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giovedì 7 ottobre 2021

Mons. Athanasius Schneider: il Motu Proprio e la sua lettera di accompagnamento commettono un’ingiustizia. Un'intervista #traditioniscustodes

Intervista riportata dalla Lettera di Paix liturgique del 26 settembre 2021 (ripresa da Una Vox).
Luigi

Presentazione di Paix liturgique

Il Motu Proprio e la lettera d’accompagnamento commettono un’ingiustizia contro tutti cattolici che aderiscono alla forma liturgica tradizionale, accusandoli, generalizzando, di seminare la discordia.
L’argomento invocato dal Motu Proprio e dalla lettera di accompagnamento, e cioè che la forma liturgica tradizionale creerebbe la divisione e minaccerebbe l’unità della Chiesa, è smentito dai fatti. Inoltre, il tono sprezzante di questi documenti verso la forma liturgica tradizionale porterebbe qualsiasi osservatore imparziale a concludere che tali argomenti sono solo un pretesto e un espediente, e che si tratta di qualcos’altro.
* * *

Cosa consiglia ai sacerdoti che celebrano la Messa tradizionale, ai fedeli legati a questa Messa e alle Comunità religiose che celebrano questa liturgia?

La Messa tradizionale è un tesoro che appartiene a tutta la Chiesa, poiché è stata celebrata e profondamente apprezzata e amata dai Papi, dai fedeli e dai santi da almeno mille anni. In effetti, la forma tradizionale della Messa era quasi identica nei secoli anteriori alla pubblicazione del Messale di Papa Pio V nel 1570.
Un tesoro liturgico usato e molto stimato da quasi mille anni non è una proprietà privata di un papa di cui egli può disporre come vuole. Di conseguenza, i fedeli, i seminaristi e i sacerdoti devono chiedere il diritto di utilizzare questo tesoro comune della Chiesa e se si vedono rifiutare questo diritto possono comunque utilizzarlo, fosse pure in maniera clandestina. Non si tratterebbe di un atto di disubbidienza, ma di un atto di ubbidienza alla Santa Madre Chiesa, che ci ha dato questo tesoro liturgico.
Il fermo rifiuto da parte di Papa Francesco di una forma liturgica quasi millenaria rappresenta, in effetti, un fenomeno di breve durata in rapporto allo spirito e alla prassi costanti della Chiesa.

Papa Francesco, nel suo Motu Proprio sulla Messa, mostra sia la continuità tra il concilio Vaticano II e la Messa di Paolo VI sia l’opposizione di fondo tra i due riti. Questo non evidenzia forse l’impasse teologica dell’ermeneutica della continuità?

Papa Francesco stabilisce un netto contrasto fra il rito tradizionale e il Novus Ordo, affermando che il Novus Ordo è l’unica espressione della legge della fede della Chiesa romana. In effetti, non vi è più posto per la pretesa ermeneutica della continuità, che è sempre stata sostenuta da Paolo VI a Benedetto XVI e che riteneva che ci fosse una vera continuità tra il rito tradizionale e il Novus Ordo. Se esistesse tale continuità, la coesistenza dei due riti non darebbe mai fastidio ad alcuno. Tuttavia, la crescente diffusione delle celebrazioni della Messa tradizionale rivela chiaramente, dopo un esame onesto e più approfondito, che esiste una vera rottura tra i due riti, sia ritualmente sia dottrinalmente. Il rito tradizionale è, per così dire, un rimprovero costante alle autorità della Santa Sede, che così si esprime: «Avete fatto una rivoluzione nella liturgia. Ritornate ad una vera continuità tra le due forme liturgiche». La riforma liturgica che i padri conciliari avevano in mente è quella che Paolo VI approvò nel 1965 e che i padri conciliari celebrarono nell’ultima sessione. Lo stesso Mons. Lefebvre celebrò la Messa con la formula del 1965, al pari del seminario di Ecône nei suoi primi anni. L’evidente discontinuità tra la Messa tradizionale e la Messa del 1965 da un lato e la Messa di Paolo VI dall’altro, incoraggia tutti a riflettere più profondamente, e anche a esaminare onestamente i possibili elementi di discontinuità dottrinale con il precedente e costante Magistero dottrinale della Chiesa, di alcune dichiarazioni del concilio Vaticano II, un concilio a carattere pastorale.

Di fronte alla penosa situazione in cui si trovano gli Istituti Ecclesia Dei Adflicta, non possiamo finalmente chiederci se la condotta di Mons. Lefebvre verso Roma non sia stata quella giusta?

Occorre guardare alla crisi straordinaria che colpisce la Chiesa da quasi cinquant’anni e che ha assunto proporzioni davvero terrificanti sotto il pontificato di Papa Francesco. Questa crisi crescente ha le sue radici anche in certe dichiarazioni ambigue del Concilio e soprattutto nella nuova Messa di Paolo VI, che agli occhi di un osservatore obiettivo, rappresenta una sorta di rivoluzione liturgica. Alla luce dell’evidenza di questa crisi nella Chiesa, che può essere paragonata alla crisi ariana del IV secolo, l’opera e la testimonianza di Mons. Lefebvre appaiono profetiche ed eroiche, poiché egli era guidato unicamente dal suo fedele attaccamento a quello che la Chiesa ha sempre insegnato e alla maniera con cui ha celebrato la Santa Messa nel corso dei millenni. Mons. Lefebvre non ha introdotto dei particolarismi o delle novità, ma si è semplicemente attenuto a ciò che lui stesso aveva ricevuto dalla Chiesa nella sua infanzia, nella sua giovinezza, nella sua formazione al seminario e nella sua ordinazione episcopale. Io penso che dopo questa crisi, la Chiesa lo ringrazierà.

Vi sono più di 5000 vescovi nel mondo. Pensa che alcuni di loro si uniranno alla lotta che lei sta conducendo?

In effetti, io penso che nella Chiesa vi siano ancora dei vescovi che vivono l’integrità della fede e della liturgia con convinzione e che l’amano. Tuttavia, non ve ne sono molti che in questo si impegnano pubblicamente. A volte la ragione è la debolezza umana e la paura di esporsi, o la paura di essere attaccati; in alcuni casi è la paura di non riuscire a fare carriera o addirittura di essere sollevati dall’incarico. Questo è comprensibile perché è anche un’esperienza umana che gli ufficiali possano trovare difficile combattere una battaglia senza il sostegno del loro generale. Nel lottare per mantenere e trasmettere la purezza della fede, della morale e della liturgia, i vescovi devono ricordare che il loro vero generale è Gesù Cristo, l’eterno Sommo Sacerdote e Re dei Re. Anche ogni Papa, che è solo il Suo Vicario, deve mostrare il massimo esempio di obbedienza alla tradizione immutabile della fede e del culto divino. Cristo supererà questa crisi senza precedenti della Chiesa, che è anche in gran parte una crisi dei vescovi. Christus vincit!