranft, presso Sachseln, in Svizzera, san Nicóla della Flüe, padre di famiglia, poi Anacoreta, insigne per la durissima penitenza e il disprezzo del mondo, chiamato dagli Svizzeri padre della patria, dal Papa Pio dodicesimo ascritto nei fasti dei Santi. (Martirologio Romano ed. 1955)
21 marzo. Sul dirupo montano di Ranft presso Sachseln in Svizzera, san Nicola di Flüe: chiamato da divina ispirazione a più grandi opere, lasciati la moglie e dieci figli, si ritirò tra i monti a condurre vita eremitica; celebre per lo stretto rigore di penitenza e il disprezzo del mondo, una sola volta uscì dalla sua piccola cella, sotto la minaccia di una guerra civile, per riconciliare con una breve esortazione le parti avverse. (Martirologio Romano ed. 2004)
L.V.
21 marzo
San Nicola della Flue
Nicola della Flue (1417-1487), figlio di poveri contadini del cantone di Unterwalden in Svizzera, pastore e padre di dieci figli, dall’età di ventitré anni serve come capitano nell’esercito della Confederazione Svizzera, battendosi con la spada in una mano e il Rosario nell’altra. Tornato a casa carico di decorazioni, rifiuta di assumere la carica di sindaco che gli è offerta, affermando che le sue umili origini non lo rendono adatto al ruolo. Accetta invece l’incarico di giudice, che esercita in modo esemplare per nove anni.
Dalla più giovane età e per tutta la vita è favorito da visioni celesti. Famosa è quella del giglio che esce dalla sua bocca e cresce fino al Cielo: ma mentre il santo lo contempla il giglio si accartoccia su se stesso, cade ed è divorato da un cavallo. Infine, con il permesso della moglie, si ritira a vita eremitica a Ranft, a poche miglia dalla sua casa, dedicandosi alla cura della sua anima, per lunghi mesi miracolosamente nutrito dalla sola Eucarestia che riceve una volta al mese. Ma è un eremita molto attivo: a lui vengono non solo pellegrini in cerca di consiglio spirituale ma anche i dignitari dei cantoni svizzeri in lotta tra loro che gli chiedevano di esercitare mediazioni in cui ebbe sempre successo. I pellegrinaggi alla tomba di questo santo nazionale della Svizzera continuano ancora oggi con grande fervore.
Propongo sei punti di meditazione.
Primo: a quel tempo, come oggi, la Svizzera era uno Stato genuinamente federale, fondato sull’autonomia dei cantoni. Ogni cantone era quasi completamente indipendente, e l’autorità centrale della Confederazione era piuttosto vaga. Il rovescio della medaglia era che i cantoni si trovavano sovente in lite tra loro, anche perché per ragioni linguistiche i cantoni erano influenzati da poteri vicini: i cantoni di lingua francese dalla Francia, quelli di lingua tedesca dall’Austria e dalla Germania, quelli di lingua italiana da Milano e da altri Stati italiani. Queste dispute culturali e politiche spesso degeneravano in scontri militari.
Dobbiamo anche considerare che l’epoca di San Nicola della Flue è chiamata in Svizzera l’epoca militare. È in quel tempo che gli Svizzeri si rivelano grandi soldati e offrono truppe e guarnigioni a tutta l’Europa. Le guardie svizzere che ancora oggi servono il Papa sono il ricordo vivo di quella tradizione. È in questo scenario che anche San Nicola è chiamato alle armi, e partecipa alla guerra contro il cantone di Zurigo che si era ribellato alla Confederazione. Con il suo eroico comportamento San Nicola rende testimonianza alla dignità della vita militare.
Secondo, immaginiamo quell’uomo valoroso sul campo di battaglia, con la spada in una mano e il Rosario nell’altra. È una bellissima scena di battaglia! Oggi colleghiamo immediatamente gli oggetti di pietà come il Rosario a qualche cosa di sentimentale. Chi collegherebbe oggi il Rosario a un guerriero? Al contrario per molti il Rosario è una cosa da vecchiette o da uomini imbelli e incapaci di combattere. Non è colpa del Rosario, che anzi subisce così una grave ingiustizia, ma di un sentimentalismo religioso che ha sovvertito il vero significato della preghiera cristiana.
Terzo, è interessante meditare sull’atteggiamento di San Nicola quando rifiuta la carica di sindaco. Afferma: “No, sono di condizione umile e avrei difficoltà a esercitare la mia autorità su persone che per nascita sono in una posizione più elevata”. Questa affermazione è incomprensibile oggi. Ma denota l’amore di San Nicola per le gerarchie: la sua comprensione del fatto che le gerarchie – certo diverse secondo i tempi e i luoghi – sono elemento essenziale di una società bene ordinata. Oggi vediamo piuttosto il contrario: a causa dell’egualitarismo che ci ha invaso talora si ritiene che una persona di condizione sociale più elevata non sia adatta a governare. Spesso alcuni governanti sono criticati perché sono di nascita nobile o di condizione sociale più alta della maggioranza dei governati. E spesso queste critiche vengono dall’invidia e dal rifiuto della nozione stessa di gerarchia, senza la quale però le società non possono sopravvivere.
Quarto: nel mezzo della sua vita di laico San Nicola ha sempre avuto delle visioni. Consideriamo un pastore, un soldato e un giudice che, mentre si dedica alle occupazioni tipiche di queste posizioni, riceve delle visioni dal Cielo. Immaginiamo la scena del giudice Nicola della Flue mentre presiede il tribunale cantonale e ascolta le parti e gli avvocati. Mentre segue un’arringa, all’improvviso ci si accorge che il giudice ha uno sguardo lontano: è in estasi. Il suo volto è luminoso, contempla una scena paradisiaca. Si è distratto? Forse sì, ma le testimonianze attestano che quando la visione svanisce Nicola pronuncia parole di grande saggezza. Spesso le parti si riconciliano e il caso è risolto. Certo ai giorni nostri è difficile incontrare giudici di questo genere.
Possiamo anche immaginare il giovane Nicola pastore in un tipico paesaggio svizzero. Sullo sfondo le famose Alpi svizzere, coperte di una neve che al tramonto si vena di colori delicati, dal rosa all’azzurro. San Nicola suona il suo corno per radunare il gregge, ma si ferma a pregare prima di tornare alle stalle. In questo momento il Cielo si apre e mostra al santo le meraviglie del Paradiso e degli angeli. Una vita racconta che una volta il santo si ferma a conversare con Dio e un angelo porta il gregge nelle stalle in vece sua. Gli angeli, lo splendore primigenio delle montagne svizzere e l’anima purissima di San Nicola della Flue si compongono perfettamente in un quadro di rara bellezza. Un quadro davvero superiore!
Quinto, la visione del giglio che si reclina su se stesso ed è mangiato da un animale mostra come spesso la contemplazione è interrotta e, per così dire, guastata dalle preoccupazioni terrene. Dal momento che quando cerchiamo di meditare abbiamo tutti lo stesso problema, possiamo tutti prendere San Nicola della Flue come nostro santo patrono. Dobbiamo chiedergli di non disperdere le grazie della meditazione e di perseverare nei pensieri buoni. Ma è pure incoraggiante vedere che i santi hanno avuto i nostri stessi problemi.
Sesto, meditiamo sul grande fervore che nel corso dei secoli il popolo svizzero ha mostrato nel pellegrinaggio verso la tomba di San Nicola della Flue e la cura che ha dimostrato nel mantenere e nell’abbellire il suo santuario. Lì possiamo vedere le sue decorazioni militari, e – cosa curiosa – anche quelle che i suoi discendenti diretti hanno conquistato sui campi di battaglia del mondo e donato al santuario. Con questa eccellente tradizione di famiglia, che è durata fino a non molti anni fa, i della Flue dichiarano che per loro è più glorioso discendere da un santo che mostrare le decorazioni che si sono guadagnate. È un gesto carico di significato.
Questi sono i punti della nostra meditazione ammirata su San Nicola della Flue. Anche se non siamo soldati, dobbiamo chiedergli la grazia di saperci sempre battere – nelle difficili battaglie, non necessariamente militari, in cui siamo impegnati oggi – con la spada in una mano e il Rosario nell’altra.
Fonte: Plinio Corrêa de Oliveira, Cum Sanctis Tuis, ChoraBooks (QUI per acquistare)
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