Molto bello. Da leggere.
Grazie a Stilum Curiae per la traduzione di One Peter 5.
Luigi
24 Settembre 2021 Marco Tosatti
“Gli uomini devono essere cambiati dalle cose sacre, e non le cose sacre dagli uomini”
Il titolo di questo articolo è tratto dalle parole pronunciate dal cardinale Egidio da Viterbo nel 1512 durante l’orazione inaugurale del Concilio Lateranense V: “Homines per sacra immutari fas est, non sacra per homines”. In questo contesto, immagino la seguente conversazione tra due seminaristi che seguono gli studi in un seminario diocesano. Hanno scoperto di essersi innamorati della tradizionale Messa in latino e vogliono abbracciare le sue ricchezze, ma non sono d’accordo su come farlo.
Michael: È possibile portare la tradizione nella Messa Novus Ordo. Basta che scegliamo i paramenti migliori, miglioriamo la musica, vediamo di migliorare il cerimoniale, usiamo l’incenso e così via… Impariamo dalla Messa in latino come dovrebbero essere fatte le cose.
John: Su questo sono titubante. Qualsiasi tentativo di rendere la nuova Messa più tradizionale non è vista come una innovazione ? Almeno rispetto a quanto si aspettano vescovi, sacerdoti e la maggior parte dei laici, soprattutto se si va molto oltre la griglia delle opzioni a disposizione? E, anche nella migliore delle ipotesi, pensando che un prete possa “farla franca”, cosa accade, a livello interiore, a un sacerdote che rende la sua Messa “più tradizionale” settimana dopo settimana, anno dopo anno ? Non si abitua a pensare che sia lui l’artefice delle sue belle liturgie? Che siano suoi gli accorgimenti per tradizionalizzare al meglio secondo il suo sentire?
Michael: Beh, no, penso che stia cercando di scegliere cosa c’è di meglio dalla tradizione, e quindi non è qualcosa di suo. Sta cercando un riferimento esterno, non solo una bussola interna.
John: Ma è comunque una scelta che deve fare, ed è una scelta che fa avendo come riferimento lo sfondo di mezzo secolo di scelte, per lo più di segno contrario, e le scelte, generalmente meno tradizionali, dei suoi confratelli e della maggior parte delle altre diocesi. Questo è molto diverso da come il culto è stato inteso e praticato nel mondo cattolico prima della riforma.
Michele: cosa intendi?
John: Mentre il clero diocesano “che naviga controvento” è alla ricerca di modi nuovi per conformare il Novus Ordo alla tradizione, i membri degli istituti e delle comunità tradizionali cercano semplicemente il nascondimento e lasciano che sia la tradizione a formarli con il suo potere e la sua perfezione. Il restauratore del Novus Ordo, per quanto aderisca strettamente alla tradizione, promuove comunque un progetto contraddittorio. Perché, per essere genuinamente tradizionale, un discepolo deve diventare sempre più piccolo; mentre invece, per rendere tradizionale il Novus Ordo, lui deve diventare sempre più grande. Il primo percorso è un nascondimento dell’ego: un laico può dire “oh, qualsiasi prete andrà bene, purché celebri la vecchia messa”. L’altro percorso, invece, è un traguardo! Il celebrante diventa famoso anche a molti chilometri di distanza come “colui che offre in modo riverente il Novus Ordo”. Tanto quanto un sacerdote svanisce nel rito antico, l’altro sacerdote, ironia della sorte, ne viene magnificato.
Michael: Da questo punto di vista non sarebbe meglio, cioè più focalizzato sulla strada della santità, essere un laico in una parrocchia tradizionale che un prete conservatore nel mondo del Novus Ordo?
John: È difficile sfuggire a questa conclusione. Il laico è libero di conformarsi a una tradizione oggettiva mentre il sacerdote del Novus Ordo adegua costantemente la liturgia alle proprie idee (probabilmente migliori), di ciò che dovrebbe essere ma non è e non deve essere (e, per alcuni vescovi, non deve mai essere). E non dimentichiamo neanche che non può essere in alcun modo garantita la propria libertà di raggiungere i propri obiettivi di buoni propositi. Molto probabilmente, sarà costretto in continuazione ad andare contro la sua coscienza e contro la sua conoscenza di cosa è meglio.
Michael: Mi ricorda una famiglia che conosco, dove il papà è diventato un cattolico tradizionale mentre la mamma no, e questo ha comportato problemi di tutti i tipi. E’ come se un seminarista diocesano amante della tradizione stia entrando in una sorta di matrimonio misto con una tipica diocesi del Novus Ordo. Come si usa, tutti nelle foto sono affratellati e con buona volontà; ma un simile matrimonio può crollare rapidamente.
John: Giusto. Se all’inizio avesse scelto una partner migliore, il “matrimonio” avrebbe probabilità molto più elevate di successo.
Michael: (Dopo una pausa) Cosa dovremmo fare, allora? Qual è la soluzione?
John: Non so se ci sia solo una soluzione. Ma so qual è la mia soluzione: lasciare il seminario diocesano e ricominciare da capo in un istituto o in una comunità tradizionale.
Michael: E se il Vaticano proibisse a questi gruppi di accettare nuovi membri, o addirittura chiudesse i loro seminari, come, secondo le voci che girano, potrebbe accadere presto?
John: Se accadesse questo, i superiori dovrebbero avere la lucidità mentale di riconoscere che si sta attuando un assalto al bene comune della Chiesa, contro la sua fede, la sua tradizione, il suo passato, la sua eredità, contro l’insegnamento di tutti i precedenti papi e concilii, le realtà più sacre, il bene delle famiglie, specialmente dei bambini, e il dono divino delle vocazioni, e dovrebbero avere il coraggio di rifiutare di riconoscere tali divieti o chiusure. I seminari devono restare aperti e funzionanti, proseguendo con tranquillità come prima. Dovrebbero continuare ad accettare nuovi membri, indipendentemente dal loro status canonico, e continuare con la formazione sacerdotale o religiosa, indipendentemente dalle sanzioni minacciate o pronunciate, che sarebbero tutte nulle, in quanto emanate da coloro che agiscono in odio e in disprezzo della fede e contro tutti i principi normativi del diritto. I fedeli laici sosterrebbero generosamente il personale, le strutture e le attività di tutti questi gruppi, sostenendoli finchè arriveranno giorni migliori in cui verrà nuovamente riconosciuta la legittimità intrinseca della loro posizione.
Michael: Hai appena fatto una serie di affermazioni audaci!
John: O le facciamo o lasciamo che i modernisti calpestino noi e la Fede tradizionale fino alla morte. Che è quello che vogliono. Perché dovremmo lasciarglielo fare? Non potremmo mai avere pace nelle nostre coscienze se voltassimo le spalle a ciò che il Signore ci ha permesso di ammirare. Siamo uomini cambiati. E dobbiamo vivere come uomini cambiati. Questo è ciò che Dio si aspetta da noi. Non dobbiamo sprecare le Sue grazie. D’altronde questo lo sai bene quanto me: un prete che si è abituato all’incomparabile alimento della Messa antica non può semplicemente metterlo da parte come un vecchio straccio al comando di un meschino dittatore. Sarebbe una specie di eutanasia spirituale. E penso che la stessa cosa sia vera per noi.
Michael: Sì… hai ragione. Non riesco a non vedere quello che vedo adesso. La tradizione è una grazia. Voglio dire, vederla, innamorarsene, lasciarsi modellare dalla mente e dal cuore… Che grazia abbiamo ricevuto! Domine, non sum dignus…
* * *
Questa conversazione può aiutare a focalizzare una verità che rimane poco chiara per troppe persone. È infatti una contraddizione in termini dire che bisogna diventare sempre più grandi (nel senso di esercitare il proprio giudizio e la propria forza volitiva) per rendere “tradizionale” il Novus Ordo quando il più grande beneficio della tradizione è quello di permettere di rimpicciolirsi sempre di più, per far risplendere la sapienza e la carità della Chiesa attraverso la propria rappresentazione iconica di Cristo.
Rigorosamente, da questo punto di vista, essere un laico che vive una vita liturgica pienamente tradizionale sarebbe superiore all’essere un sacerdote che deve celebrare il Novus Ordo in modo esclusivo o frequente. Non si tratta qui di attribuire la colpa a qualcuno; la maggior parte dei sacerdoti che hanno scoperto le benedizioni della tradizione lo hanno fatto dopo la loro ordinazione, quando (per così dire) era troppo tardi per orientarsi esclusivamente verso di essa. Un sacerdote che avesse saputo in anticipo che, rimanendo in una diocesi, avrebbe nuotato perennemente contro corrente nei suoi sforzi per rendere il nuovo rito qualcosa che non era mai stato concepito , avrebbe, d’altra parte, più di un motivo per risvegliarsi dalla notte dei dormienti e chiedersi cosa diavolo stia combinando.
Non sorprende, quindi, che il clero del Novus Ordo, che si “sveglia” in seguito alla piena comprensione della grandezza del problema liturgico, viva una crisi enorme. Alcuni di loro cercano di lasciare la propria diocesi per entrare a far parte di una comunità tradizionale, un passo non facile da fare, con tutti i permessi necessari da entrambe le parti, e la sfida di incarichi temporanei durante il periodo di prova, e nessuna certezza del risultato. Altri, come Fr. Bryan Houghton (autore dei classici Judith’s Marriage e Mitre & Crook), si rendono conto che devono andare in pensione anticipata o trovare un diverso “ambito di lavoro”. Fr. Houghton si dimise dal suo ufficio pastorale piuttosto che celebrare il Novus Ordo, si stabilì nel sud della Francia e finì per diventare un felice cappellano di un piccolo e piuttosto informale gruppo di laici che assisteva alle sue messe in latino. Oggi si possono trovare laici che sono pienamente disposti a mettere volontariamente in gioco le proprie risorse per sostenere il “clero cancellato” che cerca di offrire la TLM (Messa Tradizionale in Latino), perché sanno che deve essere fatto.
C’è, ovviamente, un futuro molto diverso che un giorno potrebbe nascere. Visto che i potenziali candidati al sacerdozio sono sempre più attratti dalla messa in latino, una diocesi lungimirante, anche sulla scia della Traditionis Custodes, potrebbe creare tranquillamente una “impronta della messa in latino”, dalla quale i seminaristi che desiderano offrire esclusivamente la liturgia tradizionale potrebbero essere eventualmente destinati a santuari, basiliche, oratori e cappelle (non parrocchie, si badi…), che si specializzerebbero in essa, per il numero crescente di fedeli che ne fanno richiesta, e per le loro famiglie in continuo aumento. Le diocesi che desiderano sopravvivere dovranno adattarsi alle mutevoli esigenze dei fedeli ed ai cambiamenti delle aspirazioni dei seminaristi attuali o potenziali. Alcune diocesi più sagge nei giorni pre-Traditionis Custodes lo avevano già attuato ed hanno iniziato a pianificare in anticipo l’inevitabile, come ha riferito Fr. Zuhlsdorf.
Però, a meno che, e fino a quando, ciò non accadrà, gli uomini che sono tra i «giovani [che] hanno scoperto questa forma liturgica, ne hanno sentito l’attrazione e hanno trovato in essa una forma di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia, a loro particolarmente adatta». (Lettera ai Vescovi che accompagna la Lettera Apostolica Summorum Pontificum) si ritroveranno nella posizione di Michael e John del mio dialogo immaginario: bisogna trovare un ordine o una comunità tradizionale. Anche questo è nella Provvidenza di Dio, poiché Egli sta innalzando fari della tradizione per illuminare le tenebre dell’anarchia ecclesiale. E non è da meno, nel piano provvidenziale di Dio, che le forze nemiche in Vaticano si stiano mettendo in linea contro i veri guardiani della tradizione. La battaglia è in corso. C’è una grande gloria da conquistare, o la miseria della diserzione e della resa.
Questo lo sappiamo per certo: una persona ha l’obbligo di tirarsi fuori da situazioni in cui è continuamente bombardata da esigenze o richieste che affaticano o feriscono la propria coscienza. Anche se potesse trincerarsi dietro una affrettata riserva mentale per giustificare (o scusare) qualche atto di complicità, è come vivere sul filo di un rasoio affilato e spietato. Non è un modo sano di vivere. Dovremmo essere in grado di abbandonarci alla liturgia come a un trainer superiore a cui possiamo assolutamente affidare il nostro benessere spirituale.
Un appello che vorrei lanciare a tutti i reverendi sacerdoti, nello spirito della riforma della riforma: usate il cànone romano, spesso, spesso, spesso! E pronunziate tutti i nomi dei santi.
RispondiEliminaMi unisco a questo appello e mi permetto di ampliarlo:
EliminaReverendi sacerdoti, usate il Canone Romano in forma integrale più che potete, e, nel caso siate costretti ad usare un'altra preghiera eucaristica, non usate la II!