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domenica 27 marzo 2022

La Messa di Sempre #traditioniscustodes

Una bella riflessione sulla liturgia tradizionale alla Parrocchia di SS. Trinità dei Pellegrini a Roma: "Non ho più lasciato questa Messa, non mi sono mai voltata indietro. Mi fermo qui, perché altro non potrei dire: non tutto deve essere spiegato, ci sono cose che devono essere vissute. Desidero che ogni cristiano e ogni uomo di buona volontà venga e veda ciò che io ho visto".
Alla faccia di Traditiones custodes.
Luigi

25-3-22, Il Mattone, di @etexsurge

Era una domenica mattina dell’estate del 2021 quando, calcando i sanpietrini del centro di Roma, ho raggiunto la chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini. Questa chiesa si affaccia su una piccola piazza, è modesta nelle dimensioni e, tranne per il singolare color rosso bruciato della facciata, non ha nell’apparenza nulla che valga a distinguerla dalle dozzine di altre chiese antiche che ornano la Città Santa.
Ma è al suo interno che accade ciò che è speciale: la Messa che qui si celebra è quella millenaria del rito Tridentino, in lingua latina e con l’altare rivolto al Tabernacolo.
Da tempo desideravo prender parte al rito tradizionale per un numero di ragioni. Il mio primo contatto con la Messa antica era stato virtuale, nell’anno in cui una tosse aveva sconvolto il mondo e l’Eucaristia poteva essere fruita solo tramite lo schermo di un dispositivo artificiale, siccome qualcuno aveva giudicato troppo pericoloso che i fedeli si riunissero per assolvere il dovere di santificare le feste. Fui impressionata dalla bellezza dei canti, commossa quando il sacerdote prese l’ostensorio scintillante e lo venerò con profondi inchini prima di benedire la piccola schiera clandestina di fedeli, che sapevo essere presente con lui in carne ed ossa dall’altro lato della telecamera. Ciò che avveniva in quella Messa era per me inedito ma logico, sconosciuto eppure familiare. Qualcosa di magnifico e diverso da ogni altra realtà esistente si compiva in quell’ora, e quel tempo non poteva dirsi del tutto presente, perché nel presente portava lo spessore del passato e l’immagine del futuro. La messa a cui ero abituata, la liturgia riformata da Paolo VI, propone una forma ridotta, veloce, minimalista. Osservai in un primo tempo questa differenza e custodii quell’esperienza nel cuore in attesa di approfondirla, ma non elaborai oltre.
Accadde, però, che dalla primavera del 2021 la messa consueta a cui partecipavo non fu più nemmeno la messa a cui ero abituata, quella degli anni della mia infanzia, quella in cui mi erano stati impartiti i sacramenti.

Alcune precedenti e detestabili novità potevano comunque essere tollerate. Si poteva sopportare la mutanda in faccia, se portata sotto al naso. Si poteva ignorare il pandemicamente corretto gel per l’igienizzazione posto all’ingresso della parrocchia, un invito a nuove profane abluzioni. Si poteva attendere il ritorno dell’acqua benedetta, il sacramentale che purifica, allontana il demonio e predispone alla preghiera e ai sacramenti. Si poteva trattenere per pietà il riso amaro alla vista ai segni per il distanziamento dei fedeli, apposti sulle panche da parroci tanto zelanti quanto sorprendentemente ignari del fatto che le loro chiese non sono mai piene. Ma questa volta le novità erano clamorose: le formule della liturgia erano cambiate in modo incomprensibile. Perché devo dire “fratelli e sorelle” nell’atto penitenziale?
Ricordavo che il maschile inclusivo è una regola grammaticale della mia lingua madre. Lessi una volta che “fratello” è una parola antichissima, significa “colui che sostiene”. Più di tutto, la mia intelligenza al sentire la parola “fratelli” riconosce in essa un effetto e ricerca la causa: il Padre comune che ci rende fratelli, Colui che è prima di noi e verso cui andiamo. Quello è il punto. Ma se io conosco queste cose, che beneficio ha chi non le sa, se io le dimentico? Soprattutto, hanno corrotto il Padre Nostro. Dicono si tratti solo di una nuova traduzione, invece è un’interpretazione. “Non ci indurre in tentazione” è identico in latino e, a sua volta, il latino traduce con “indurre” l’omologo greco “far entrare dentro”. Non ho la competenza per dispiegare la profondità del significato di questa espressione, che rimanda alla tensione tra la prova a cui Dio ha diritto di sottoporci e la Sua grazia, a cui Cristo ci invita a fare costante appello. Mi soffermo su una questione più semplice: Gesù conosce il verbo “indurre”, e lo usa nel Padre Nostro, e conosce il verbo “abbandonare”, lo usa nel grido sulla croce, quando si rivolge al Padre prima di emettere lo spirito. Perché confondere parole che Lui volutamente ha utilizzato in contesti diversi? Forse che esistono parole più esatte delle Sue? Gesù non ci ha insegnato a pregare secondo il senso delle Sue parole, ma a pregare con le Sue stesse parole. Parole e senso coincidono. Davanti a queste assurde modifiche, vivevo la messa con pena e sconforto. Alle mie domande i sacerdoti che conosco non sapevano dare risposta, e nel loro ubbidire non mi riusciva di vedere alcuna umiltà, ma solo un’offesa a Colui che per primo merita obbedienza. Fu allora che mi decisi a non più rimandare.

La messa in lingua volgare è cambiata così tante volte da quando è stata introdotta negli anni 70, che la sua stessa essenza è mutevole e contingente. La Messa in latino non è cambiata mai, la sua essenza è eternità, permanenza, un ripetersi eguale che trapassa la storia. Entrata a Trinità dei Pellegrini per la mia prima Messa in rito antico, sono uscita da questo tempo e da questo mondo. Non mi stupirei se un giorno scoprissi che gli angeli qui si inginocchiano insieme ai fedeli e mischiano alle nostre le loro voci celesti. Ero estasiata ed atterrita. La bellezza era il segno sensibile della verità. Canti, gesti, preghiere, profumi: tutto celava cose sublimi e mi comunicava la sacralità di ciò che avviene sull’altare, di ciò che è nascosto nello scrigno misterioso del Tabernacolo. Il sacerdote non è stato mai protagonista, ma la sua persona era come un dito che incessantemente indica Cristo; non vedevo lui, piccolo prete, ma lʼAltro, a cui lui stesso guarda.
Ebbene, alla fine mi sarei gettata ai suoi piedi per baciargli le scarpe, perché non voglio essere altro che serva di chi Dio ha scelto come Suo servo e ha consacrato.
Non ho più lasciato questa Messa, non mi sono mai voltata indietro. Mi fermo qui, perché altro non potrei dire: non tutto deve essere spiegato, ci sono cose che devono essere vissute. Desidero che ogni cristiano e ogni uomo di buona volontà venga e veda ciò che io ho visto.