Oggi il Presidente Trump annuncerà la nomina del nuovo giudice della Corte Suprema USA (dovrà poi passare l'esame del Senato, molto complicato), in sostituzione dell'abortista, pro gay, anti armi Ruth Bader Ginsburg, morta nei giorni scorsi.
Speriamo in una buona scelta, importantissima dentro e fuori gli Stati Uniti.Fonti repubblicane di ieri sera darebbero per favorita una paladina pro vita, Amy Barrett anche se fino all'ultimo potrebbero esserci dei cambiamenti.. Speriamo.
Pubblichiamo un articolo sulla vicenda e due profili della Barrett.
Luigi
L’icona liberal nella Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America, il giudice Ruth Bader Ginsburg, è morta venerdì 18 settembre all’età di 87 anni. Era stata nominata nel massimo tribunale del Paese dal presidente Bill Clinton nel 1993. Si riapre dunque il gioco dell’equilibrio politico-culturale interno a quell’assise, questione infatti tutt’altro che pacifica.
I giudici conservatori sono oggi cinque, Clarence Thomas, Samuel Alito, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e il presidente John Roberts, mentre solo tre quelli di sinistra, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan. Ma la realtà si è dimostrata molto meno netta. Controverse sono infatti state alcune prese di posizione di Gorsuch sul gender e ancora di più alcune decisioni del presidente Roberts. Probabilmente i giudizi più tranchant su quest’ultimo peccano di ingenerosità, perché le mancanze non cancellano mai i meriti, e la differenza fra errore e ostinazione ideologica è lampante (e del resto sulla difesa della vita il bilancio è positivo). Nondimeno la “questione Corte Suprema” resta un nervo scoperto che irrita il mondo conservatore soprattutto nella misura in cui, con l’arrivo di Donald J. Trump alla Casa Bianca e le conseguenti nomine di Gorsuch e di Kavanaugh, tutto, o quasi, era stato dato per risolto.
Ora però tutto si riapre, e inaspettatamente. La malattia che alla fine ha stroncato la Bader Ginsburg era nota, e l’epilogo nell’aria da tempo, ma nessuno ha mai supposto un timing tanto perfetto, e questo sposta i riflettori sulle elezioni presidenziali del 3 novembre.
Com’è noto, spetta alla Casa Bianca nominare i giudici (a vita, salvo eccezioni per malattia o incapacità) per la Corte Suprema. I giudici passano poi al vaglio di un’apposita commissione, il Senate Committee on the Judiciary, comunemente chiamato “Senate Judiciary Committee”, che, con audizioni e disamine, decide se inviare il candidato al voto finale dell’intero Senato con parere positivo, negativo o neutrale. L’orientamento della Casa Bianca e la composizione del Senato sono quindi vitali, perché se il “Senate Judiciary Committee” è bipartisan, ai 100 senatori della “Camera alta” del Congresso federale statunitense basta esprimersi a maggioranza.
Scegliendo Gorsuch e Kavanaugh rispettivamente nel 2017 e nel 2018 Trump diede una svolta decisiva alla Corte Suprema, ma tombale fu il voto del Senato, che confermò Gorsuch con 54 voti a 45 e Kavanaugh con 51 a 49. Certo, non è scontato che la maggioranza di un partito al Senato garantisca la conferma, ma evidentemente aiuta tantissimo e, alla mal parata, è una fenomenale base di partenza. Con Gorsuch e Kavanaugh lo fu: nel caso del primo, con addirittura tre senatori Democratici che si schierarono con i Repubblicani, il vantaggio Repubblicano si rivelò essere una base invincibile.
C’è un punto, però, a cui si appiglia la Sinistra. Nei casi Gorsuch e Kavanaugh il voto finale del Senato fu espresso a maggioranza semplice e non attraverso la “60 Rule”, che prevede una maggioranza qualificata dei tre quinti, appunto almeno 60 senatori su 100 totali. A decidere la modifica fu il presidente Repubblicano del Senato, Mitch McConnell, ma fu un’azione perfettamente legale: lo consente infatti il regolamento del Senato attraverso una mozione d’ordine utilizzata per mettere fine all’ostruzionismo parlamentare che altrimenti potrebbe bloccare il voto potenzialmente all’infinito. Negli Stati Uniti, dove amano i colori forti, è pittorescamente chiamata «opzione nucleare».
Il primo a utilizzarla fu nel 2013 l’allora presidente del Senato Harry Reid, Democratico, per il confronto su alcune nomine federali. Visti i margini ormai sempre risicati al Senato, se non si utilizzasse l’«opzione nucleare», virtualmente nessuna nomina di giurisdizione federale potrebbe essere presa, men che meno quelle riguardanti la Corte Suprema. Non sono tecnicismi, ma note importanti per rispondere a chi ancora si ostina a considerare fantasiosamente illegittima ogni mossa della Casa Bianca e qualsiasi azione della maggioranza che i Repubblicani fino a due anni fa avevano in tutto il Congresso e ora mantengono nel Senato, oliando la pratica con il saccheggio di città intere.
C’è del resto un altro punto su cui soffermarsi. Quando il giudice Antonin G. Scalia (1936-2016) morì, nel 2016, alla Casa Bianca c’era Barack Obama. Era anno di elezioni presidenziali. La maggioranza Repubblicana al Senato pretese che la nomina, così importante, di un giudice della Corte Suprema federale non potesse avvenire in quel frangente tanto delicato, soprattutto però perché Obama non avrebbe più potuto essere rieletto, avendo già svolto due mandati presidenziali, e quindi alla presidenza del Paese vi sarebbe stato inevitabilmente qualcun altro. Obama aveva nominato il liberal Merrick Garland. Il Senato a maggioranza Repubblicana congelò l’iter e rimandò tutto a dopo le elezioni dell’8 novembre. Trump le vinse, nominò Gorsuch e Gorsuch fu confermato dal Senato Repubblicano uscito dalle urne di quel medesimo 8 novembre.
Ora, il principio seguito da McConnell porta nientemeno che il nome di “Regola Biden”, giacché fu proprio l’ex vicepresidente di Obama e oggi candidato presidenziale Joe Biden a esporla in un discorso del giugno 1992 contro l’allora presidente George W. Bush. Giustamente gli esperti del Diritto statunitense fanno notare che in realtà è una non-regola. Non c’è una legge che la sostenga. Fu una trovata di Biden e McConnell l’ha utilizzata a proprio vantaggio.
I Democratici stanno adesso cercando di restituire pan per focaccia, impugnandola: primo fra tutti proprio Biden, con aria scandalizzata. Si sono evidentemente scordati di quando gridavano all’“attentato” perché a farlo erano i Repubblicani. Detto che potrebbe anche essere una misura di buon senso, se non verrà adottata non sarà violata alcuna legge né positiva né morale, anzi, visto che in ballo c’è anche il diritto alla vita.
Comunque sia, è importante che Trump e i Repubblicani vincano le elezioni del 3 novembre per Casa Bianca e Congresso. Così opereranno una successione importante, più importante che mai. Una successione che darà alla Corte Suprema un back up sicuro contro ogni rischio.
Trump sta pensando a come sostituire il giudice dimissionario Anthony M. Kennedy nella Corte Suprema, e pare che la sua scelta ricada su Amy Barrett. La Barrett è conservatrice, cattolica e giovane. Non si è mai fatta intimidire dai liberal che la odiano perché "dentro di lei il dogma vive con forza".
Donald J. Trump sta pensando a come sostituire il giudice dimissionario Anthony M. Kennedy nella Corte Suprema federale, e pare che stia pensando bene. Voci sempre più insistenti danno infatti come probabile la candidatura di Amy Coney Barrett, il cui nome figura nella lista di “giudici buoni” stilata da Trump nei primi mesi del 2017 e da cui il presidente ha già tratto la nomina di Neil M. Gorsuch.
La Barrett è infatti conservatrice, cattolica e giovane. Nata il 28 gennaio 1972 a New Orleans, è figlia del profondo Sud, in specie di quella Louisiana in cui il diritto vigente (visto che di diritto si parla) differisce in parte da quello del resto degli Stati Uniti. Là funzionano infatti parzialmente codici francesi e spagnoli fondati sul diritto romano, e non il Common Law come nel resto del Paese. Del resto la Louisiana di oggi è solo una minima parte di quel vastissimo territorio omonimo che un tempo faceva parte della Nouvelle France e resta un luogo dove tutte le venature più diverse del retaggio antico europeo del Mondo Nuovo si mescolano e intersecano come non mai.
Laureata Juris Doctor nel 1997 alla Notre Dame Law School, l’ateneo cattolico di Notre Dame, sobborgo universitario di South Bend nell’Indiana (anche l’Indiana ha fatto parte della “grande Louisiana”), dov’è anche stata caporedattrice della prestigiosa Notre Dame Law Review, la Barrett si è fatta le ossa professionali con il giudice Laurence Silberman della Corte d’appello del Distretto di Columbia (la capitale Washington). Poi, nel 1998, è giunta al fianco nientemeno che dell’indimenticato giudice della Corte Suprema Antonin G. Scalia, grande uomo, grande giurista, grande cattolico, deciso difensore dell’“originalismo” costituzionale, cioè la lettera e lo spirito autentico della legge fondamentale del Paese contro ogni interpretazione ideologica. Al fianco suo la Barrett c’è stata fino al 1999 e poi si è data alla professione nello studio Miller, Cassidy, Larroca & Lewin di Washington. Nel 2002 è tornata come insegnante nella propria alma mater, docente di ruolo dal 2010.
Membro della blasonata associazione giuridica conservatrice Federalist Society, l’8 maggio 2017 Trump l’ha voluta giudice nella Corte di appello del settimo circuito degli Stati Uniti (cioè Illinois, Indiana, Wisconsin). Quando, il 6 settembre, la Barrett ha testimoniato, come di prassi, davanti al Senate Committee on the Judiciary per ottenere la ratifica, è nato un caso famoso.
Quel giorno, infatti, la senatrice Democratica Dianne Feinstein, una delle più acerrime nemiche dei conservatori nei tribunali federali statunitensi, l’ha presa di petto domandole, tra il retorico e il sardonico, se la sua fede cattolica non avesse potuto essere un giorno d’intralcio alla sua professionalità. La frase usata è già passata alla storia: «Dentro di lei il dogma vive con forza, e questo è un problema». Ora, a parte l’eloquio non esattamente shakespeareano, lo stesso si potrebbe dire di chiunque, a partire dalla Feinstein stessa: “dentro di lei l’anticattolicesimo vive con forza, e questo è un problema” per il posto al Congresso che ella occupa e di cui (ab)usa per censurare gli avversari, soprattutto se cattolici. È una domanda stupida, cioè, perché la si potrebbe rivolgere a chiunque per qualunque appartenenza religiosa, o per qualsiasi forma di ateismo, o per ogni altro orientamento culturale.
In realtà la Feinstein ha mosso un processo alle intenzioni, giocandolo sul filo di una sottotesto tanto chiaro quanto perfido. La Barrett, infatti, sposata a un altro giudice, Jesse M. Barrett, e madre di sette figli (due adottati ad Haiti), viene ritenuta pericolosa in quanto cattolica: tanto cattolica da prendere il cattolicesimo sul serio facendo parte di un gruppo carismatico fondato nel 1971, People of Praise, dove ci sono anche protestanti ma che è composto in maggioranza da cattolici, “inchiodato” come una “setta”. Qui sta però il punto: nel giro mentale liberal “setta” è qualsiasi esperienza religiosa forte che non si lasci normalizzare dal manovratore. Chi prende la fede sul serio è cioè un “estremista” da tenere ai margini della società civile. La Barrett sarebbe cioè incapace, proprio perché cattolica seria, di essere un buon giudice. Non è solo un processo a una persona, ma un processo a una fede intera colpevole di essere se stessa e non altro; anzi, un processo all’idea stessa di fede.
L’anno scorso la Barrett l’ha spuntata, tra l’altro ottenendo un clamoroso endorsement da parte di un “esercito” di giuristi “stellati”, non certo tutti cattolici, che prese le difese proprio della sua professionalità specchiata. Adesso la parola torna a Trump. Il quale, oltre all’occasione storica per cambiare i connotati al massimo tribunale degli Stati Uniti che nei decenni si è macchiato di abusi enormi, ha la possibilità di demolire con un colpo solo una delle bugie più infami di sempre.
Il giudice federale Amy Coney Barrett, una cattolica madre di sette figli, è nella rosa dei candidati del presidente Donald Trump per una nomina alla Corte Suprema, poiché il presidente ha in programma di sostituire alla corte il giudice Ruth Bader Ginsburg, deceduta venerdì sera.
Un articolo Matt Hadro pubblicato su Catholic News Agency, nella mia traduzione.
Il giudice federale Amy Coney Barrett, una cattolica madre di sette figli, è nella rosa dei candidati del presidente Donald Trump per una nomina alla Corte Suprema, poiché il presidente ha in programma di sostituire alla corte il giudice Ruth Bader Ginsburg, deceduta venerdì sera.
Barrett è stato nominato giudice della Corte d’Appello del 7° Circuito nel 2017. Nell’udienza di conferma, il giudice affrontò domande ostili sulla sua fede cattolica, suscitando indignazione e frustrazione tra alcuni leader cattolici.
La candidata comparve davanti alla Commissione giudiziaria del Senato il 6 settembre 2017.
Le domande di alcuni senatori democratici si concentrarono su come la fede cattolica di Barrett avrebbe potuto influenzare le sue decisioni in casi di aborto e di matrimonio tra persone dello stesso sesso.
La senatrice Dianne Feinstein (D-Calif.), membro di rango della commissione, disse direttamente a Barrett che le sue convinzioni cattoliche erano preoccupanti, in quanto avrebbero potuto influenzare le sue decisioni giudiziarie sull’aborto.
“Perché molti di noi, da questa parte (politica, ndr), hanno questa sensazione molto scomoda che il dogma e la legge siano due cose diverse, e credo che qualunque sia la religione, essa abbia un suo dogma. La legge è totalmente diversa”, disse Feinstein.
“E penso che nel suo caso, professore, quando legge i suoi discorsi, la conclusione che si trae è che il dogma viva fortemente dentro di lei. E questo è preoccupante”.
Prima di dire questa cosa, Feinstein aveva elogiato personalmente Barrett, dicendo che il candidato era “incredibile per il fatto di avere sette figli e di fare quello che fai tu”.
Il senatore ha puntato da subito, tuttavia, a caratterizzare Barrett come un candidato “controverso”, “perché ha una lunga storia di convinzioni che fanno sì che le credenze religiose dovrebbero prevalere” sulla legge.
“Lei è controversa perché molti di noi che hanno vissuto la nostra vita di donne riconoscono il valore di poter finalmente controllare i nostri sistemi riproduttivi”, ha detto. “E Roe entra in questo, ovviamente”. (ROE vs Wade è la sentenza della Corte Suprema che la legalizzato l’aborto negli USA, ndr)
La Barrett insistette sul fatto che, come giudice, avrebbe rispettato i precedenti vincolanti, e non avrebbe lasciato che le sue convinzioni religiose alterassero in modo inappropriato le sue decisioni giudiziarie.
Nella stessa udienza, il senatore Dick Durbin (D-Ill.) ha torchiato la Barrett per l’uso del termine “cattolico ortodosso” in un articolo che aveva scritto insieme ad un’altra persone quando era studentessa di legge. Durbin si offese per il termine e suggerì che Barrett non pensasse che le persone che dissentono dall’insegnamento della Chiesa sul matrimonio fossero veramente cattoliche.
“Sono il risultato di 19 anni di educazione cattolica. E ogni tanto la Santa Madre Chiesa non è d’accordo con un mio voto”. E mi ha fatto sapere”, ha detto Durbin a Barrett. “Tu usi un termine in quell’articolo – o entrambi usate un termine in quell’articolo – che non avevo mai visto prima. Lei si riferisce ai ‘cattolici ortodossi’. Cos’è un cattolico ortodosso?”.
Barrett ha indicato una nota a piè di pagina nell’articolo che ammetteva che si trattava di “un termine imperfetto”, e che l’articolo parlava dell’ipotetico caso di “un giudice che accettasse l’insegnamento della Chiesa” sulla pena di morte e che avesse avuto una “obiezione di coscienza” all’esecuzione.
“Si considera un cattolico ortodosso?” Durbin chiese a Barrett, la quale rispose che “sono un cattolico fedele”, aggiungendo che “la mia affiliazione personale alla Chiesa o il mio credo religioso non andrebbero a discapito dei miei doveri di giudice”.
Durbin, al quale nel 2004 fu proibito di ricevere la Santa Comunione a causa della sua posizione sull’aborto, poi disse che “ci sono molte persone che potrebbero definirsi ‘cattolici ortodossi’, che ora si chiedono se Papa Francesco sia un ‘cattolico ortodosso’. Si dà il caso che io pensi che sia un cattolico piuttosto bravo”.
“Sono d’accordo con lei”, replicò Barrett, a cui Durbin rispose: “Bene. Allora questo è un buon terreno comune per noi da cui cominciare”.
Chiese anche a Barrett come si sarebbe pronunciata su un caso di “matrimonio omosessuale”, visto il dissenso del defunto giudice della Corte Suprema Antonin Scalia dalla decisione di Obergefell del 2013 che legalizzava il matrimonio omosessuale.
“Dall’inizio alla fine, in ogni caso, il mio obbligo come giudice sarebbe quello di applicare lo stato di diritto, e il caso da lei citato sarebbe l’applicazione di Obergefell, e non avrei alcun problema ad aderivi”, ha detto.
Dopo l’udienza, la nomina di Barrett fu confermata e l’ex professore di diritto di Notre Dame assunse il suo incarico di giudice.
Ma i leader cattolici hanno detto che le domande che ha dovuto affrontare erano inquietanti.
“Questa è la peggiore forma di bigottismo anticattolico”, ha detto alla CNA nel 2017 il dottor Chad Pecknold, professore di teologia alla Catholic University of America.
Pecknold ha definito l’udienza “un’inquisizione religiosa piuttosto che un’aggiudicazione di competenza legale per il ruolo di giudice”.
“Io sostengo che i veri dogmatisti presenti in aula sono quelli che stanno preparando un’inquisizione contro uno dei grandi studiosi di diritto della nazione”, ha aggiunto.
Anche altri leader cattolici hanno criticato le domande sulla fede di Barrett.
Un tale bigottismo non ha posto nella nostra politica e puzza di un test religioso incostituzionale per l’abilitazione a partecipare alla magistratura”. Quello che questi senatori hanno fatto oggi è stato veramente riprovevole”, ha detto Brian Burch, presidente di CatholicVote.org.
“La linea di interrogatorio scandalosamente illegittima del senatore Feinstein manda il messaggio che i cattolici non hanno bisogno di applicarsi come giudici federali”, ha aggiunto Ashley McGuire, senior fellow di The Catholic Association.
Dopo l’udienza, la frase “Il dogma vive fortemente” è diventata una sorta di tormentone tra i sostenitori cattolici di Barrett, ed è apparsa come un hashtag, sulle tazze da caffè e sulle magliette. L’hashtag comincia ad avere una rinascita, poiché si è intensificata la speculazione che Trump potrebbe nominare Barrett alla Corte Suprema.
Il presidente dovrebbe nominare un giudice alla corte entro una settimana. Nella sua lista ci sono anche diversi giudici federali e tre senatori degli Stati Uniti.