Una bella e dolorosa riflessione.
Luigi
Marcello Veneziani, 2-4-21
Venerdì Santo, nove di mattina. In una marea distratta e accalcata di turisti della fede, aspettavo di assistere alla via Crucis, l’incontro tra la Madonna Addolorata e Gesù Cristo con la croce sulle spalle, il Vinto per antonomasia. Ero nel mio paese d’origine, come sempre accadeva nei giorni importanti della tradizione. Era una processione importante quella del Venerdì Santo, vedevo da bambino le donne vestite di nero piangere e gli uomini impietrirsi al passaggio. Tornavo sempre il Venerdì Santo al mio paese per i riti pasquali. E ogni anno vedevo aumentare la gente e diminuire la passione.
Era grigio e ventoso, come sempre quel Venerdì Santo, nell’ora dell’incontro tra Gesù Cristo con la croce sulle spalle e la Madonna addolorata. Però non c’era pathos nell’incontro in piazza; migliaia di persone assiepate, bambini sulle spalle dei genitori, spinte, video e cellulari squittanti, assoluta anestesia del dolore e della fede… Che strano, mi son detto, ripensando anche ai Sepolcri che facevo di chiesa in chiesa, come migliaia di persone, con assoluta noncuranza dell’evento, uno struscio con alibi religioso vago e vagante. Che strano, mi ripetevo. Io ricordo da bambino cos’era la Settimana Santa, non s’andava al cinema prima di Pasqua e non si sentivano le canzoni alla radio perché erano giorni di lutto; e si vedevano donne vestite di nero piangere al passaggio di Cristo e della Madonna. Il dolore si leggeva nei volti di tanti nel pellegrinaggio dei Sepolcri e se un filo di gioia si intravedeva sotto l’aspetto dolente, era il presagio della Pasqua ventura, la certezza risorgente del Lieto Fine. La Casa del Signore pareva ora evacuata, estenuata, disabitata di santità, priva di sacralità, aperta ad un flusso che del turismo laico e sbarazzino non aveva solo una cosa: la curiosità delle cose nuove da vedere.
Mi chiedo e vi chiedo: dobbiamo allora cercare la religione negli anfratti più impensati del villaggio globale, tra le luci, i games e le fiction, piuttosto che nella vita quotidiana, nelle chiese e nella storia che si tramanda? È una religiosità new age, per single e social, quella che si fa avanti, fatta di effetti speciali, cristi robot, emotività e immagini forti, priva di rito, di luoghi sacri, e di comunità religiosa? Una religione che si annoda certo ad un Racconto Antico e Condiviso, dunque ad una Tradizione e ad un Immaginario Collettivo trasmesso da secoli; ma rivissuta in modo informale, in luoghi occasionali. Forse, la religione ha perso il suo fascino perché ha perso la forza fascinatrice della sua liturgia, la possente rappresentazione dei suoi riti; non vuole sconvolgere, vuole rassicurare, farsi umana troppo umana, non vuole mostrare il dolore e il maligno, preferisce percorrere le vie dolci del pacifismo, della bontà, del tutti in paradiso… E allora quel che non troviamo in chiesa lo cerchiamo altrove, addirittura in video o nelle esperienze trasgressive della modernità. Perfino il crocifisso non va ostentato, è quasi atto osceno in luogo pubblico, fa troppo male quello spettacolo di flagellazione; meglio la croce stilizzata, e sterile, senza Cristo. Non lo so, non sono sicuro di quel che dico; ma temo davvero che la religione dolcificata, per non spaventarci con la morte, il sacrificio e l’inferno, abbia smesso di suscitare in noi anche la voglia di resurrezione, d’ascesi e paradiso. Così quel che perdiamo nella vita e nella storia ce lo andiamo a ripescare in video, mediante fiction. Veni foras, animascope.
Poi vidi avvicinarsi Cristo in croce con i capelli veri (frutto di un voto) ondeggiare al passaggio, mentre il solito vento del Venerdì Santo (c’era sempre vento e maltempo il venerdì santo al mio paese) animava il nero vestito dell’Addolorata. Un religioso al microfono invitava santamente e vanamente a concentrarsi, a raccogliersi, evitando il cicalare distratto e la pura curiosità televisiva per la spettacolarità dell’evento. E quel mondo, quella folla attonita e svagata, riempita e vuotata di presente. Noi che seguivamo quell’incontro come la traccia di un tempo che fu, l’odore di madri e di nonne scomparse, il ricordo di un’infanzia che dista millenni. Noi che seguivamo gli ultimi riti di una tradizione sfinita, indebolita non dal peso dei secoli ma dalla leggerezza dei nostri giorni. Un tempo si celebrava Gesù il Vinto, sapendolo Vincitore a Pasqua e per sempre. Ora il Vinto non smette di perdere, anche la domenica. E da un paio d’anni, grazie al lockdown, non ci è permesso neanche quella specie di Venerdì Santo.
MV, 2 aprile 2021