Un caustico commento sulle due "agende" di Benedetto XVI e Francesco.
Notiamo con grande dolore che il S. Padre Francesco non parla quasi più di Gesù: "Impressionante è anche il totale silenzio su Dio nel videomessaggio con cui Francesco ha lanciato – e ora sta mettendo in opera d’intesa con le Nazioni Unite – il Global Compact on Education".
Luigi
Settimo Cielo, 21-12-20
Ciò che colpisce, nel magistero e negli atti maggiori di quest’ultima fase del pontificato di Francesco, è la messa in ombra di quella “priorità” che per il suo predecessore Benedetto XVI "sta al di sopra di tutte", oggi più che mai, in un tempo “in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento".
La priorità cioè – come Benedetto aveva scritto in una sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009 – "di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto".
Si avvicina il Natale. Ma del Dio che è nato a Betlemme c’è solo una labile traccia nell’ultima enciclica di Francesco “Fratelli tutti”, al punto che un filosofo di valore come Salvatore Natoli vi ha scorto piuttosto l’immagine di un Gesù che è “null’altro che un uomo”, la cui nobile missione è stata semplicemente di mostrare agli uomini che “nel loro reciproco donarsi hanno la possibilità di divenire ‘dèi’ al modo di Spinoza: ‘homo homini deus’”.
Impressionante è anche il totale silenzio su Dio nel videomessaggio con cui Francesco ha lanciato – e ora sta mettendo in opera d’intesa con le Nazioni Unite – il “Global Compact on Education”, un ambizioso piano da lui offerto a “tutte le personalità pubbliche” che si impegnano a livello mondiale nel campo della scuola, a qualsiasi religione appartengano.
Nel piano, le parole d’ordine sono tutte e solo secolari. La formula dominante è “nuovo umanesimo”, con il suo corredo di “casa comune”, “solidarietà universale”, “fraternità”, “convergenza”, “accoglienza”… Né più né meno che per la rete mondiale di “Scholas Occurrentes”, scuole per l'incontro, creata da Jorge Mario Bergoglio in Argentina e poi da lui promossa, da papa, a fondazione di diritto pontificio con sede nella Città del Vaticano.
E lo stesso accade in quell’altra iniziativa pontificia intitolata “Economy of Francesco”, nella quale il papa, vestendo il saio del suo omonimo santo di Assisi, propone al mondo “un patto per cambiare l’attuale economia”, anzi, per rovesciarla radicalmente sull’onda dei “movimenti popolari”, salvo subito dopo eleggere a proprio partner nell’impresa il “Council for Inclusive Capitalism”, cioè i magnati di Ford Foundation, Johnson & Johnson, Bank of America, British Petroleum, Rockefeller Foundation, e simili.
E Dio? Ai critici di papa Bergoglio si può sempre obiettare – come è stato scritto – che “tutta la dottrina tradizionale trinitaria e cristologica” è in lui “presupposta”, e “non deve necessariamente ripeterla testualmente e integralmente”.
Ma non era certo questa l’opzione di Benedetto XVI. Che anche da papa emerito, in quei suoi “Appunti” offerti al papa regnante alla vigilia del summit sugli abusi sessuali del febbraio 2019, è tornato ad affermare con forza che bisogna “anteporre Dio, non presupporlo”.
Effettivamente, in quegli “Appunti”, Joseph Ratzinger ha indicato ancora una volta nell’oblio di Dio la causa ultima della crisi attuale della Chiesa, nella sfera del sesso ma non solo.
A riproporre e a commentare questo testo capitale dell’ultimo Ratzinger – compresa una sua risposta scritta alle obiezioni della teologa tedesca Birgit Aschmann – è uscito recentemente un libro a più voci, curato da Livio Melina, già preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia, e da Tracey Rowland, la teologa australiana insignita quest’anno del premio “Joseph Ratzinger”:
Questo che segue è un passaggio tratto dal primo capitolo del libro, firmato dal cardinale Camillo Ruini. È una lettura molto appropriata, in questa prossimità del Natale di Gesù. I sottotitoli sono redazionali.
“NON PRESUPPORRE, MA ANTEPORRE DIO”
Il primato di Dio nella teologia di Joseph Ratzinger
di Camillo Ruini
La questione chiave che Joseph Ratzinger affronta nella sua teologia è quella della verità del cristianesimo. Possiamo riassumerla così: la Chiesa antica ha optato per il Dio dei filosofi – in concreto della filosofia greca –, mentre ha preso le distanze dagli dèi delle religioni. Questa scelta, già preparata nell’Antico Testamento e in particolare nella sua traduzione greca detta dei “Settanta”, ha messo in luce la verità del cristianesimo, quella verità di cui andava in cerca la filosofia greca, mentre ne apparivano sempre più prive le religioni pagane. Il cristianesimo si è posto cioè come la vera filosofia. Come ha detto magistralmente Tertulliano, “Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine”. Si è trattato di una scelta fortemente missionaria, che ha reso la fede comprensibile a tutti.
Nello stesso tempo la Chiesa antica ha mantenuto integra la differenza che distingue il Dio biblico dal Dio dei filosofi: il Dio biblico è il Dio che ha un nome, che può essere interpellato e pregato; è quindi il Dio eminentemente personale con il quale possiamo metterci in relazione. È il Dio che non è puro pensiero ma è inseparabilmente pensiero e amore, il Dio che si interessa di ciascuno di noi, che va in cerca della pecora perduta e si rallegra per il peccatore che si pente; anzi, il Dio che prende su di sé i nostri peccati e così ci salva. A differenza dal Dio dei filosofi che si rapporta solo a se stesso, è il Dio che è assoluto ma al contempo è relazione, onnipotenza che crea, sostiene e ama ciò che è distinto da lui.
L’opzione per il Dio dei filosofi, unita alla non riduzione a tale Dio, ha consentito al cristianesimo di superare il divorzio tra razionalità e religione che affliggeva il mondo antico. Infatti il Dio della ragione è ormai un Dio che può essere oggetto di preghiera, il Dio dei filosofi è ormai il Dio salvatore di cui l’uomo ha bisogno. A parere di Ratzinger l’opzione per il Dio dei filosofi, insieme alla riconciliazione tra razionalità e religione, è alla base della vittoria del cristianesimo nel mondo antico.
RAGIONE, FEDE E VITA NEL CRISTIANESIMO ANTICO
Un secondo motivo, di pari importanza, di questa vittoria è consistito nella validità morale del cristianesimo. Quel che Dio esige dagli uomini coincide con ciò che è buono per natura e che ogni uomo porta scritto nel proprio cuore, cosicché, quando gli si presenta, lo riconosce come un bene, secondo le parole dell’apostolo Paolo sui pagani che, pur non avendo la Legge, “per natura agiscono secondo la Legge” (Rm 2,14-15).
In questo modo la fondamentale unità critica con la razionalità filosofica, presente nel concetto cristiano di Dio, si conferma e si concretizza nell’unità critica con la morale filosofica, in concreto stoica. Ma anche, come il cristianesimo ha superato i limiti del concetto filosofico di Dio, così è avvenuto il passaggio dalla teoria etica a una prassi morale comunitaria vissuta e messa in atto, in particolare grazie alla concentrazione di tutta la morale nel duplice comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.
Possiamo dire dunque che il cristianesimo convinceva in virtù del legame della fede con la ragione e dell’orientamento dell’azione verso la “caritas”, la cura amorevole dei sofferenti, dei poveri e dei deboli, al di là di ogni differenza di condizione sociale. In altre parole, la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale è consistita nella sintesi tra ragione, fede e vita, sintesi che è condensata nell’espressione “religio vera”. […]
LA ROTTURA DELL’ETÀ MODERNA
La sintesi tra ragione, fede e vita che ha decretato la vittoria del cristianesimo è rimasta a lungo viva ed efficace, nel mutare delle situazioni storiche. Negli ultimi secoli però questa sintesi si è progressivamente indebolita e ormai non convince più. Nell’Europa di oggi la razionalità e il cristianesimo sono spesso considerati come contraddittori e reciprocamente escludenti. Così il cristianesimo è venuto a trovarsi in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità. Ratzinger si chiede perché ciò sia avvenuto e in concreto cosa sia cambiato, sia nel cristianesimo sia nella razionalità.
Per quel che riguarda il cristianesimo la risposta è che esso, contro la sua natura, era diventato tradizione e religione di Stato, mentre la voce della ragione era stata troppo addomesticata. È merito dell’illuminismo moderno aver riproposto alcuni valori originari del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce. Il Concilio Vaticano II ha nuovamente evidenziato la profonda corrispondenza tra cristianesimo e illuminismo, cercando di arrivare a una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti.
Il cambiamento principale e decisivo è intervenuto però dalla parte della razionalità. L’unità relazionale tra ragione e fede, alla quale Tommaso d’Aquino aveva dato una forma sistematica, è stata sempre più lacerata attraverso le grandi tappe del pensiero moderno, fino alla situazione culturale di oggi, caratterizzata dal primato della scienza e della tecnica: è diffusa la pretesa che l’unica conoscenza realmente valida sia quella scientifica. In questo quadro la teoria dell’evoluzione ha finito per assumere il ruolo di una specie di visione del mondo o “filosofia prima”, che da una parte sarebbe rigorosamente scientifica e dall’altra costituirebbe, almeno potenzialmente, una spiegazione o teoria universale di tutta la realtà, al di là della quale ulteriori domande sull’origine e la natura delle cose non sarebbero più necessarie e nemmeno lecite. L’affermazione “In principio era il Logos” viene pertanto capovolta, ponendo all’origine di tutto la materia-energia, il caso e la necessità. L’esito finale è quindi l’ateismo.
LA SCOMPARSA DELLA VERITÀ
Nella cultura attuale simili posizioni sono contestate da più parti, perché trascurano i limiti intrinseci della conoscenza scientifica. Ratzinger osserva però che, a causa di quel grande cambiamento per il quale, da Kant in poi, la nostra ragione non è più ritenuta in grado di conoscere la realtà in se stessa, e soprattutto la realtà trascendente, l’alternativa culturalmente più accreditata allo scientismo oggi non è il primato del Logos, bensì l’idea che “latet omne verum”, ogni verità è nascosta, ossia che la vera realtà di Dio rimane a noi del tutto inaccessibile e non conoscibile: in questo caso l’esito finale è pertanto l’agnosticismo. Ritrova così cittadinanza nel mondo occidentale l’approccio al divino proprio delle grandi religioni o visioni del mondo orientali, simile a quello che, nei primi secoli dell’era cristiana, il neoplatonismo aveva cercato di proporre come alternativa al cristianesimo.
D’altra parte, come la fede cristiana si è concretizzata in una precisa forma di vita e di etica, analogamente le forme di razionalità che tendono a sostituirsi al cristianesimo si esprimono in concreti orientamenti etici. Se “ogni verità è nascosta”, a livello pratico il valore fondamentale diventa quello della tolleranza. Se invece la teoria che spiega tutto è l’evoluzionismo, alla base dell’etica staranno la selezione naturale, la lotta per la sopravvivenza e la vittoria del più forte.
PER UNA RIVINCITA DELLA RAGIONE
Per Ratzinger il vero obiettivo di questa analisi è naturalmente cercare le vie di un nuovo accordo della ragione e della libertà con il cristianesimo, ossia proporre la verità salvifica del Dio di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo.
A tal fine occorre anzitutto “allargare gli spazi della razionalità”. La limitazione della ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile è giusta e necessaria nell’ambito delle scienze della natura e costituisce la chiave dei loro incessanti sviluppi, ma se viene universalizzata e assolutizzata diventa insostenibile, disumana e alla fine contraddittoria. L’uomo infatti non potrebbe più interrogarsi razionalmente sulle realtà essenziali della sua vita, sulla sua origine e il suo destino, sul bene e sul male morale, ma dovrebbe lasciare questi problemi decisivi a un sentimento staccato dalla ragione. Così, fatalmente, il soggetto umano viene ridotto a un prodotto della natura, come tale non libero: si ha quindi un capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna, che consisteva nella rivendicazione dell’uomo e della sua libertà.
Approfondendo il discorso, Ratzinger osserva che la vera alternativa a cui siamo davanti è se la ragione sia un prodotto casuale e secondario dell’irrazionale, o sia invece all’origine di tutto. L’intelligibilità della natura, che è il presupposto dello stesso sapere scientifico, richiede l’esistenza di un’intelligenza creatrice e mostra così che rimane valida anche oggi la convinzione fondamentale della fede cristiana, “In principio erat Verbum”.
Per quanto riguarda in particolare l’agnosticismo, dobbiamo chiederci se esso sia concretamente realizzabile. La questione di Dio non è infatti puramente teorica ma eminentemente pratica, ha conseguenze in tutti gli ambiti della nostra vita. Anche se in teoria aderisco all’agnosticismo, nella pratica sono comunque costretto a scegliere tra due alternative: o vivere come se Dio non esistesse, adottando in pratica una posizione atea, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza, adottando di fatto una posizione credente. La questione di Dio è dunque ineludibile e l’agnosticismo si rivela irrealizzabile. I tentativi di fare a meno di Dio sono pertanto destinati al fallimento, a livello sia teoretico che pratico: solo riconoscendo a Dio il primo posto la nostra ragione può ritrovare la sua ampiezza. […]
IN UNA “STRANA PENOMBRA”, L’AVVENTO DI DIO
La valorizzazione della ragione nella teologia di Ratzinger non è però affatto di tipo razionalistico. Al contrario, egli ritiene che sia fallito il tentativo della neoscolastica di dimostrare la verità delle premesse della fede – i “praeambula fidei” – mediante una ragione indipendente dalla fede stessa, e che siano destinati a fallire eventuali tentativi analoghi. Di fatto, specialmente nell’attuale clima culturale, l’uomo rimane prigioniero di una “strana penombra” che grava sulla questione delle realtà eterne: affinché sorga una vera relazione con Dio, Dio stesso deve prendere l’iniziativa di venire incontro all’uomo e di rivolgersi a lui.
La ragione da sola dunque non basta, non è autosufficiente. Come la fede ha bisogno della ragione, così la ragione ha bisogno della fede per essere risanata come ragione ed essere ricondotta a se stessa, per poter vedere di nuovo da sé.
Costruire un rapporto nuovo tra fede e ragione è il grande compito che sta davanti a noi. Un compito che, nonostante tutte le attuali difficoltà, possiamo affrontare con fiducia perché “solo il Dio che si è reso finito per lacerare la nostra finitezza e condurla all’ampiezza della sua infinità è in grado di venire incontro alle domande del nostro essere”. Ancora una volta il primato di Dio e dell’iniziativa salvifica da lui intrapresa in Gesù Cristo fa tutt’uno con la rivendicazione della verità del cristianesimo.